mercoledì 3 settembre 2014

SAN SOSTI: ARCHEOLOGIA - STORIA - RELIGIOSITA' - TRADIZIONI

San Sosti (CS): Centro storico 

LE ORIGINI DI SAN SOSTI (CS) (Ag. Sostis)

 Il nome San Sosti deriva dal greco/bizantino Agios Sostis. Le ultime ricerche archeologiche condotte dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, in collaborazione con la Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale del Dip. Di Archeologia e Storia delle Arti dell'Unical di Rende, ha attestato che l'abitato fu fondato intorno alla media età del Bronzo (XIV-XIII sec. a.C.), documentato da numerosi resti ceramici e da una porzione del battuto di un a capanna protostorica rinvenuti nel corso degli scavi all'interno della chiesa del Carmine. L'abitato era molto fiorente in età greca come è dimostrato dal rinvenimento dei resti di un santuario risalente al VI-V sec a.C. dedicato ad una divinità femminile. Sul lato sinistro della zona presbiteriale è stato riportato alla luce un cospicuo tratto di muro a secco che era parte del sacro temenos, cioè il recinto sacro del luogo cultuale. Al livello di fondazione del muro sono state rinvenute tre fosse votive delle quale una ancora integra, cioè non disturbata dagli interventi di restauro e ampliamento avvenuti nel corso dei secoli. Tra i materiali recuperati si distingue una testina fittile risalente alla prima metà del V sec. a.C. raffigurante la dea Atena che indossa un elmo di tipo frigio e una hydriska (risalente allo stesso periodo). È da notare che l'hydriska era legata al culto di Atena come è attestato dagli scavi presso il Timpone della Motta a Francavilla Marittima, dove è stato riportato alla luce una altro santuario dedicato a questa divinità olimpica. In età romana (I sec. a. C./I sec. d.C.) l'area dove attualmente sorge la chiesetta del Carmine venne occupata da una villa che si estendeva su gran parte dell'attuale centro storico. Tra i materiali archeologici spicca un frammento di una coppa in vetro-mosaico di provenienza siriana, una porzione di una coppa in sigillata aretina risalente al I sec. a.C. frammenti di pavimento in opus spicatum. Ciò indica che si trattava di una grande villa provvista di domus patrizia.
In età bizantina si assiste al cosiddetto processo di incastellamento, cioè l'antico abitato si trasforma in castrum (città/fortezza) e prende il nome di Ag. Sostis, dal monastero intitolato al santo martire di origine orientale.
Un altro edificio di straordinaria importanza artistica/archeologica è la chieda madre di Santa Caterina di Alessandria posta sul lato sud-est del castrum di Ag. Sostis. Durante i lavori di restauro eseguiti nel 2000 è stato parzialmente studiato il contesto: si trattava di una chiesa bizantina a navata unica rimaneggiata nel corso dei secoli; l'ultima fase edilizia risale alla metà del XVIII secolo. Tra le opere d'arte custodite nella chiesa madre, degni di nota sono: l'affresco posto sull'altare maggiore raffigurante la Trasfigurazione di Gesù, di scuola raffaelliana; la tela del "Divin Sangue Redentore", di scuola napoletane di fine '700; la scultura di San Pantaleone risalente alla fine del XVI e l'Inizio XVII secolo, la croce processionale e altre opere d'arte.
Il centro storico di San Sosti è impreziosito da palazzi gentilizi costruiti tra il XVI e il XIX secolo, su antiche strutture di età greca, romana e bizantina, tra questi si sottolinea il palazzo Guaglianone con cappella annessa risalente al XVI secolo intitolata a San Francesco di Paola.
È da sottolineare infine che dalle ultime indagini archeologiche e topografiche è emerso che la pianta del centro storico conserva la canonica pianta a griglia tipicamente romana di età imperiale.    
San Sosti (CS): Centro storico 

San Sosti (CS): Centro storico - Museo Artemis

San Sosti (CS): Centro storico - Museo Artemis

San Sosti (CS): Chiesa si Santa Caterina di Alessandria V.M.

San Sosti (CS): La cascata di Fragiovanni 


EVENTI CULTURALI CARATTERISTICI

Festa dell’Immacolata
La tradizione della vigilia dell’Immacolata consiste nell’accensione dei pagliari (falò) assaggio del vino novello (u trividdru) e dei piatti tipici legati alla ricorrenza.

Santa Lucia
È un appuntamento annuale che ricorre il 13 dicembre, giorno della festività in onore di Santa Lucia V.M. Consiste nell’accensione di un grande falò (u pagliaru), in Piazza Orto Sacramento e nella degustazione della pietanza tipica “a cuccìa”, mais bollito e condito (u migliu), secondo la tradizione locale, chi ne mangia, la Santa protegge la vista “degli occhi”.

L’Epifania
Un’antica tradizione narra che la sera dell’Epifania, durante la notte, si verifichino dei fenomeni inconsueti: si possono ascoltare gli animali parlare tra di loro. Può capitare di sentirli criticare il padrone: da qui la preoccupazione di dare loro cibo in abbondanza per evitare imprecazioni e bestemmie contro di lui

Il Carnevale
Questa festa, amata da grandi e piccini, è divenuta il fiore all’occhiello per il paese. Metà di centinaia di visitatori provenienti da paesi circostanti, la manifestazione è un tripudio di colori, allegria, folkrore, canti  e tradizioni. Il carnevale è stato da sempre molto sentito dai sansostesi tant’è che nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma un’intera zona è riservata all’esposizione delle antiche maschere del Corteo dei mesi dell’anno, originario proprio di San Sosti. Esso va sintetizzare, in modo esauriente, alcuni dei più significativi aspetti del carnevale; l’elemento mitico del ciclo agricolo annuale è la funzione del mascheramento, nel contesto ritualizzato dalla rappresentazione popolare. Le maschere appartengono alla raccolta De Giacomo e si tratta di 14 costumi : i 12 mesi dell’anno più Capodanno e la moglie di Aprile e riproducono le maschere originali adoperate durante una rappresentazione avvenuta all’inizio del 900. Per la loro ricostruzione, che avvenne intorno al 1910, furono seguite le indicazioni fornite da informatori locali. Lo stesso De Giacomo aveva partecipato alla rappresentazione venti anni prima e il testo originale, cantato è recitato durante la festa carnevalesca, pubblicato dallo stesso nel 1896 si intitola il popolo di Calabria. Ogni mese è caratterizzato da determinati elementi  simbolici relativi al ciclo agricolo e alimentare. La presenza femminile della moglie di Aprile, unica nel suo genere, ha probabilmente un significato propiziatorio riferito all’inizio della primavera. IL corteo dei mesi viene considerato come un rituale di reintegrazione, e mira a garantire psicologicamente la continuità di un buon rapporto con la natura per il rinnovo delle energie produttive. Se ne può quindi concludere che San Sosti ha un’antica tradizione carnevalesca con radici molto profonde.

San Giuseppe
San Giuseppe è il Santo padrone del paese e lo si festeggia il 19 di marzo, giorno della festa del papà. Una volta i festeggiamenti iniziavano e si concludevano con i famosi botti che si facevano brillare da piazza Bergo. Evento molto atteso era il gioco della “ninna”, un tronco d’albero molto alto al cui vertice era posto un ricco premio. La gara consisteva nell’arrampicarsi fino alla cima e prendere il premio, la difficoltà consisteva proprio nell’arrampicata: oltre alla notevole altezza del tronco, questo veniva cosparso di grasso e reso particolarmente scivoloso.

Pasqua e la settimana Santa
Le festività pasquali sono molto sentite dalla nostra comunità. Si comincia con la domenica delle Palme, quando, per la gioia dei bambini, vi è l’usanza di portare in chiesa a benedire la palma, un grosso fascio composto da ramoscelli di ulivi o di alloro, addobbate con le “pastarelle” pasquali, una sorta di biscotti morbidi fatti in casa tipici di questo periodo. La settimana Santa poi, si presenta ricca di tradizioni centenarie che iniziano il Giovedì pomeriggio con la distribuzione del pane benedetto in dialetto chiamato “cuddruru” nella chiesa del Carmine. Il Venerdì mattina le statue della passione ( Gesù in croce, Gesù morto, l’Addolorata e San Giovanni Battista) vengono trasportate dalla chiesetta del Carmine alla chiesa Madre e nel pomeriggio si svolge una grande processione cui prende parte quasi tutta la cittadinanza, portando sulle spalle le statue. Alla fine rientrati Chiesa, si ritirano i “sammurchi” portati dalle famiglie che partecipano all’iniziativa, i “sammurchi” (sepolcro) si preparano con semi di grano, ceci e lenticchie fatti germogliare in un luogo senza luce che secondo l’usanza popolare  vengono portati al sepolcro dopo la morte di Gesù in attesa della sua resurrezione. Un antico canto religioso recita:

ohi sammurchia ddru mia tuttu iurutu
Da grinta c’è Gesù Cristu Spunutu
C’è l’Addulurata chi chiangia lu figliu sua alla scapellata.

Alle 23:00, nella chiesa Madre vengono recitate le “Sette Parole”, cioè le ultime che Gesù pronunciò sulla croce prima di morire.
A notte inoltrata è da sempre usanza riportare i Santi dalla chiesa Madre a quella del Carmine.
Il sabato alle 23.30 si celebra la Santa Messa durante la quale si svolge l’affascinante rito della benedizione del fuoco e dell’acqua.

Agosto sansostese    
Nel periodo estivo viene organizzato L’agosto sansostese per far si che tutti i cittadini e tutti i nostri compaesani emigrati e ritornati nel loro paese natale possano trascorrere in questa occasione un piacevole soggiorno nella nostra San Sosti. Durante questa manifestazione che si protrae per circa dieci giorni, vengono organizzate serate dedicate alla musica, al cinema sotto le stelle, alla solidarietà, alla danza, alla moda; viene dato ambio spazio anche allo sport organizzando tornei di calcio, di calcetto, di pallavolo, gare podistiche ed altro.

Pellegrinaggio Buonvicino 
Ogni anno il 18 di settembre è usanza recarsi a piedi a buon vicino, per festeggiare San Ciriaco. Numerosi i nostri concittadini che sono soliti recarsi in questa località affrontando un lungo pellegrinaggio, attraverso i monti che collegano San Sosti e Buonvicino. Sarebbe questa la stessa strada percorsa a suo tempo dallo stesso Santo, che veniva a studiare presso il monastero di San Sozon insieme agli altri monaci bizantini, suoi confratelli. Questo scambio culturale fra i monaci si è con il tempo trasformato in uno scambio di preghiera tra San Sosti, paese mariano, e buon vicino, paese devoto al monaco bizantino. 

La Fiera
Visita la Fiera del Pettoruto dall’1 all’8 settembre. Sin da tempi antichissimi le fiere ed i mercati si svolgevano in prossimità dei santuari extraurbani. In età greca-arcaica i nuovi arrivati si appropriavano del territorio soprattutto con la fondazione dei santuari dedicati alle loro divinità protettrici. Le fiere costituivano oltre che un importante vantaggio economico, un momento fondamentale di aggregazione e integrazione tra l’elemento greco e quello indigeno. Fiere e mercati continuarono a svolgersi con regolarità nei pressi dei santuari e delle importanti vie di comunicazione anche in età romana. In età Paleocristiana e Cristiana sui luoghi di culto pagani e lungo le antiche vie di comunicazione ancora in uso, vennero edificati monasteri, chiese e santuari e nella maggior parte dei casi si conservarono anche le antiche fiere, come nel caso specifico la Fiera in onore della Madonna del Pettoruto.



SANTA MARIA DEL PETTORUTO

San Sosti (CS): Santuario N.S. del Pettoruto

Il santuario del Pettoruto si trova a San Sosti, in provincia di Cosenza ad un’altezza di 600 metri circa.
Si presenta agli occhi del visitatore completamente immerso in uno scenario naturalistico di impareggiabile bellezza quale la gola del fiume Rosa, coperta da splendidi boschi di elci e di faggi.
Questo paesaggio incantato, dove il tempo sembra essersi fermato, è incorniciato dal massiccio della Mula a nord-est e quello della Montea a sud-est.
Da sempre questi luoghi, suggestivi e affascinanti, rappresentano una sorta di ritrovo dell’anima in armonia con la meraviglia del creato che avvicina l’uomo a Dio.


storia

La chiesa intitolata alla Vergine fu costruita verso la metà del XIII secolo sulle antiche strutture del monastero bizantino, fondato presumibilmente tra il IX e il X secolo, come grancia del monastero di Aghios Sozon, i cui ruderi si conservano ancora fuori dall’abitato di San Sosti.
Molto probabilmente il santuario del Pettoruto va identificato con l’antico monastero di Monte Mula di cui si parla nella agiografia di San Leon Luca da Corleone, abate di questo monastero fino al 915, anno della sua morte.
Un aspetto molto importante per la nostra ricerca è proprio un passo della agiografia del santo di origine siciliana legato al momento della sua morte che avvenne nel monastero di Monte Mula sotto l’invocazione della Vergine Maria.
Da questa fonte antica si comprende che già il monastero bizantino era dedicato alla Madonna. Nel catasto onciario del 1273 il Pettoruto viene censito come Grancia , cioè come Monastero e centro produttivo. Un’ altra fonte riportata dal Barillàro afferma che il monastero nel 1274 fu trasformato in chiesa dai cistercensi di Santa Maria di Acquaformosa. La fonte riportata dal Barillàro, però non è esatta perché nella bolla di Callisto 3° del 22 Maggio 1455 si afferma che la chiesa della Madonna del Pettoruto era Grancia del monastero di San Sosti. Ciò significa che al tempo di Callisto 3° manteneva ancora il carattere primitivo di istituzione greca.
Con questa bolla il Papa concedeva una particolare indulgenza ai devoti che si recavano in pellegrinaggio al Pettoruto. E’ proprio la bolla di Callisto 3° che conferma l’importanza del Monastero, dedicato alla Vergine Maria già al momento della sua fondazione. La chiesa ha subìto diversi cambiamenti nel corso dei secoli, sia di ordine strutturale, che di ordine istituzionale.
Nel 1348 diviene “Commenda” e cessa di essere Monastero.
A breve distanza della basilica si conservano i ruderi di strutture che anticamente facevano parte del complesso monastico.
Dal fitto bosco di elci affiora il muro perimetrale e le basi di grandi pilastri posti a distanza regolare di 2 m e 50 centimetri, che originariamente costituivano il grande portico. La struttura sorge lungo uno dei sentieri che conduce al castrum dei Casalini.
In località Casalini si conservano i resti della città-fortezza nota con il nome di Artemisia.  Il castrum è posto a quota 896 metri di altezza, a strapiombo sulla chiesa del Pettoruto.
La città fu fondata dai Bizantini, su un abitato più antico, tra il IX e il X secolo d.C.
Sul punto più alto si conservano i ruderi di una chiesetta, forse dedicata alla Madonna, secondo l’usanza dei bizantini di costruire le chiese intitolate alla Theotokos in prossimità delle porte d’ingresso alle città.
La chiesa del Pettoruto nel 1647 divenne concistoriale e passò al Cardinale Paolo Emilio Rondinini. Fu gravemente danneggiata dai terremoti del 1603 e del 1783; fu ricostruita nel 1834. Nel corso dei lavori di restauro del 1925 venne costruita la facciata come la vediamo oggi. Nel 1935 fu ricostruita la navata destra; dal 1956 al 1977, con il vescovo, Mons. Luigi Rinaldi, la chiesa venne ulteriormente abbellita.
Gli ultimi restauri risalgono al 2009/10 commissionati dal vescovo, Mons. Domenico Crusco.


RELIGIOSITA’

La devozione popolare racconta che la statua della Madonna fu scolpita da Nicola Mairo di Altomonte ingiustamente accusato di violenza su una giovane del suo paese.
Per sfuggire alla tragica sorte, il Mairo fugge da Altomonte e si nasconde tra i monti selvosi del Pettoruto.  Nel dramma della solitudine, profondamente addolorato a causa di un delitto che non aveva commesso, incominciò a modellare sulla pietra l’immagine della Vergine cui era molto devoto.
Fu proprio per intercessione divina che fu riconosciuta la sua innocenza e scagionato da ogni accusa. L’immagine che egli aveva scolpito e lasciato sul posto, fu a poco a poco occultata dalla natura. Molto tempo dopo, un pastorello di Scalea di nome Giuseppe Labbazia, mentre stava cercando una pecora che si era allontanata dal gregge, si avventura nella boscaglia: terrorizzato perché credeva di essersi perduto gli apparve l’immagine della Madonna che gli parlò.
Gli disse di andare a San Sosti e avvisare il parroco che in quel luogo doveva sorgere la sua chiesa. Il giovane era sordo-muto sin dalla nascita. Fu proprio questo il primo miracolo. La Madonna li aveva dato la parola e l’udito.

San Sosti (CS): N.S. del Pettoruto 

LA CINTA

La tradizione della cinta ha origine nella metà del 1600. una terribile carestia accompagnata da una virulenta pestilenza mieteva centinaia di vittime in tutta la Calabria superiore, dallo Ionio al Tirreno.
Fu in questo tragico momento che la popolazione di San Sosti e di tutti gli altri paesi vicini si posero sotto la protezione della Madonna. Il legame simbolico tra la Madonna e i suoi figli è rappresentato dalla Cinta, una lunga cordicella imbevuta di cera adagiata in un canestro ornato di fiori. La prima domenica di maggio di ogni anno una fanciulla vestita di bianco reca il canestro in processione e lo offre alla Madonna come per rinnovare quell’antico patto tra la Madonna ed i suoi figli.
Giunta sul sagrato della chiesa, la cinta, ridotta in piccoli pezzi, viene distribuita ai fedeli per accenderla nei momenti di pericolo e di sconforto.

I BRIGANTI
           
La tradizione orale racconta che la cicatrice sotto l’occhio destro della Madonna fu procurata da alcuni briganti che si nascondevano nella gola del Pettoruto.
Per dimostrare che la sacra immagina non era miracolosa, si recarono sul posto e con un pugnale incisero la piccola ferita dalla quale sgorgò sangue.
Gery, il capo dei briganti che aveva vibrato il colpo, stramazzò ai piedi dell’altare come fulminato e rimase tramortito mentre gli altri fuggirono terrorizzati.




giovedì 10 luglio 2014

L’AMBASCIATORE D’ISRAELE IN ITALIA, NAOR GILON, SCRIVE AL DIRETTORE DEL QUOTIDIANO LA REPUBBLICA




Caro Direttore, Il conseguimento della pace fra Israele e i suoi vicini e fra Israele e il popolo palestinese non è per noi soltanto una questione di politica estera. La pace è da sempre una profonda aspirazione del popolo ebraico, radicata a fondo nella tradizione ebraica e invocata da ogni ebreo credente molte volte al giorno, durante le preghiere.
Purtroppo lo Stato d’Israele si trova nuovamente di fronte alla necessità di reagire con potenza alla serie di assassini, incessanti attacchi missilistici contro la popolazione civile condotti da Hamas, nota a tutta la comunità internazionale, comprese Italia ed Europa, come sanguinaria organizzazione terroristica. In questi giorni piovono su Israele centinaia di missili, anche su Tel Aviv e Gerusalemme. Circa due terzi degli israeliani vivono attualmente sotto minaccia per le loro vite. Nessun governo al mondo tollererebbe una simile situazione.
La condotta di Hamas non sorprende; basta leggere la sua carta costitutiva, che invoca la distruzione dello Stato d’Israele e l’uccisione degli ebrei, che non riconosce l’esistenza d’Israele, e che promuove la stessa ideologia di altre organizzazioni estremiste del Medio Oriente, come l’ISIS in Iraq che soltanto una settimana fa ha dichiarato anche di voler conquistare Roma. Il terrorismo è terrorismo, e la lotta per sconfiggerlo deve essere condotta insieme.
Nonostante tutto ciò, il Presidente dell’Autorità Palestinese Abu Mazen ha scelto di stipulare un patto, qualche settimana fa, proprio con Hamas, facendo così saltare il tavolo dei negoziati con Israele. L’accordo della cosiddetta “riconciliazione” ha permesso a Hamas di essere uscita dall’isolamento in cui si trovava e ha ottenuto legittimazione e sicurezza per poter riprendere, in modo ancora più intensivo, le azioni terroristiche da Gaza e anche nella West Bank. Il rapimento e l’efferato assassinio dei tre adolescenti israeliani e il lancio incessante di decine di missili contro civili innocenti sono il risultato di tutto ciò.
Se l’obiettivo dell’esecutivo di unità nazionale era quello di creare un governo palestinese unitario, perché Abu Mazen non ferma il lancio incessante di missili da Gaza? La conclusione che se ne trae che Abu Mazen non ha alcuna capacità di attuare la propria responsabilità a Gaza, oppure non ne ha la volontà. Entrambe le opzioni sono gravi.
Quando in Israele degli estremisti hanno deciso di compiere l’esecrando assassinio del ragazzo palestinese, la classe politica israeliana ha condannato l’omicidio, e gli apparati preposti all’applicazione della legge si sono adoperati intensamente e sono riusciti ad arrestare i responsabili. Costoro saranno puniti tutti nella maniera più severa possibile. In Israele non vi è alcuna tolleranza per la violenza e per chi si fa giustizia da solo.
È tempo che la Comunità internazionale faccia rispettare le condizioni che essa stessa ha stabilito per Hamas, : riconoscimento di Israele, degli accordi precedenti e l’abbandono del terrorismo. È anche tempo che il Presidente dell’Autorità Palestinese rompa quest’alleanza con Hamas e ritorni al tavolo dei negoziati con Israele senza precondizioni.
L’unica via per giungere a una soluzione concordata di due stati per due popoli passa attraverso l’unione degli elementi pragmatici contro quelli estremisti e attraverso il negoziato.


"Ansia, una questione di sesso… e geni" - A cura di Giovanni Rimola


Articolo a cura di Giovanni Rimola

______________________________________________________________________________________________________________________________________

Che le donne siano per natura più ansiose non è solo un preconcetto culturale: la dimostrazione scientifica arriva dall’Isn-Cnr di Catanzaro, in collaborazione con l’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma. Alla base di questa predisposizione sembrerebbe esserci una variante del gene 5-Httlpr, implicato nella regolazione della serotonina. La ricerca è stata pubblicata su “Social Cognitive and Affective Neuroscience”.
L’ansia è una normale emozione, che tutti gli esseri umani provano, e ha la funzione fondamentale di segnalare situazioni pericolose o spiacevoli, mediante le modificazioni fisiologiche prodotte dall’adrenalina che entra in circolo nel sangue. Entro certi livelli, dunque, l’ansia è necessaria in quanto ci consente di affrontare situazioni temute e stressanti. Se però supera certi limiti, può diventare anche la base per lo sviluppo di disturbi quali attacchi di panico e fobie. Negli ultimi anni le moderne neuroscienze hanno dimostrato che esiste una certa predisposizione nell’essere ansiosi: in particolare, una variante del gene 5-Httlpr, che regola l’espressione della serotonina, causa al soggetto portatore un aumento della quantità di questo neurotrasmettitore, capace di modulare i comportamenti emotivi.
I ricercatori dell’Istituto di scienze neurologiche del Consiglio nazionale delle ricerche (Isn-Cnr) di Catanzaro, coadiuvati da Gianfranco Spalletta dell’Irccs Fondazione Santa Lucia di Roma, hanno realizzato una ricerca sull’anatomia cerebrale di centinaia di soggetti sani dimostrando come l’effetto di questa variante genetica a livello cerebrale sia molto influenzata dal sesso: le donne hanno una diversa regolazione e livelli di serotonina maggiori rispetto agli uomini. Lo studio è stato condotto utilizzando le più avanzate metodiche di neuroimaging ed è stato pubblicato sulla rivista Social Cognitive and Affective Neuroscience.
“L’obiettivo di questa ricerca era scoprire l’esatta interazione tra predisposizione genetica e sesso e studiare più a fondo le basi neurobiologiche dell’ansia ma soprattutto se esiste un biomarcatore cerebrale implicato nella patologia affettiva”, afferma Antonio Cerasa, ricercatore dell’Isn-Cnr di Catanzaro. “Quello che abbiamo scoperto è che le donne portatrici della variante genetica che conferisce una disregolazione della serotonina sono più ansiose degli uomini e questa predisposizione si manifesta, a livello neurobiologico, con un’alterata anatomia di una regione chiave nella regolazione dell’emozione: l’amigdala”.
Il ruolo di questa piccola regione cerebrale è già ben noto in ambito clinico: “Pazienti affette da disturbi psichiatrici con base ansiosa (bulimia nervosa, disturbi antisociali), sono caratterizzate da alterazioni a livello anatomico e funzionale di quest’area”, conclude il ricercatore. “Grazie ai risultati di questo studio è possibile immaginare che un giorno, non molto lontano, con un semplice esame del sangue e una risonanza magnetica, sarà possibile individuare le persone che possono avere una più marcata vulnerabilità allo sviluppo di comportamenti patologici”.


Giovanni Rimola / Fondazione Santa Lucia

(da “La Stampa” – “Il Sole 24 Ore”) 

mercoledì 2 luglio 2014

LO STILE GOTH NON UNA MODA MA UN FENOMENO CULTURALE IN PIENA AFFERMAZIONE



Articolo a cura di Pamela Ainge
______________________________________________________________

Noi tutti abbiamo visto, se non di persona, ma in media, il GOTH stereotipo, vestito di nero, lo guardiamo come fosse uscito da un romanzo storico: visi pallidi, make-up scuro, personaità ed espressioni meditabondi.
In realtà è un malinteso comune che i Goth siano depressi, che adorano Satana, che sono cattivi e odiano e vogliono uccidere tutti. Niente più lontano dalla verità; anzi, sono generalmente persone simpatiche e ma molto ponderate .... sono normali, proprio come voi e me .
Ma, cos'è lo stile Goth, chi sono i ragazzi/e Gothic?
La sottocultura gotica è iniziata in Inghilterra negli anni '80 e presto si è diffusa in tutta Europa, grazie, soprattutto al nuovo genere musicale: il rock Epic-Gothic che trova la sua massima affermazione con la band finlandese dei Nightwish, a partire dal 1998.
Il suo immaginario e propensioni culturali indicano influenze dalla letteratura gotica del XIX secolo, romanzi come "La leggenda di Sleepy Hollow " (il cavaliere senza testa) o il romanzo del XVII secolo, " Il Castello di Otranto" o addirittura il classico romanzo " Dracula". Letteratura gotica e dell'orrore, ha svolto un ruolo significativo in tutta l'evoluzione di questa cultura, scrittori classici come Edgar Allan Poe e di altri autori romantici tragici sono diventati emblematici del genere. L'eroe byroniano, in particolare, è stato un precursore fondamentale per l'immagine GOTH maschio mentre ritratti cinematografici di Dracula ha affascinato scrittori contemporanei come Anne Rice ( Intervista col vampiro , LE STAT ecc) hanno continuato lo stile gotico.
Non è solo l'immagine che contraddistingue lo stile Goth, ruolo significativo assume la musica nella definizione del genere, band come BAUHAUS, Siouxsie e Banshees, ne sono l'embelma.
 Il look tenebroso, con i loro cantanti solisti iconici, imitato dai seguaci dello stile Goth, ispirati dai personaggi di film horror, aiutano a definire questa cultura cha ha aperto una nuova era della musica "Metal.
Nel corso degli anni numerosi film sono stati girati che hanno influenzato e perfezionato lo stile, film come Edward mani di forbice, Beetlejuice e Batman.
 Ma, il film che ha aperto il nuovo filone iconografico "Goth" è il corvo, accompagnato dalla colonna sonora appropriata alle immagini ha direttamente dalla musica gothic e stile. E' proprio il protagonista de "Il Corvo" che da inizio alla graphic novel "The Sandman" (il ragazzo triste); da qui, un nuovo mondo di immagini e simboli che caratterizzano il nostro tempo.
La cultura Goth ha influenzato anche molti artisti, pittori, fotografi, anche di fama mondiale e registi cinematografici. In gran parte, la loro produzione è basata sul misticismo romantico e oscuro; spesso comprende opere d'arte erotica e immagini di vampiri o fantasmi ( ANNE Sudworth, ZDZISLAW BEKINSKI e forse più famoso HR Giger FILM ALIEN).
Dal punto di vista figurativo lo stile Goth è vistosamente oscuro, inquietante, misterioso, complesso ed esotico: capelli tinti di nero, occhi contornati di linee nere, volto molto pallido, accentuato con fard bianco, unghia smaltate di nero. Il vestiario è molto più complesso che prende come modelli elementi del periodo medievale, elisabettiano, vittoriano.
Generalmente si identifica lo stile Goth con la violenza, con la sofferenza, con la morte; niente di più sbagliato, è una filosofia di vita legata alla migliore espressione del "Classicismo", conferisce alla morte la giusta collocazione ed il senso del timore reverenziale, che purtroppo ha perduto nel nostro tempo.
I "goth" non sono, dunque, persone violente, anzi, la tolleranza ed il rispetto sono alla base della loro filosofia, soffrono e sentono il peso del male di una sociatà malsana basata sull'apparenza, sul fugace. Non si identificano con alcun colore politico, la loro  l'ideologia principale è l'enfasi sull'individualismo e la creatività, tentende verso intellettualismo e la tolleranza verso ogni diversità. I giovani sono attratti da questi aspetti.
 Infine, forse le persone che scelgono di percorrere una strada diversa dal "normale", che scelgono di essere diversoi, di stare fuori dalla folla, dovrebbero essere ammirati per il loro coraggio e la loro responsabile individualità piuttosto che temuti, ridicolizzati o evitati.



mercoledì 23 aprile 2014

Scoperta tomba di faraone della XIII dinastia


ARTICOLO PUBBLICATO IN "MARTUS JOURNAL" DI GENNAIO 2014 A CURA DI ARAHAM ALEXANDER
_____________________________________________________________________________________________________________

Ancora una tomba, ma, questa volta, la rilevanza della scoperta è decisamente maggiore. A sud di Abido, la missione della Pennsylvania University diretta da Daniel Wagner ha individuato la sepoltura di uno dei faraoni della XIII dinastia, un Sobekhotep ancora non identificato. Già nel 2013, gli archeologi avevano liberato dalla sabbia un enorme sarcofago in diorite, ma, continuando lo scavo, è venuto fuori il resto della tomba che doveva essere a piramide con una struttura interna in calcare e la camera sepolcrale rivestita in diorite rossa. Tra i reperti, spiccano delle parti di vasi canopi e, soprattutto, i frammenti di stele che recano la parte superiore del cartiglio del faraone. Ora, si attende il proseguimento dei lavori che potrebbero portare nuova luce su un’epoca ancora poco chiara come quella del II Periodo Intermedio.






venerdì 14 marzo 2014

I SETTE ANGELI, NUOVE SCOPERTE - A CURA DI ANGELO MARTUCCI

    I Sette Angeli
Tre sono i nomi di arcangeli che la Bibbia ci fornisce: Michele, Gabriele, Raffaele; ma se si legge attentamente il Testo Biblico si scopre che in realtà gli arcangeli erano sette, come ci dice il Profeta Tobia nel suo Libro: Uriele, Sealtiele, Geudiele, Barachiele. 
Ma allora perchè la liturgia cattolica ci presenta solo tre di loro? E chi sono gli altri quattro? La risposta non è molto semplice da spiegare e da comprendere. Nel quarto secolo dell'era cristiana (363-364), il Concilio di Laodicea, per contrastare le numerose forme di magia che si innestavano sul nascente cristianesimo, fece divieto, pena la scomunica con l'espulsione dalla Chiesa, non solo dei fedeli che praticavano la magia, gli incantesimi, la stregoneria, l'astrologia e la fabbricazione di amuleti e talismani, ma anche coloro che praticavano il culto degli angeli che aveva assunto forme eccessive ed idolatriche. Da quel momento in poi, venne dunque, proibito il culto dei quattro arcangeli, che tuttavia si mantenne nella tradizione orale e in alcuni casi rappresentato in chiese di periferia e in alcune chiese importanti come quella antichissima di S. Angelo a Palermo, dove nel 1516 fu scoperto un affresco che raffigurava i sette arcangeli con i loro sette nomi. Anche nella Cattedrale di San Marco a Venezia esisteva un antico mosaico che rivestiva la volta dell'altare maggiore. Adesso questo mosaico non esiste più, ma esiste una tela dipinta nel 1513 che ritrae la Vergine con i sette angeli, raffigurata sull'antico mosaico prima che questo venisse sostituito. La tela si trova attualmente nella chesa i Santa Maria deglia Angeli a Roma. Un'altra scoperta piùttosto recente è avvenuta nella chiesa di S. Cecilia in Trastevere a Roma: Qui è stato riportato alla luce un affresco del XIII secolo che raffigura il Cristo Pantokrator contornato dai sette Angeli con ai lati la Vergine e San Giovanni Battista.

Palermo: tela settecentesca che riproduce l'antico affresco ora perduto

Ma ritorniamo all'affresco scoperto a Palermo perchè, assieme ai sette Angeli è raffigurato un ottavo angelo. Ripulito l'affresco con olio, le immagini apparvero in tutto il loro spelndore: le immagini erano dispote su tre ordini. Nel primo erano raffigurate la creazione del mondo e degli Angeli, Lucifero, ancora in stato di grazia e Michele davanti al trono di Dio.
Ma chi è veramente Lucifero? Il suo nome significa "Portatore di luce" dal latino Lux (luce) e ferre (portare). 
Ci fu un tempo in cui Lucifer era il più vicino a Dio, era l'angelo più bello tra tutti gli angeli, la sua bellezza era seconda solo a quella di Dio. Era la "Stella del Mattino", la più luminosa tra tutte le stelle. Quando Dio annunciò ai suoi Angeli che voleva dare agli uomini (sue creature) una possibilità di salvezza inviando sulla Terra il suo Figlio Unigenito come Uomo tra gli uomini, Lucifer, che odiava il genere umano in quanto lo riteneva immondo e corroto, rifiutò di accettare la volontà divina ed inginocchiarsi al cospetto della Natura Umana di Gesù. Si ribellò con i suoi seguaci scatenando una guerra nel Regno dei Cieli. Fu sconfitto da Michele e precipitato nelle viscere della terra. 
Nella Divina Commedia Dante lo descrive come una figura terrificante: con le ali di pipistrello, con tre facce, una rossa, una bianca e una gialla; con tre bocche, in ognuna delle quali vengono dilaniati e scorticati in eterno i traditori Giuda, Bruto e Cassio e mentre li divora dalla barba  di Lucifer scola sangue mescolato a lacrime...Le lacrime del pentimento per essersi ribellato a Dio.

mercoledì 19 febbraio 2014

LE CIVILTA' PERDUTE DEL NORD AMERICA

 
Articolo pubblicato in "Martus Journal" di Gennaio 2014
a cura di
Robert C. WuolfRuns Morrison
______________________________________________________________________________________________________________

In sostegno alla pretesa che esista una storia nascosta dell’antica America, il presentatore del documentario "The Lost Civilizations of North America", formula un certo numero di domande fondamentali, come: "La maggior parte degli americani non ha idea del fatto che antiche città con architetture progredite costellassero un tempo il paesaggio dell’antico Nord America. Perché i grandi storici non sapevano queste cose e perché esse non sono generalmente note al grande pubblico?"

               Tullockchishko: Guerriero Nativo



Secondo gli autori del documentario  che c’è stata una cospirazione per nascondere la vera storia del Nord America, tanto che persino "i grandi storici" non ne sanno nulla. A conferma di tale asserzione, i produttori hanno intervistato Roger Kennedy, ex direttore dello Smithsonian's National Museum of American History negli anni 1979-1992 e del National Park Service dal 1993 al 1997. Kennedy ammette che persino nei primi anni 1990 egli non era al corrente del fatto che "importanti resti urbani esistessero in Nord America".
Si tratta di un’affermazione curiosa, visto lo stato della conoscenza archeologica nei primi anni 1990. È possibile che Kennedy o non abbia capito la domanda o ne abbia frainteso lo specifico contesto. Ma da questa candida e onesta personale ammissione di un sono storico non deriva che, come gruppo, gli archeologi e gli storici fossero tutti disinformati e che i capi riconosciuti della comunità scientifica fosse le vittime (o forse gli autori) d’una cospirazione di silenzio. È problematico che i produttori abbiano basato una conclusione su ciò che era semplicemente un caso, prima di porre la domanda cruciale: "Perché i maggiori storici non sapevano nulla di queste cose?" Era questa la situazione generale nei primi anni '90? È forse vero oggi? Nei fatti, non era così allora e non lo è oggi. Per rispondere meglio a una tale domanda, basterebbe sfogliare la Guida ai Dipartimenti di Antropologia (pubblicata dall’Anthropological Association, un’organizzazione professionale americana). Dalla guida si può vedere che ci sono letteralmente centinaia di archeologi che hanno dedicato le loro carriere allo studio delle culture dei costruttori di tumuli e decine di programmi universitari che trattano tale argomento.
Che molti (la maggioranza degli) americani non conoscano molto o nulla dei costruttori di tumuli è purtroppo un fatto vero, ma tale ignoranza fa parte di una questione più ampia. La maggior parte degli americani non sa molto delle culture dei Nativi Americani, il che è naturalmente una vergogna. 
Gli archeologi professionisti nelle università e nei musei hanno pubblicato diversi volumi sulle antiche civiltà dei Nativi Americani, stando molto attenti a non dare troppa importanza ai grandi tumuli ed ai loro costruttori. Il problema, in realtà è un altro: nelle vicinanze dei grandi tumuli non ci sono tracce archeologiche di abitati urbani di considerevoli dimensioni o comunque elementi che lascino pensare a grandi città ad eccezione di Cahokia.


    Il Santuario di Cahokia
 
Tutti gli altri grandi tumuli del Nord America mostrano un aspetto differente da quello di un insediamento: non erano città, ma piuttosto centri cerimoniali con poca popolazione residente, circondati da numerosi piccoli centri dispersi su un’ampia area tutto intorno. La gente che viveva in quei piccoli villaggi produceva il surplus (in termini di alimenti, ricchezza e lavoro) che manteneva l’élite rituale che viveva nei centri sui tumuli. In un esempio particolarmente notevole di deformazione della terminologia, il documentario definisce il terrapieno che racchiude le opere di terra di Newark in Ohio come "mura della città". È un nonsense. Le opere di terra di Newark includono una serie spettacolare di dodici chilometri quadrati di recinti geometrici e tumuli di diversi profili e dimensioni, ma non c’è alcuna evidenza archeologica di una popolazione urbana, né qui né in altre opere di terra monumentali della cultura Hopewell. Ma allora, dove viveva la popolazione?
Dalle ultima ricerche si comprende che i siti di Newark Earthworks, Poverty Point in Louisiana, Town Creek Mound in North Carolina, o Crystal River Mounds in Florida non erano città ma grandi santuari extra-urbani.
    Miamisburg Mound, Ohio
 
A maggior ragione, ci dobbiamo domandare dove di abitavano i costruttori di questi grandi santuari.
Una delle questioni più affascinanti domande che i nuovi archeologi si pongono in merito è come potesse una popolazione dispersa in piccoli villaggi, priva di re ereditari o faraoni, essersi organizzata nel lavoro di costruzione di simili imponenti opere di terrapieni.
Un'altra questione è la domanda perché questi siti non sono stati preservati? E perché queste civiltà progredite non sono oggi comunemente conosciute? Il dubbio è che i coloni volessero pulire le loro coscienze riguardo all’espropriazione dei popoli nativi dalle loro terre.
Il fatto è che l’esistenza dei tumuli apparisse come un problema, a coloro che concepivano la cultura dei Nativi Americani come fondamentalmente primitiva e destinata all’estinzione.
Per motivi religiosi e politici, gli esperti moderni (come nel passato, XIX-XX sec.) concordano nel proseguire la distruzione" dei siti dei tumuli nell’intento di eliminare l’evidenza di un’antica civiltà nativa in Nord America.
Fortunatamente, la New Archeology è di avviso completamente differente: molti siti di tumuli sono aperti al pubblico, e in molti ci sono musei in cui il pubblico può apprendere la storia degli antichi abitanti. Un recente elenco comprende almeno settanta tumuli salvaguardati e siti di terrapienti negli stati dell’Indiana, Kentucky, Ohio, e West Virginia, preservati e accessibili al pubblico. Tra i più importanti: Hopewell Culture National Historic Park, Serpent Mound, the Newark Earthworks, e Fort Ancient Earthworks. Questi siti, insieme con il Poverty Point National Monument, sono stati recentemente posti in una lista dell’U.S. Department of the Interior per essere proposti all’UNESCO per la World Heritage List. Cahokia Mounds in Illinois è già uno dei pochi siti preistorici degli Stati Uniti compreso nella World Heritage List. Non solo: recenti statistiche dello Hopewell Culture National Historic Park in Ohio mostrano che i visitatori annui di questo sito di tumuli sono fra 30 e 40.000. Sempre in Ohio, più di 20.000 persone hanno visitato Serpent Mound nel 2010. Cahokia accoglie un pubblico di circa 320.000 persone all’anno.
 

venerdì 10 gennaio 2014

QUASI CONCLUSO L’ITER BUROCRATICO PER LA PROMOZIONE DELLA “PICCOLA POMPEI” DI PAUCIURI.


Articolo pubblicato in "Martus Journal" di Ottobre 2013 a cura di Giovanni Cristofalo, sindaco di Malvito (CS)
___________________________________________________________________________

Mentre continuano senza sosta i lavori di pulizia dell’area archeologica di Pauciuri, “la piccola Pompei calabrese” (come provocatoriamente l’ho voluto battezzare tre anni fa), che è stata dignitosamente tolta dal degrado in cui versava, comunico che lunedì scorso si è tenuto una ennesima, e speriamo ultima,riunione operativa presso la sede della Regione Calabria con l’Assessore alla Cultura Mario Caligiuri.
Mi è stato garantito che siamo quasi giunti alla fase terminale dell’interminabile iter burocratico. Un lungo percorso che ci ha tenuto anche con il fiato sospeso poiché il finanziamento di 300.000 euro ottenuto con grandi sacrifici e destinato alla promozione e fruizione degli scavi di Pauciuri, rischiava di essere “dirottato” su Sibari, dopo la drammatica alluvione dello scorso anno che ha causato notevoli danni alle strutture archeologiche della cittadina ionica.
A tal proposito voglio ringraziare anche il Vice Ministro ai Beni Culturali con la quale ho avuto un incontro a Diamante ed alla quale avevo rivolto un accorato appello affinché potesse autorevolmente intervenire. Devo dire che l’On. Simonetta Giordani, su questa problematica ha dimostrato molto sensibilità.
Vedete non sono un “visionario”, anzi sono molto pragmatico, ma spero vivamente di poter realizzare un sogno che è quello di poter contribuire a costruire un futuro migliore per la nostra cittadina. Sono convinto che solo investendo sulle nostre risorse è possibile creare occasioni di sviluppo e di crescita economica per noi, per i nostri figli e le prossime generazioni che verranno. Occorre crederci anche se il momento è sicuramente brutto.
E’ un percorso lungo e tortuoso ma chi semina prima o poi qualcosa raccoglie!

Esedra, I sec. d.C.

Natatio, I sec. d.C.

Natatio, I sec. d.C. (part.)