domenica 19 marzo 2017

Classificato 15° tra 59 progetti da 5 Regioni italiane APPROVATO DAL MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA' CULTURALI E DEL TURISMO PROGETTO "TRANSUMANZE CULTURALI TRA DUE PARCHI" PER UN IMPORTO COMPLESSIVO DI 100 MILIONI DI EURO


Classificato 15° tra 59 progetti da 5 Regioni italiane

APPROVATO DAL MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA' CULTURALI E DEL TURISMO PROGETTO "TRANSUMANZE CULTURALI TRA DUE PARCHI" PER UN IMPORTO COMPLESSIVO DI 100 MILIONI DI EURO

Finalmente qualcosa si muove! E' grazie all'immane lavoro di progettisti seri e professionali presenti sul territorio, coscienti delle sue vicissitudini e soprattutto consapevoli dell'immenso Patrimonio Culturale presente, che attualmente versa in uno stato di pietoso abbandono e degrado,  che il Ministero dei Beni Culturali ha accolto e finanziato il progetto "Transumanze Culturali tra due Parchi con Decreto MiBACT Segreteria Generale Rep. Decreti 16.2.2017, n° 5.
L'importo complessivo del finanziamento, che prevede interventi per la valorizzazione delle aree di interesse culturale, è di 100 Milioni di Euro. In seguito alla firma del protocollo d'intesa tra il comune capofila e il Ministero, tutti i comuni partner dovranno attivarsi e progettare interventi seri inerenti alle linee programmatiche del progetto. Il comune capofila è Castrovillari, ma l'aspetto più importante è che per la prima volta entrano in un contesto così vasto i comuni della valle dell'Esaro, che per troppo tempo sono stati abbandonati a se stessi dalle istituzioni superiori: San Marco Argentano, San Sosti, Santa Caterina Albanese, Sant'Agata d'Esaro, Tarsia, Roggiano Gravina, Mottafollone, Malvito e San Donato di Ninea.
Ma i tempi di attuazione sono assai ristretti, entro giugno si deve produrre un documento strategico di comune interesse, che prevede lo studio, il recupero, la valorizzazione, la divulgazione e infine la fruizione delle aree di interesse archeologico e culturale presenti su questa parte di territorio italiano tra le più belle e suggestive al mondo.  

venerdì 17 marzo 2017

GARIBALDI FU UNO DEI CRIMINALI PIU' SPIETATI DELLA STORIA AL PARI DI HEINRICH HIMMLER! Al Sud gli intitolano piazze e corsi principali...



GARIBALDI FU UNO DEI CRIMINALI PIU' SPIETATI DELLA STORIA AL PARI DI HEINRICH HIMMLER!
Al Sud gli intitolano piazze e corsi principali...
A Cura di 
Angelo Martucci
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Dal diario del garibaldino Carlo Margolfo, sulla distruzione di Pontelandolfo (Benevento)  edito a cura di Laura Meli Bassi e Gino Fistolera: “Al mattino del mercoledì, giorno 14, riceviamo l'ordine superiore di entrare nel comune di Pontelandolfo, fucilare gli abitanti ed incendiarlo. ...Difatti un po' prima di arrivare al paese incontrammo i briganti attaccandoli, ed in breve i briganti correvano davanti a noi. Entrammo nel paese: subito abbiamo incominciato a fucilare i preti ed uomini, quanti capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato l'incendio al paese, abitato da circa 4.500 abitanti”.
    Fucilazione di Vincenzo Petruccelli

Quale desolazione!”, ricorda il bersagliere con raccapriccio: “Non si poteva stare d’intorno per il gran calore, e quale rumore facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante l’incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente mancava, ma che fare? Non si poteva mangiare per la gran stanchezza della marcia di 13 ore: quattordicesima tappa. Fu successo tutto questo in seguito a diverse barbarie commesse dal paese di Pontelandolfo: sentirete, un nido di briganti…”
Come andassero intesi questi “briganti”. Banditi? Patrioti? L’uno e l’altro? Eppure, di questa e di altre migliaia di pagine come questa vengono taciute, nascoste!
    La banda Giordano - Cerreto Sannita.

                                                         Brigante Carmine Crocco

"E intorno a noi il timore e la complicità di un popolo. Quel popolo che disprezzato da regi funzionari ed infidi piemontesi sentiva forte sulla pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E chi poteva vendicarli se non noi, accomunati dallo stesso destino? Cafoni anche noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come l'erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti, molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana ed astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di qualcosa, a cominciare dall'anima. È vivere di ciò che si ama. Vento forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così sempre sarà..." – Carmine Crocco

Giuseppe Nicola Summa (Ninco Nanco)


                             Il brigante Cateno Martuccci (Banda Muro Lucano)


                           Brigantessa Michelina De Cesare (Banda Muro Lucano)


              Brigante e Brigantessa 

                         Brigantessa Filomena Pennacchio

Brigantesse

Esistono retoriche e simbologie assai efficaci a catturare l'animo umano. Fra queste, la retorica di guerre patriottiche e nazionalistiche che si basa sul racconto di eventi storici che suscitano orgoglio, commozione e senso di trascendenza morale. Per ottenere questo risultato, le autorità si mostrano disposte anche a mistificare gravemente i fatti, creando falsi eroi o false imprese eroiche. E' il caso degli eventi che portarono all'unità d'Italia, passati alla storia come "Risorgimento italiano". A scuola ci hanno raccontato una montagna di bugie, ci hanno fatto credere che tutti gli italiani volevano l'unità, unico obbiettivo era quello di cacciare dal Sud i Borbone, oppressori e tiranni. Questa è la più grande menzogna architettata a pennello per giustificare uno tra i più gravi genocidi della storia moderna, forse anche più del Nazismo. Personaggi come Garibaldi, Bixio, Cavour, Vittorio Emanuele II, non è un'esagerazione, oggi, alla luce delle verità storiche, paragonarli ai più spietati gerarchi nazisti. In una lettera mandata da Bixio alla moglie si legge:" La Sicilia è un Paese che bisognerebbe distruggere e mandarli in Africa a farsi civili". Certamente Cavour non aveva nessuno interesse a migliorare le condizioni del Sud, visto che lui apparteneva all'aristocrazia piemontese, la sua famiglia era tra le più ricche del Piemonte.  Mentre, l'unico progetto di Vittorio Emanuele era quello di distruggere una tra le più grandi potenze europee, il regno borbonico e spogliare il Sud di tutti i suoi averi e così fu! E con quali nazioni si allea? Inghilterra e Francia. Ma di questo si discuterà in altra sede.
Lo sbarco di Marsala dell'11 Maggio 1860, in realtà fu favorito dalla flotta inglese, ormeggiata nel porto di Marsala. Tra i garibaldini c'erano ogni sorta di criminali, come aveva scritto lo stesso Garibaldi, Crispi arruolava di tutto: ladri, assassini, stupratori e delinquenti di ogni genere. Lo stesso Garibaldi, prima che venisse definito dalla propaganda "eroe dei due mondi" era considerato un criminale avendo praticato il traffico di schiavi, il saccheggio e il massacro indiscriminato in guerra. Così, l'impresa dei mille fu la più grande bugia storica mai raccontata: i Borbone avevano un esercito composto di 250. 000 mila soldati, ma in Sicilia ne mandarono circa 2500, probabilmente con l'ordine di non combattere. Le grandi vittorie contro l'esercito borbonico furono pura invenzione. Gli sconfitti, in realtà furono contadini e pastori siciliani, calabresi, lucani, napoletani, pugliesi, molisani e abruzzesi. Guarda caso, dell'impresa dei Mille non si sa praticamente nulla, se non le favole da raccontare ai bambini prima di dormire. Nel febbraio del 1861 fu dato incarico ad Ippolito Nievo, che era il responsabile amministrativo della missione dei mille, di recuperare la documentazione in merito e portarla a Torino, ma stranamente la nave che la trasportava affondò... E così, la documentazione rimase sepolta per sempre in fondo al mare...!  
Ma il genocidio di un intero popolo arrivò al culmine proprio a partire dello sbarco di Marsale: interi paesi furono bruciati, saccheggiati, centinaia di migliaia di povera gente fu trucidata senza pietà. A Fagnano Castello, in provincia di Cosenza, per esempio, furono fucilati in piazza 160 contadini solo perchè erano sospettati di essere imparentati con i briganti. Nel carcere di San Sosti (CS) vennero ammassati decine di briganti e sospettati di brigantaggio in spazi angusti, condizioni sovrumane, tanto che in un comunicato dello stesso Fumel si legge: “sarebbe il caso di sgomberare le galere del Municipio di Santo Sosti dal momento che i topi hanno incominciato a mangiare i detenuti e si sente un gran fetore anche a molta distanza”. Con il termine “sgomberare” Fumel intendeva certamente, non liberare i detenuti.
Pontelandolfo, Fagnano e San Sosti sono solo tre esempi di sterminio indiscriminato e ingiustificato che i criminali garibaldini prima e l’esercito di occupazione piemontese poi portarono a termine nel Sud della Nostra Penisola. L’unità dell’Italia è basata su un mare di sangue, il sangue di contadini e pastori che, che la storia ufficiale ha chiamato “Briganti” ma che in realtà era la povera gente che difendeva la loro terra la loro casa, la loro famiglia dall’invasore straniero. All’inizio del Novecento era più di un milione di morti il bilancio della cosiddetta "guerra per l'unità".

LA STRAGE DI FAGNANO CASTELLO E SAN SOSTI: PIETRO FUMEL UN DEMONIO CHE LA STORIA HA PRESENTATO 
COME UN EROE
Il genocida garibaldino Pietro Fumel

L’esercito invasore savoiardo o neo-italiano nel tentativo di reprimere chiunque non accettasse di buon grado l’invasione e la vessazione italiana, decise di sedare le ribellioni di intere città dove le popolazioni si erano permesse di ribellarsi alle sevizie e all’arroganza dei soldati conquistatori, all’oppressione fiscale dei politici italiani da poco insediatisi ma già abbondantemente farabutti.  Così si diede sfogo ai più bassi istinti su popolazioni inermi con decapitazioni, sevizie, roghi umani e tutto ciò che l’immaginazione di questi “eroi” creava si trasformata in realtà ed ha dato origine a una delle infinite pagine ingloriose dell’esercito italiano incapace di vincere con i forti ed arrogante e forte con i deboli. Una pagina che gli storici si ostinano a chiamare “risorgimento”. Si censurò la vera storia e non per vergogna, ma per la paura che in Europa si sapesse che quello che si definiva “lotta al brigantaggio” era solo una sporca guerra di conquista combattuta non con un esercito ad armi pari ma con un esercito di contadini straccioni che volevano solo difendere quello che era loro. Ricordiamo che a tutt’oggi l’esercito proibisce l’accesso pubblico ai loro archivi storici.  Si è trattato di un vero e proprio genocidio attuato su ordini ben precisi e compiuto contro i popoli del sud della penisola italica. Successivamente alla nefasta unità d'Italia, si accese una violenta risposta del popolo all’occupazione militare del Regno perché tutti si accorsero che la situazione era profondamente peggiorata. E così l’esercito invasore rispose con i suoi uomini peggiori “i macellai” come il col. Pietro Fumel che fu mandato in Calabria (nel Cosentino) per domare il "brigantaggio". E la repressione attuata da Fumel fu spietata, perché usò i metodi più estremi per eliminare i partigiani delle Due Sicilie , ricorrendo alla tortura e al terrore, senza distinzioni tra "briganti" e "manutengoli" o presunti tali e a prescindere dalla minima osservanza di qualsiasi garanzia legale o umana. 
Briganti uccisi

Uccisione del Brigante Santaniello


Uccisione del Brigante Ninco Nanco


Uccisione del Brigante Antonio Caprariello

Le vittime venivano decapitate e le loro teste venivano impalate come avvertimento per chi aderiva o appoggiava le "bande brigantesche" , altri cadaveri venivano gettati nei fiumi.  Persino il suo più stretto collaboratore, l'ufficiale Auguste de Rivarol, rimase sconcertato dalle azioni di Fumel, tanto da annotare nelle sue memorie (Nota storica sulla Calabria) i suoi pensieri sulle atrocità volute dal colonnello. Il deputato Giuseppe Ricciardi disse alla Camera il 18 aprile 1863: «Questo colonnello Fumel si vanta d'aver fatto fucilare circa trecento briganti e non briganti». Anche il macellaio garibaldino di Bronte Nino Bixio ebbe a dire: ‘Si è inaugurato nel Mezzogiorno d’Italia un sistema di sangue’. Ma balzò agli onori (e disonori) della cronaca nell’inverno del 1863 a causa della fucilazione di un centinaio di cittadini di Fagnano Castello ritenuti briganti dalle forze armate. Erano tutti briganti? Certamente molti erano poveri contadini inermi, di 27 cittadini fucilati sono stati ritrovati i certificati di morte ed erano alcune personalità della comunità fagnanese che godevano di indubbia onorabilità come l’ex sindaco nonchè notaio e un paio di possidenti terrieri.  
In una lettera del carceriere garibaldino Francesco Fenoglio a Giuseppe Ricciardi si legge: “Faccio fatica a chiudere le porte delle gabbie perché sono troppi i galeotti stipati. I topi e le blatte hanno incominciato a nutrirsi della carne di questi poveri diavoli. Si sente un fetore nauseante anche a molta distanza della galera. Ho dovuto passare la calce cruda per tentare di coprire il puzzo insopportabile. Ho inviato una lettera anche al Colonnello Fumel di stanza a Fagnano”. La risposta di Fumel non si fece attendere a lungo. I carcerati vennero decapitati a colpi di accetta come bestie, i loro corpi furono bruciati in un grande rogo nello spiazzo dove attualmente sorge il palazzo municipale e le teste impalate all’inizio del paese come avvertimento.  
Una ricerca nell’archivio storico del comune di San Sosti, condotta grazie alla disponibilità ed alla collaborazione della Signora Gilda Daniele ha accertato che nei mesi tra Febbraio e Marzo 1863 i morti residenti furono 20: 18 contadini, un falegname, un armiere. Molti altri non sono rintracciabili poiché provenienti dai comuni vicini. 
 A distanza di oltre 152 anni il 16 agosto 2015 Fagnano ha ricordato le vittime dell’assurda barbarie piemontese con una targa posta in loro onore nella speranza che ciò possa almeno dare loro un poco di sollievo a queste povere anime. Oggi che conosciamo la nostra storia abbiamo l’obbligo morale e identitario di lottare per ricostruire l’appartenenza al nostro territorio, identità che fù strappata, squartata, disonorata nel momento in cui avvenne l’invasione garibaldesca e savojarda.