domenica 25 novembre 2018

ECCEZIONALE SCOPERTA ARCHEOLOGICA: si trova esposta nel museo Artemis di San Sosti un'olla funeraria di tipo protovillanoviano con svastica incisa


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La svastica è un segno simbolico rinvenuto presso innumerevoli popolazioni dalla preistoria fino in età storica. Variamente interpretato nel quadro del simbolismo solare, essa consiste in una croce con quattro braccia di uguali lunghezza che terminano in altrettanti angoli retti volti verso sinistra. Etimologicamente il termine “svastica” deriva dal sanscrito “svastika” che a sua volta è un derivato di “svastì” (prosperità) , composto dal prefisso “su” (equivalente al greco “eu“= bene), da “asti” (verbo “as” = essere) e dal suffisso “ka” con valore diminutivo. 
La traduzione, dunque, è “benessere”.
Ma assume divìfferente significato in base al suo orientamento: se è rivolta verso sinistra, essa indica la vita, la luce, l'abbondanza. Il benessere, appunto. 
Se è rivolta verso destra indica la morte. 
Nell'età del Bronzo Finale e del primo Ferro (XII-XI sec, a.C.) è diffusa presso i protovilloanoviani e protoestruschi dell'Italia centro-meridionale e viene raffigurata sulle urne cinerarie e sulle sculture fittili rituali. 
Un rarissimo esempio è l'olla cineraria, risalente all'XI sec. a.C. rinvenuta nel comune di Bisignano (CS), conservata presso il Polo Museale della Sibaritide, attualmente esposta presso il museo Artemis di San Sosti (CS). 
Ma vediamo alcuni esempi di svastica nell'arte antica. 


1) Bambola micenea risalente all’Età del bronzo. Su di essa sono raffigurate in maniera stilizzata svastiche, esseri umani e soli, quasi a simboleggiare un connubio tra questi tre elementi. I raggi della svastica infatti sono stati paragonati ai raggi del sole ed il suo andamento allo scorrere del tempo e, quindi, delle stagioni.


2) Olla cineraria dell''XI sec. a.C. rinvenuta a Bisignano (CS), esposta presso il museo Artemis di San Sosti.


3) Nell’ Antica Grecia la svastica raggiunge la massima diffusione nel tardo geometrico (sul finire del VIII secolo a.C.), quando compare su anfore, kylix, cantari, oinochoi, pelike, crateri, ecc… Essa si presenta o come decorazione a se stante o, nella maggior parte dei casi, come sequenza ripetuta.


4) Anfora rinvenuta nell’antica Thera, l’odierna Santorini, su cui è raffigurata una colomba con la svastica. I Greci consideravano la colomba l’uccello di Afrodite, un simbolo d’amore ancor prima che i Cristiani la caricassero della valenza di fratellanza che ancora oggi mantiene.


5) Oinochoe trilobata con coperchio proveniente dalle necropoli geometriche di Maratona raffigurante una svastica isolata sul davanti.


6) Tazza geometrica corinzia la cui datazione corrisponde al  760 a.C. Anche in questo caso la svastica compare sul davanti intervallata da figure quadripartite, come quattro sono i suoi bracci.   


7) Una svastica su uno statere, una moneta greca in argento proveniente da Corinto e risalente al VI secolo a.C. I raggi questa volta sono smussati quasi a riprendere la direzione delle ali di Pegaso, il cavallo alato rappresentato sull’altra faccia del soldo.


8) Busto femminile in terracotta, acefalo, risalente VII sec. a.C. e facente parte di una decorazione architettonica. Ripetute sono le svastiche sul petto a mo’ di ornamento.


9) Simbolo della svastica su un mosaico romano del II secolo d.C, racchiuso in un triangolo i cui lati sono basi di triangoli. In questo mosaico vi è racchiuso un forte simbolismo insito nelle figure geometriche che indicano armonia e proporzione.


10) Mosaico della Villa del Casale di Piazza Armerina che ha per protagonisti due venatores (cacciatori), uno dei quali con una svastica sul bordo della tunica.

Foto (Dino Brindisi)

11) SYbaris: Ambiente mosaicato con svastica. II sec. a.C.


11) Svastica Nazista con braccia rivolte verso destra, simbolo di morte. Questa raffigurazione significava l'eliminazione di ogni nemico del popolo germanico.

lunedì 22 ottobre 2018

Mostra archeologica "MITI ED EROI"



La mostra dei reperti archeologici è la fase conclusiva di un ciclo di studi.
Prima di essere esposto, ogni oggetto viene catalogato e studiato in ogni minimo dettaglio e inserito nel contesto di provenienza, il tema. Il tema di questa mostra è il mito.
L'abbiamo dedicata alla scure martello, la famosa ascia custodita al British Museum di Londra e al suo offerente, Kyniskos, l'atleta-guerriero vincitore di ben 4 edizioni dei giochi olimpici.
I reperti esposti nelle vetrine sono oggetti di uso quotidiano, oggetti votivi, oggetti rituali.
Oggetti che ricordano il culto e la devozione a divinità come Athena, Era, Demeter, Persephone. Lo stesso Kyniskos ha tributato la sua ascia in dono a Era come ringraziamento per le sue imprese guerresche e sportive.
Non abbiamo l'ascia, purtroppo, ma abbiamo una copia fedele all'originale realizzata dal maestro Paolo Oliva che potrete ammirare durante la visita.
Particolarmente interessanti sono due olle biconiche di uso funerario, provenienti dal territorio di Bisignano, risalenti all'XI sec. a.C. Sono di tipo protovillanoviano, in uso presso gli Etruschi della Campania.
In fase di studio ci siamo accorti che una delle due olle presenta sul fondo una svastica incisa.

Questo tipo di raffigurazione rappresentava la divinità solare, la vittoria della luce sulle tenebre.

 Museo Artemis: Inaugurazione mostra "MITI ED EROI"

 Museo Artemis: Inaugurazione mostra "MITI ED EROI"


giovedì 26 luglio 2018

LETTERA ALL'AMICO SALVINI



Lettera all'amico Salvini
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Continua la fandonia dell'Islam "moderato", la commedia della tolleranza, la bugia dell'integrazione, la farsa del pluriculturalismo. E con questa, il tentativo di farci credere che il nemico è costituito da un'esigua minoranza e che quella esigua minoranza vive in Paesi lontani. Be', il nemico non è affatto un'esigua minoranza. E ce l'abbiamo in casa. Ed è un nemico che a colpo d'occhio non sembra un nemico. Senza la barba, vestito all'occidentale, e secondo i suoi complici in buona o in malafede perfettamente-inserito-nel-nostro-sistema-sociale. Cioè col permesso di soggiorno. Con l'automobile. Con la famiglia. E pazienza se la famiglia è spesso composta da due o tre mogli, pazienza se la moglie o le mogli le fracassa di botte, pazienza se non di rado uccide la figlia in blue jeans, pazienza se ogni tanto suo figlio stupra la quindicenne bolognese che col fidanzato passeggia nel parco. È un nemico che trattiamo da amico. Che tuttavia ci odia e ci disprezza con intensità. Un nemico che in nome dell'umanitarismo e dell'asilo politico accogliamo a migliaia per volta anche se i Centri di accoglienza straripano, scoppiano, e non si sa più dove metterlo. Un nemico che in nome della "necessità" (ma quale necessità, la necessità di riempire le strade coi venditori ambulanti e gli spacciatori di droga?) invitiamo anche attraverso l'Olimpo Costituzionale. "Venite, cari, venite. Abbiamo tanto bisogno di voi". Un nemico che le moschee le trasforma in caserme, in campi di addestramento, in centri di reclutamento per i terroristi, e che obbedisce ciecamente all'imam. Un nemico che in virtù della libera circolazione voluta dal trattato di Schengen scorrazza a suo piacimento per l'Eurabia sicché per andare da Londra a Marsiglia, da Colonia a Milano o viceversa, non deve esibire alcun documento. Può essere un terrorista che si sposta per organizzare o materializzare un massacro, può avere addosso tutto l'esplosivo che vuole: nessuno lo ferma, nessuno lo tocca. Un nemico che appena installato nelle nostre città o nelle nostre campagne si abbandona alle prepotenze ed esige l'alloggio gratuito o semi-gratuito nonché il voto e la cittadinanza. Tutte cose che ottiene senza difficoltà. Un nemico che ci impone le proprie regole e i propri costumi. Che bandisce il maiale dalle mense delle scuole, delle fabbriche, delle prigioni. Che aggredisce la maestra o la preside perché una scolara bene educata ha gentilmente offerto al compagno di classe musulmano la frittella di riso al marsala cioè "col liquore". E-attenta-a-non-ripeter-l'oltraggio. Un nemico che negli asili vuole abolire anzi abolisce il Presepe e Babbo Natale. Che il crocifisso lo toglie dalle aule scolastiche, lo getta giù dalle finestre degli ospedali, lo definisce "un cadaverino ignudo e messo lì per spaventare i bambini musulmani". Un nemico che in Inghilterra s'imbottisce le scarpe di esplosivo onde far saltare in aria il jumbo del volo Parigi-Miami. Un nemico che ad Amsterdam uccide Theo van Gogh colpevole di girare documentari sulla schiavitù delle musulmane e che dopo averlo ucciso gli apre il ventre, ci ficca dentro una lettera con la condanna a morte della sua migliore amica. Un nemico che si lancia con il camion sui mercatini di natale a Berlino. Un nemico che macchia di sangue il 14 luglio francese. Il nemico, infine, per il quale trovi sempre un magistrato clemente cioè pronto a scarcerarlo. E che i governi eurobei (ndr: non si tratta d'un errore tipografico, voglio proprio dire eurobei non europei) non espellono neanche se è clandestino. 
L'Eurabia ha costruito la panzana del pacifismo multiculturalista, ha sostituito il termine "migliore" col termine "diverso-differente", s'è messa a blaterare che non esistono civiltà migliori. Non esistono principii e valori migliori, esistono soltanto diversità e differenze di comportamento. Questo ha criminalizzato anzi criminalizza chi esprime giudizi, chi indica meriti e demeriti, chi distingue il Bene dal Male e chiama il Male col proprio nome. Che l'Europa vive nella paura e che il terrorismo islamico ha un obbiettivo molto preciso: distruggere l'Occidente ossia cancellare i nostri principii, i nostri valori, le nostre tradizioni, la nostra civiltà. Ma il mio discorso è cadrà nel vuoto. Le poche persone che leggeranno mi chiameranno razzista per il solo fatto che uso la mia testa in difesa delle mie radici culturali che affondano nei secoli.

Angelo Martucci

mercoledì 7 febbraio 2018

TARANTO: TEMPIO DI POSEIDON O PERSEPHONE?


Fino al 1700 le colonne residue del Tempio Dorico di Taranto erano una decina. Lo sappiamo perché Artenisio Carducci, nel commento alle “Deliciae Tarentine” di Tommaso D’Aquino, parla di “dieci spezzoni di colonne d’ordine dorico” che furono successivamente infrante per consentire la costruzione del Convento dei Celestini.
Di queste, solo una restò a testimonianza dell’antica esistenza del tempio. Vista l’importanza del reperto, mi aspettavo che la colonna superstite fosse degnamente segnalata da un cartello o illuminata da un faretto. Anche di pochi watt. Macché.
La colonna solitaria era letteralmente incastrata nella struttura muraria di un piccolo cortile (quello dell’ex ospedale dei Pellegrini, attiguo al Convento dei Celestini ) e il suo capitello faceva da terrazzino a un balcone abbellito allegramente con vasi di piante e fiori.
Il primo a intraprendere i lavori di rinvenimento del Tempio Dorico di Taranto fu Luigi Viola. Fece liberare il fusto dell’unica colonna visibile dai vari strati di intonaco che ne avevano deturpato l’aspetto, scavò in profondità – fino a rinvenire i rocchi inferiori della colonna – e all’altezza del suo capitello. Qui individuò un secondo capitello completamente incastrato nella struttura.
Era il 1881 e, dopo allora, non venne più fatta alcuna esplorazione archeologica. Era infatti implicito che ogni altra indagine richiedeva la demolizione parziale o totale delle costruzioni esistenti e le autorità ecclesiastiche erano restie a permettere la distruzione dei luoghi sacri di loro pertinenza.
Poi, qualcosa avvenne. Qualcuno mostrò interesse per i ruderi del Tempio? Non proprio. I lavori di demolizione del Convento dei Celestini (divenuto nel frattempo un distretto militare) cominciarono, ma solo per costruire il Palazzo delle Poste. Taranto aveva bisogno di un edificio da adibire a questo scopo e, con tanto spazio a disposizione, non si trovò area migliore che quella dell’ex Convento.
Durante i lavori di costruzione delle Poste, vennero prevedibilmente alla luce i primi blocchi di carparo del tempio dorico. Altolà! Fermo ai lavori e decreto di inedificabilità dell’area.
Tuttavia, Taranto non ebbe nemmeno in questa occasione il suo tempio. Tanto per dirne una, la seconda guerra mondiale sospese ogni iniziativa. In più, i fondi necessari ai lavori scarseggiavano. Insomma, parafrasando Manzoni: “Questo tempio non s’ha da fare”.
Solo negli anni ‘70 l’Amministrazione Comunale di Taranto si assunse la responsabilità dell’esecuzione degli scavi.  Il lavoro delle talpe nell’area di interesse liberò i resti del tempio dorico dalle costruzioni posticce e le due colonne videro finalmente la luce dopo anni di occultamento e di incuria.

STILE ARCHITETTONICO E INTITOLAZIONE 
Attualmente, del Tempio di Poseidone rimangono due colonne e la base di una terza, ma da una serie di calcoli è emerso che era un periptero esastilo con 13 colonne sui lati lunghi e sei sulla fronte. 


Tempio dorico di Taranto: pianta assonometrica e ricostruzione.

Avanti alle colonne rinvenute doveva essercene almeno un’altra con un diametro più largo: le colonne situate agli angoli, infatti, venivano rese più robuste per conferire maggiore staticità alla struttura. Le colonne supersiti sono alte più di 8 metri e il materiale usato per costruirle è il carparo.
La scanalatura delle colonne aveva una precisa funzione: su di essa incideva la luce del sole, variabile nel corso del giorno, e questo creava dei piacevoli toni chiaroscurali che donavano all’edificio maggiore risalto.
L’ingresso del Tempio di Poseidone  si affacciava sicuramente sul canale navigabile perché quasi tutti i templi greci avevano il fronte rivolto ad oriente.
L’attribuzione del Tempio Dorico a Poseidone risale a Luigi Viola, semplicemente considerando che il dio del mare era il patrono di Taranto e i coloni non potevano che consacrare a lui il principale luogo di culto.
In realtà, è più probabile che il monumento fosse dedicato ad una divinità femminile. Con molta probabilità, il tempio era dedicato a Persephone, infatti, questa dea ha sempre goduto di un’altissima considerazione e gli studiosi sono tutti concordi nel ritenere che la statua di Persephone attualmente situata nel museo di Berlino sia, in realtà, di provenienza Tarantina.
Kore di Berlino: Fine VI/inizio V sec. a.C.

In più, durante gli scavi per il rinvenimento del Tempio Dorico, sono stati trovati 3 frammenti di statuette rappresentanti una donna seduta in trono, insieme a resti di ossa, zanne di suini e terra bruciata. Questo insieme di elementi rende più che verosimile l’ipotesi che nell’antico tempio i coloni facessero sacrifici in onore di una divinità femminile.


A cura di:
Paolo Ulpio Paleologo