E’
tra i documenti geroglifici più antichi d’Egitto, databile, presumibilmente al
IV millennio a.C.
Simboleggia
la sottomissione del Basso Egitto ai sovrani dell’Alto Egitto ad opera di
Narmer, sovrano dell’Alto Egitto quando la capitale del Regno si trovava a
This. Fu con Narmer che ebbe inizio la storia dell’Egitto, ma non sappiamo di
preciso quando ciò avvenne; sulla scorta dei dati raccolti attraverso studi che
durano ormai da secoli, possiamo ipotizzare di essere intorno alla fine del V o
agli inizi del IV millennio a.C.
Circa
3000 anni dopo, fu lo storico greco Erodoto (V sec. a.C.) che scrisse su Narner
grazie ad alcuni antichi papiri che i sacerdoti egizi ancora conservavano
gelosamente; da questi si apprende che il faraone fece costruire la prima diga
a protezione della città di Menfi dalle inondazioni del Nilo. Da questi papiri,
riportati da Erodoto, si apprende che Menfi era la capitale dell’Egitto
unificato (Alto e Basso Egitto), ma, nello stesso momento pongono nuovi
interrogativi circa la costruzione della grande piramide di Khufu (Cheope), che
dovrebbe collocarsi intorno al 2560 a.C. (IV dinastia). Questa datazione (la
più attendibile), eliminerebbe ogni dubbio circa la costruzione della grande piramide
e soprattutto, andrebbe a “smontare” la letteratura fantascientifica che in
alcuni casi ne attribuisce la costruzione a entità extra terrestri o la fa
risalire al 10500 a.C.
A
questo punto sorge un altro interrogativo: quale era l’aspetto demo-geografico
di quello che noi oggi conosciamo come Egitto? Certamente era diviso in due
entità territoriali molto vaste (Alto
Egitto e Basso Egitto) con a capo due re e tanti piccoli regni
semi-indipendenti guidati da sovrani locali che, in qualche modo ne riconoscevano
la sovranità. Questo è il periodo che gli egittologi chiamano “Predinastico”,
ragion per cui, è da escludere, nel modo più assoluto, la retrodatazione della
“grande piramide” a questo periodo.
A
tale proposito, pochi dubbi lascia la tavoletta di Narmer databile tra il 3100
e il 2850 a.C.
Presenta
due facce, su una faccia il re indossa la corona conica, di colore bianco
simbolo dell’Alto Egitto, con una mano afferra i capelli di un nemico
inginocchiato, con l’altra la clava con cui lo ucciderà. Sulla destra il falco
regge una testa umana e sei fusti di papiro, simboleggiando che il dio Horus,
nel quale si identifica il faraone, ha sconfitto gli abitanti del Paese dove
nasce il papiro (Basso Egitto).
Sull’altra
faccia il faraone Narmer indossa la corona a berretto di colore rosso, simbolo
del Basso Egitto, avanza accompagnato da uomini che recano insegne, mentre
sulla destra giacciono, in doppia fila verticale, dieci nemici decapitati.
Sotto due animali fantastici, con teste leonine, intrecciano i lunghi colli di
giraffa in segno di unione, conseguita dall’azione vittoriosa di Narmer, mentre
nel cartiglio in basso, il toro (il faraone) che atterra un nemico. Da questo
momento in poi il copricapo regale sarà la corona conica di colore bianco
incastonata nella corona a berretto di colore rosso che simbolicamente
significa l’unione dei due regni.
Oltre
ai contenuti documentari, questa tavoletta riveste anche una straordinaria
importanza perché fissa alcuni canoni tipici di tutta l’arte figurativa egizia:
il faraone è rappresentato molto più grande rispetto a tutti gli altri, come
segno indiscusso della sua autorità di dio in terra. Gli uomini, gli animali,
gli oggetti sono bidimensionali, i primi, anzi, hanno il viso di profilo e il
grande occhio di prospetto, il busto frontale e le gambe in visione laterale.
Non
è soltanto l’assenza della volumetria e della spazialità secondo l’ottica
naturale, non è cioè l’assenza della verosimiglianza, come riproduzione della
realtà secondo il modo di vedere prospettico dell’uomo. La realtà, che pure è
presente, è smontata e rimondata in un ordine diverso così da darci una visione
pressochè completa di tutte le componenti come siamo abituati a conoscerle. È
dunque la realtà che fa parte della nostra coscienza, non quella che appare
davanti ai nostri occhi. Si ottiene, così, un’alta idealizzazione e perciò
l’espressione dei contenuti; non ciò che vedremo su un campo di battaglia dopo
una vittoria, ma il significato morale di questa: la divinità del faraone
egizio e l’inesorabile sconfitta dei suoi nemici.
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