giovedì 8 novembre 2012

MALVITO (CS) - FORTIFICAZIONE BIZANTINA


A cura di: Angelo Martucci - Giovanni Martucci - Antonio Cozzitorto
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Le ultime indagini sul centro storico di Malvito (piccolo borgo medievale situato nell'alta valle dell'Esaro, in provincia di Cosenza) hanno fornito nuovi dati importanti per la ricostruzione delle vicende insediative relative alla fase pre-normanna. Oggetto di studi  è la grande struttura situata sul lato Sud-Ovest dell'abitato, che in età bizantina costituiva la "città bassa", si tratta si una grande fortificazione di forma circolare  costruita intorno al X sec. d.C. a protezione del fianco maggiormente esposto del kastron. Da un'attenta analisi del contesto si evince che la fortificazione bizantina (ulteriormente  rinforzata in età normanna), venne edificata su una struttura preesistente, molto probabilmente un antico luogo di culto. Ulteriori notizie saranno pubblicate nel volume, in via di stesura edito da "Martus Editore" dal titolo "L'ANGELO E IL DEMONE il culto micaelico e l'espansione longobarda". 
L'immagine sopra è un'ipotesi ricostruttiva della fortificazione nota come "la torre di paraporto"

lunedì 1 ottobre 2012

CENSIMENTO DEGLI EDIFICI STORICI DI SAN SOSTI

MUSEO "ARTEMIS"
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EDIFICI PRIVATI DI INTERESSE STORICO
1) PALAZZO BLOISE
Ubicato in Via Francesco Guaglianone, è un palazzo nobiliare risalente al XVII secolo. Presenta un portale a “tutto sesto”, con fregio raffigurante il “Leone Dormiente”, della loggia massonica “Il Grande Oriente”. Al centro del cortile si conserva il lastricato in pietra con il pozzo.

2) PALAZZO GUAGLIANONE
Risalente al XII-XIII secolo, presenta un grande portale “a tutto sesto” l’epigrafe 1848 è riferibile all’anno di costruzione dell’arco ed al restauro dell’immobile. La muratura antica ed il lastricato del cortile sono in ottimo stato di conservazione. Sul lato Sud-Ovest si conservano tracce di strutture di età medievale (XII-XIII secolo).

3) CAPPELLA GENTILIZIA DELLA FAMIGLIA GUAGLIANONE DEDICATA A SAN FRANCESCO DI PAOLA
Risalente al XII-XIII secolo, in età post-medievale fu intitolata a San Francesco di Paola. Al suo interno si conservano tre statue cultuali raffiguranti: San Rocco, San Francesco di Paola; la Madonna con Bambino. Le pareti sono finemente decorate con pitture e stucchi. Il coro è sorretto da due colonne con capitelli di stile neoclassico (fine XVII secolo).

4) PALAZZO ZICARELLI
Risalente all’X-XI secolo (com’è attestato dagli scavi all’interno della chiesa del Carmine del 2004, diretti dalla Sovrintendenza Per i Beni Archeologici della Calabria in collaborazione con La Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale dell’UNICAL). Con molta probabilità era la residenza dei funzionari degli imperatori d’Oriente.

5) FABBRICATO ARAGONA
È ubicato a pochi metri di distanza della chiesa del Carmine. L’edificio è stato costruito verso la fine del XVII secolo trasformando un antico convento (forse dei Carmelitani) in abitazione privata.

PALAZZO COSCARELLI
Risalente al XVIII secolo, costruito su un edificio fortificato del X-XI secolo (com’è attestato dagli scavi all’interno della chiesa di Santa Caterina di Alessandria del 2000.


EDIFICI PUBBLICI DI INTERESSE STORICO

1) MUSEO MULTIMEDIALE ARCHEOLOGICO DEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO
Si tratta di un carcere risalente all’età bizantina (X-XI secolo) in uso fino al 1997 come Casa Mandamentale. Restaurato con fondi dell’Ente Parco, oggi è sede del Museo dei 56 comuni del Parco e della Biblioteca Comunale.

2) CHIESA DEL CARMINE
Risalente al X-XI secolo, fu costruita sui resti di strutture molto più antiche. Gli scavi archeologici effettuati al suo interno (aperti al pubblico) hanno evidenziato una frequentazione ininterrotta dell’età del Bronzo Medio-Finale (XIII-X sec. a.C.) fino ai giorni nostri.

3) CHIESA DI SANTA CATERINA DI ALESSANDRIA
Risalente al X-XI secolo, è una tri-navata orientata Ovest-Est, presenta una facciata in stile neoclassico con torre campanaria annessa. Al suo interno sono stati eseguiti scavi archeologici che hanno permesso di datare il contesto all’età bizantina. Al suo interno sono conservate diverse opere d’arte, come: statue lignee, paramenti sacri, e una tela raffigurante il “Divino Sangue Redentore” realizzato da un artista di scuola napoletana della fine del XVIII secolo. 

lunedì 24 settembre 2012

E' BIZANTINA LA CHIESA DI SANTA ROSALIA A MACELLARA


Ricerche a cura di: Angelo Martucci - Giovanni Martucci - Antonio  Cozzitorto
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  1. La chiesa intitolata a Santa Rosalia è situata sul sistema collinare che delimita a Nord-Ovest la valle dell’Esaro, nella contrada Macellara, in una posizione dominante l’intera vallata. Da qui sono perfettamente visibili i centri abitati di Altomonte, Roggiano Gravina, San Marco Argentano; verso Sud-Est, lo sguardo si perde sulla piana di Sibari in direzione di Schiavonea e Corigliano.
  2. È un edificio a navata unica impostato su un banco di roccia sedimentaria dell’Olocene (1.000.000 di anni), che a prima vista sembrerebbe di fabbrica recente e senza alcun valore storico-artistico. Ma, da un’analisi attenta ci si rende subito conto che ci troviamo di fronte ad un contesto molto più interessante di quanto non si possa immaginare: è perfettamente orientato Ovest-Est con Abside rivolto ed Est; presenta due ingressi, quello principale (il più antico) è posto sul lato corto occidentale, l’altro ingresso secondario è posto sul lato sinistro. La chiesetta è alloggiata su un alto podio tagliato nel banco di roccia tenera e vi si accede mediante due gradini, che originariamente, per questioni dottrinali, dovevano essere necessariamente tre.
  3. La struttura è stata rimaneggiata non molti anni fa, senza osservare nessuna regola vigente in materia di restauro: le pareti esterne ed interne sono state intonacate, sul lato destro della struttura si nota appena ciò che rimane di una finestra, molto probabilmente faceva parte di una fila di monofore che anticamente servivano a conferire stile armonico al tempietto e portare luce al suo interno. Anche le pareti interne sono state intonacate, fortunatamente, però, sembra che non sono stati toccati gli intonaci antichi, sicuramente dipinti ad affresco; infatti, in alcuni punti, si nota il distaccamento degli stucchi moderni ed il riaffiorare di brevi porzioni di antico intonaco affrescato.
  4. Il catino absidale è perfettamente conservato non ha subito nessun rifacimento (presenta solo uno strato di intonaco recente); raggiunge un’apertura di m 2,16 all’interno e m 5,50 di circonferenza all’esterno per un’altezza di m 4,40. La pianta dell’edificio misura m 12,60x7,30 all’esterno e 11,50x5,40 all’interno.
  5. Degni di nota sono due opere conservate al suo interno e che necessitano di un restauri immediati:  si tratta di una tela raffigurante la Madonna Assunta, presumibilmente del XVIII secolo e di una scultura lignea raffigurante Santa Lucia databile a prima vista tra il XVII e il XVIII secolo.


    Tela raffigurante l'Assunta


    Scultura lignea di Santa Lucia

    La chiesa di Santa Rosalia di Macellara trova confronto puntuale con quella del Pantano, nel comune di San Donato di Ninea, risalente al X secolo. È da notare che anche la chiesa del Pantano aveva subito diversi rimaneggiamenti, tanto da apparire, a prima vista come un edificio moderno senza alcun valore storico-artistico, ma gli ultimi restauri hanno riportato alla luce ben tre strati di affreschi bizantini, il più antico, risale al X secolo.
    Anche in questo caso, si rendono indispensabili una serie di ricerche stratigrafiche in modo da riportare la chiesetta di Macellara agli antichi splendori di un tempo molto remoto.

sabato 15 settembre 2012

I RIFUGI DELL'ANIMA - Il Santuario del Pettoruto ed i centri di devozione popolare nella valle dell'Esaro






MODERATORE: Rosanna GAROFALO

RELATORI:

Prof. Filippo BURGARELLA (Docente di Storia Bizantina, UNICAL)
Dott. Costantino FRONTERA
Antonio COZZITORTO
Don Pino ESPOSITO
Don Carmelo PERRONE
Dott. Antonio BISIGNANI

venerdì 14 settembre 2012

Vestigia della Magna Graecia MITICA SCURE MARTELLO LA SUA STORIA ARRICCHITA DI PARTICOLARI INEDITI


Di Alessandro Amodio - Gazzetta del Sud del 3 settembre 2012
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È ormai noto che la scure martello fu rinvenuta a San Sosti, in provincia di Cosenza, nel 1846.Tra il 1857  e il 1860, da Napoli, dove era stata portata, fu acquistata da Alessandro Castellani, un orafo romano, collezionista di opere d’arte. Alla sua morte la scure passò con l’intera collezione a Parigi ed infine, nel 1884 a Londra, presso il British Museum dove sono conservati altri preziosi reperti provenienti dall’Italia. È tra le opere più importanti  provenienti dalla Magna Grecia ancora in possesso del Museo Britannico. Oltre al suo pregio artistico, è il documento più antico, insieme alla tavoletta di Kleombrotos (rinvenuta a Francavilla Marittima),  finora rinvenuto in questa parte di territorio calabrese. Nel 1996, il sindaco pro-tempore del Comune di San Sosti, dott/ssa Silvana Perrone, sollecitava un’interrogazione parlamentare, presentata alla Camera dei Deputati dall’Onorevole Romano Caratelli, in merito alla controversia tra il Governo Italiano e quello Britannico circa la legittimità del possesso e la richiesta di restituzione del reperto più importante della Calabria. IL 20 giugno dello stesso anno il Ministro ai Beni Culturali Walter Veltroni comunicava al Sindaco di San Sosti di aver inoltrato la rivendicazione dell’oggetto al Governo inglese, senza tuttavia nessun esito.  La scure martello fu offerta come decima da Kyniskòs di Mantinea alla dea Era verso la seconda metà del VI sec. a.C., come afferma l’epigrafe iscritta sulla penna. Intorno alla metà del VI secolo a.C. il giovane Kyniskòs vinse una edizione dei giochi Olimpici, offrendo, evidentemente, un grande spettacolo di questa antica disciplina sportiva. Alcuni decenni dopo il personaggio godeva ancora di grande fama atletica e Policleto, tra il 445- e il 438 gli dedicò una scultura in bronzo che lo ritraeva nell’atto di cingersi la testa con una corona di ulivo, simbolo della vittoria Olimpica. Le ultime scoperte rivelano, appunto, che l’offerente era un pancraziaste, cioè un atleta che praticava uno sport più e meno simile al pugilato moderno, ma dalle regole molto diverse. Si combatteva avvolgendo dei legacci di cuoio alle mani e permetteva anche l’uso dei piedi, dei gomiti e delle ginocchia. Il termine “ortamos”, inciso sulla penna, significa vittimario, poiché, gli avversari di questo campione uscivano dal combattimento sfregiati o morti. Alcuni eruditi locali, semplicemente appassionati di archeologia, ritengono che la scure sia stata rinvenuta a Sant’Agata d’Esaro, attribuzione priva di ogni fondamento scientifico, tratti in inganno dalla legenda la quale afferma che sia stata rinvenuta presso le rovine della città di Artemisia, che sarebbe l’attuale Sant’Agata. Bisogna notare che l’individuazione della città greca in questa parte di territorio dell’alta valle dell’Esaro è dovuta al Barrio, un uomo di chiesa vissuto nel XVI secolo, appassionato di storia, il quale, leggendo ed interpretando arbitrariamente alcune fonti antiche la identificò in quest’area. Gli scavi archeologici condotti nel 2001 e nel 2003 dall’Università della Calabria ai Casalini non hanno individuato alcuna traccia di frequentazione dell’area in età greca. Le evidenze monumentali si riferiscono ad un kastron bizantino del IX-X sec. d.C. edificato su un impianto fortificato risalente al VI-VII sec. d.C. In conclusione, il luogo del rinvenimento della scure martello di Kyniskòs, The boy Boxer, come lo definiscono gli studiosi britannici, va ricercato più a valle, dove effettivamente sono stati rinvenute tracce veramente consistenti della presenza greca, come ad esempio, i resti del santuiarietto risalente al VI sec. a.C. dedicato ad una divinità femminile,  venuto alla luce durante gli scavi archeologici eseguiti all’interno del chiesa del Carmine, in pieno centro storico a San Sosti nel 2004, condotti dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria.   


giovedì 30 agosto 2012

è UN USCITA IL II VOLUME DELLA CARTA ARCHEOLOGICA DEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO EDITO DA MARTUS EDITORE. PRESENTAZIONE A CURA DI THEO THEODORIDIS




È ormai imminente la pubblicazione del secondo volume di “Tesori del Parco del Pollino”.
Il primo volume è stato presentato nel convegno dal titolo “Tutela e valorizzazione dei beni Culturali” che si è tenuto il 12 novembre 2011 a Malvito presso la sede della Comunità Montana Unione delle Valli.
L’opera, finanziata con fondi dell’Ente Parco Nazionale del Pollino, consiste una carta archeologica dei siti di interesse culturale presenti sul territorio del Parco, troppo spesso dimenticati ed abbandonati a se stessi. L’obbiettivo di questa collana è lo studio, la catalogazione, la valorizzazione e la promozione dell’immenso patrimonio archeologico e artistico di questa parte della Penisola italiana (Basilicata e Calabria). Un capitolo è dedicato all’area archeologica di Pauciuri, nel comune di Malvito, limitrofa al Parco, ma importantissima, secondo l’On. Pappaterra perché è uno dei siti archeologici più importanti della valle dell’Esaro. - Con una adeguata campagna di promozione potrebbe diventare meta di un considerevole flusso turistico anche perché si trova a breve distanza dal Pettoruto, il più importante Santuario mariano della Calabria, a pochi metri della strada provinciale Roggiano Gravina-San Sosti – è quanto ha dichiarato il Presidente del Parco – per cui ritengo – ha continuato Pappaterra – che è opportuno inserire in questo secondo volume anche il sito di Pauciuri - .
Il tema affrontato è “Archeologia, Uomo e Territorio”, cioè il rapporto tra uomo e territorio attraverso i secoli. Particolare risalto viene data all’influenza che i Greci esercitarono sulle popolazioni indigene di quella parte di territorio italiano che prese il nome di Magna Graecia e che diede inizio alla civiltà romana e occidentale.
TESORI DEL PARCO DEL POLLINO – Archeologia Uomo e Territorio è redatto in due versioni linguistiche: italiano e inglese con titolo e frontespizio in inglese, perché è destinato ad un pubblico molto vasto.  
La presentazione del volume è stata curata da Theo Theodoridis  il modello greco che ha lavorato presso le maggiori case di moda italiane e che attualmente si trova rinchiuso nel carcere Dìavata di Thessaloniki (Salonicco)  condannato scontare una pena per reati che in realtà non ha commesso. “Martus Editore” vuole dare voce a chi ha tante cose da dire ma che situazioni circostanziali, come nel caso specifico, non lo consentono.
È stata scelta la testimonianza di Theodoridis per diversi motivi: in primo luogo per i rapporti di amicizia personale e di fiducia con la Redazione e soprattutto perchè Theo è uno studioso attento ed appassionato di storia delle civiltà antiche. Secondo la casa editrice sansostese è interessante leggere la colonizzazione greca dell’Italia Meridionale in chiave diversa: con gli occhi di un greco dell’età moderna.
Nella sua presentazione Theo ha scritto - per noi Greci la Calabria è come casa nostra perché sono tante le similitudini che ci legano… - .

sabato 7 luglio 2012

RIPARTE IL MUSEO DEI 56 COMUNI DEL PARCO NAZIONALE DEL POLLINO



Riparte con successo il Museo dei 56 comuni del Parco Nazionale del Pollino. Il convegno di apertura dei lavori ha registrato un notevole ed inaspettato riscontro di presenze. Ma è stata soprattutto la qualità degli interventi che ha soddisfatto la numerosa platea. Il meeting culturale si è concluso con la visita alla nuova mostra multimediale-archeologica allestita con grande professionalità dallo staff composto da: Giovanni Martucci, Antonio Cozzitorto, Francesco Artuso, Angelo Martucci.
Ho ritenuto opportuno iniziare il mio breve intervento con la frase pronunciata da un ministro non molto tempo fa – Con la cultura non si mangia – dichiarò in un’intervista il politico. Eppure l’Italia possiede il 70/% del Patrimonio Culturale mondiale e gran parte delle entrate economiche proviene proprio dal turismo. Ma, fino a quando nel Parlamento italiano continueranno a sedere politici di tale levatura intellettuale, cioè prossima allo zero, la cultura continuerà ad essere vista come qualcosa che non porta da mangiare e quando ci sarà da fare tagli alla spesa, in momenti di crisi come quello attuale, queste menti povere e molto semplici che purtroppo ci governano penseranno come prima cosa a ulteriori tagli dei fondi per la cultura. I risultati di tale politica, purtroppo sono sotto gli occhi di tutti: il nostro Patrimonio artistico cade a pezzi, ricordiamo le tristi vicende che hanno interessato gli scavi di Pompei; il completo abbandono di importanti siti archeologici; la chiusura di molti musei; la mancanza di personale qualificato per la catalogazione dei milioni di reperti stipati nei depositi delle soprintendenze. La conseguenza è la diminuzione delle presenze turistiche annue e quindi un grave danno all’economia del paese che è basata quasi esclusivamente sul turismo, fatta eccezione per le regioni del Nord della Penisola le quali costituiscono solo il 35% circa del territorio nazionale. In considerazione di tutto ciò, abbiamo scelto come titolo di questo convegno “Si può fare Per una nuova politica dei beni culturali.

Siamo convinti che lo sviluppo è legato alla capacità di sfruttamento delle risorse presenti sul territorio e le nostre risorse sono costituite unicamente dal Patrimonio Culturale ed Ambientale, par cui la nuova politica deve andare in due direzioni: la salvaguardia e la valorizzazione.

Questa è la strada imboccata dall’amministrazione comunale di San Sosti. Il progetto del museo multimediale-archeologico, già ideato nel 2002 si è concretizzato nell’agosto del 2008 con l’allestimento di una mostra didattica temporanea di una campionatura di reperti provenienti dal territorio di San Sosti. L’esposizione, allestita grazie alla disponibilità della Soprintendenza Archeologica della Calabria e particolarmente della Dottoressa Silvana Luppino, è stata apprezzata da oltre 2000 visitatori in sei mesi e ben otto gite organizzate provenienti da diverse regioni italiane, anche grazie alla presenza del Santuario della Madonna del Pettoruto e del sito internet, che nel 2009 ha contato oltre 20.000 visitatori. Dopo due anni di inattività abbiamo pensato di far ripartire il museo dei 56 comuni del Parco, in collaborazione con la nuova Amministrazione Comunale con una nuova mostra didattico-scientifica. Abbiamo già allestito la mostra virtuale visitabile al piano superiore e speriamo di poter inaugurare per il mese di agosto la nuova mostra di una campionatura di reperti archeologici provenienti dagli scavi della vicina chiesa del Carmine e del Castello della Rocca condotti nel 2004 dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria in collaborazione con la Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale dell’Università della Calabria. Il laboratorio scientifico è curato e costantemente aggiornato, oltre dal sottoscritto, da altri tre giovani studiosi locali: Antonio, Giovanni e Francesco; si avvale, inoltre della preziosa collaborazione del dott. Stefano Carbone, ricercatore presso l’Ufficio della Soprintendenza Archeologica di Messina. Già nel 2008 Stefano ha partecipato attivamente ed a titolo gratuito alla catalogazione dei reperti ed all’allestimento della mostra conclusa nel mese di febbraio del 2009.

Siamo convinti che non mancherà il sostegno da parte delle istituzioni affinchè il museo “Artemis” dei 56 comuni del Parco ritorni ad essere il fiore all’occhiello dell’intero territorio e opportunità di auto-impiego non solo per le quattro unità già operanti al suo interno. Ecco che il bene culturale si trasforma in un plusvalore economico e occupazionale.

…SI PUO’ FARE…


mercoledì 27 giugno 2012

San Sosti: Riapre i battenti il Museo dei 56 comuni del Parco Nazionale del Pollino


Riparte il museo dei 56 comuni del Parco Nazionale del Pollino.

La nuova amministrazione, presieduta dal Sindaco Prof. Vincenzo De Marco, ne ha affidato la gestione a titolo gratuito ad uno staff di giovani studiosi locali, i quali si sono assunti il compito di far ripartire la struttura e riportarla ai livelli qualitativi di tre anni fa.

Il primo appuntamento culturale è previsto per venerdì 6 luglio alle ore 18:00; sarà la biblioteca del museo ad ospitare il convegno a tema dal titolo “SI PUO’ FARE – per una nuova politica dei Beni Culturali – Cultura, Ambiente e Religiosità”. All’evento, che sarà moderato da moderato da Alessandro Amodio, corrispondente di Gazzetta del Sud,  parteciperanno l’Assessore provinciale alla Cultura, Dott.ssa Maria Francesca Corigliano; il Presidente del Parco Nazionale del Pollino, On. Domenico Pappaterra; la direttrice dell’Ufficio Territoriale della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria per la Sibaritide, Dott.ssa Silvana Luppino; il Parroco di San Sosti, Don Carmelo Perrone; i sindaci della valle dell’Esaro e del Parco. Il titolo del convegno vuole essere una provocazione positiva, uno stimolo a tutte le istituzioni affinchè si incominci seriamente ad investire sui beni culturali e intesi come attrattori di risorse e di opportunità per il territorio e le popolazioni locali.

Il nuovo museo è intitolato ad Artemis, nome greco della città dedicata alla divinità dei boschi e della caccia i cui ruderi si conservano sullo strapiombo all’imbocco della gola del Pettoruto a quota 896 metri e dove, secondo la tradizione locale sarebbe stata rinvenuta la celeberrima scure martello in bronzo offerta a metà del VI sec. a.C. dall’olimpionico Kyniskos alla dea Era, conservata presso il British Museum di Londra e rivendicata più volte sia dall’amministrazione della Dott.ssa Silvana Perrone, sia dall’Amministrazione di Vincenzo Bruno. 



Curatori:

-          Giovanni Martucci
    -          Antonio Cozzitorto
-          Francesco Artuso
-          Angelo Martucci


martedì 12 giugno 2012

Una storia che ha dell'incredibile SCOPERTO UN TEMPIO GRECO A TORRE MELISSA preziosi reperti archeologici utilizzati come pezzi di arredo e materiale per la costruzione di un villaggio turistico


A cura di Stefano Carbone. Pubblicato su Martus Journal Giugno 2012
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E' un mistero. Non tanto capire l'esatta portata della scoperta archeologica a Torre Melissa (Crotone) quanto il perché anche stavolta sono dovuti intervenire i carabinieri del nucleo di tutela del patrimonio culturale a sventare l'ennesimo scempio. Come si fa, infatti, a scoprire le tracce di un'antica civiltà e invece di avvertire il mondo di questa scoperta decidere piuttosto di usare le colonne, i capitelli, i mosaici, tirati fuori casualmente dalla terra dalle ruspe come materiale decorativo per un villaggio turistico? Ora il cantiere è sotto sequestro, i reperti pure e due persone sono state denunciate. Grazie all'attività di indagine sul territorio le autorità sono venute a conoscenza del ritrovamento di alcune colonne e altri reperti all'interno di un cantiere per la costruzione di un complesso residenziale. Come si diceva all’inizio, infatti, i responsabili della costruzione non avevano avvisato gli enti competenti, proseguendo i lavori e trasportando oltre 50 reperti di varia natura (colonne, capitelli, mosaici e frammenti vari) in un villaggio turistico della zona, dove venivano utilizzati come arredamento. Dai primi rilievi effettuati in emergenza a cantiere aperto (ai quali ho partecipato), si tratterebbe di una struttura templare di tipo ionico-dorico risalente al IV-III secolo a.C. La presenza del tempio fa pensare all'esistenza di un insediamento più ampio. C'è di più. Il ritrovamento di Torre Melissa attesta, ancora una volta, la densità di frequentazione antica nel territorio di Crotone, in gran parte ad oggi inesplorato. Il dato concerne tanto l’area più strettamente metropolitana quanto la provincia, come indicano le recenti scoperte archeologiche nella frazione Altilia del comune di Santa Severina. Già da una prima analisi degli elementi architettonici e decorativi, ulteriormente danneggiati dalle ruspe, si può tentare la ricostruzione di una sequenza diacronica dell’area santuariale: il rinvenimento di tre rocchi di colonne doriche, diversi frammenti di triglifi, metope e porzioni del fregio fanno pensare ad un primi impianto sacro identificabile con un periptero esastilo dorico ascrivibile alla seconda metà del VI sec. a.C. Il secondo gruppo di elementi architettonici identificato: rocchi di colonne ioniche, capitello di lesena, metope cieche e triglifi, base di colonna ionica con toro e spira, attestano un secondo impianto templare di età ellenistica databile al IV-III sec. a.C. Da una prima valutazione del contesto si può tentare una ricostruzione, sia pure approssimativa, del complesso sacro, il primo impianto doveva essere un oikos in antis, cioè una piccola cella con due o quattro colonne in antis. Comunque, solo un’indagine stratigrafica in estensione potrà stabilire una successione diacronica completa del complesso templare. Si tratta di una scoperta archeologica straordinaria senza precedenti non solo per l’importanza dei materiali salvati dalle ruspe e della mentalità criminale del titolare del fondo. Il santuario è posto a pochi metri dal mare, immediatamente a ridosso della spiaggia di Torre Melissa, ciò indica che doveva trattarsi di un importante luogo di culto intitolato molto probabilmente a Era protettrice della città. Quale città? E dove era situata? È fin troppo chiaro che doveva trattarsi di una polis greca piuttosto importante, data la consistenza dell’impianto santuariale, da ricercare nelle immediate vicinanze.


Stefano Carbone
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Area del rinvenimento


Veduta aerea del cantiere















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Ricostruzioni ipotetiche


venerdì 11 maggio 2012

PAUCIURI "LA PICCOLA POMPEI CALABRESE"



Pauciuri (Malvito, CS), Il Ninfeo. I sec. d.C



Pauciuri (Malvito, CS) pulizia del Ninfeo

domenica 19 febbraio 2012

IL CASTELLO DELLA ROCCA DI SAN SOSTI (Αγ. Σώζοντος): NUOVE SCOPERTE.


Quei ruderi che dominano la collina di San Sosti conosciuti con il nome di “Castello della Rocca”, in realtà sono ciò che rimane di un’antica fortificazione che doveva difendere l’abitato posto ai suoi piedi e la strada che, attraverso la gola del Pettoruto, conduceva sulla costa tirrenica.
Gli scavi archeologici del 2004 hanno attestato che quella piattaforma rocciosa a strapiombo sul Rosa fu usata come punto di difesa già a partire dall’età del Bronzo Medio e Finale (XIII-XII sec. a.C.). Sono numerosi, infatti i rinvenimenti avvenuti durante le ricerche del 2004: il piano di posa di una capanna protostorica absidata con buchi per pali, ceramica ad impasto, risalenti al XIII-XII sec. a.C. L’area è stata usata anche in età greca e romana.



Ma, ritorniamo ai ruderi del Castello della Rocca: si tratta di porzioni di strutture dell’acropoli fortificata relativi alla cittadella-fortezza bizantina del IX-X sec. d.C. costruita sui resti di un castrum longobardo, posto a protezione dell'antica via istmica ionico-tirrenica e del "limes" stabilitosi tra Bizantini e Longobardi dopo la conquista della Calabria Settentrionale ad opera del duca di Benevento Zottone I.
Da un’analisi attenta delle strutture e del contesto archeologico si notano porzioni di muratura appena affioranti dal terreno o conservati sugli speroni rocciosi.



In direzione N.-E. si nota un cospicuo tratto di muratura a pianta circolare, identificabile con una torre posta a vedetta del lato maggiormente esposto ad attacchi nemici.



Torre bizantina IX-X sec. d.C.

Sullo strapiombo a S.-E. si conserva la struttura più antica del kastrum, è una torretta a pianta quadrata impostata direttamente sul banco roccioso molto simile a quella occidentale dei Casalini, databile al IX-X sec. d.C.
Non tutti sanno, però che il castello si estendeva in tutt’altra direzione: sul lato orientale della dorsale montuosa, in direzione del centro abitato dell’antica Agios Sostis (Άγιος Σώστης). Qui si conservano porzioni evidenti di mura di difesa, in alcuni tratti, posti in opera a secco ed edifici a pianta rettangolare e quadrata. In età tardo-antica/alto-medievale, il kastrum, oggi noto con il nome di Castello della Rocca, occupava tutta l’area fino a lambire il monastero greco di Ag. Sozon ( Αγ. Σώζοντος), i cui ruderi si conservano a valle, lungo la strada che conduce al Santuario della Madonna del Pettoruto.

Tratto di muro di difesa, IX-X sec. d.C.



Tratto di muro di difesa, IX-X sec. d.C. (prospetto)


SCAVI ARCHEOLOGICI DEL 2004

Lo scavo è frutto di una collaborazione tra la Soprintendenza per i Beni Archeologici e la Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale dell’Università della Calabria. Nel corso della campagna sono stati effettuati dettagliati rilievi digitali della struttura ed aperti cinque saggi di scavo con lo scopo di indagare le varie fasi della complessa fortificazione. Dopo una sola campagna di scavo è difficile poter stabilire la cronologia della fondazione, ma importante per una prima documentazione è stato il recupero di alcuni anonimi, ascritti al X-XI secolo, così come i numerosi ed interessanti recuperi, da ricognizione e da scavo, di età angioina un saluto in argento con Annunciazione, di denari di Carlo I e Carlo II d’Angiò. Attestati, ancora, i follis (monete in bronzo)dell’oriente latino databili al XIII-XIV secolo.
È proprio a questa fase che possiamo ascrivere l’abbandono del castello, documentato da un piccolo “butto” in cui sono stati recuperati numerosi resti osteologici e frammenti ceramici. L’indagine stratigrafica ha documentato la frequentazione del sito anche in età romana, attestata da ceramiche sigillate africane e orientali del I e del II sec. d.C., mentre quella di età greca è testimoniata all’interno ed all’esterno del castello da vasetti miniaturistici di VI-V sec. a.C., in particolare hydriskai con fondo piatto o con piede a tacco. È possibile che la massiccia struttura medievale utilizzi come fondazione un edificio più antico, forse phrourion di età greca, posto a guardia della gola, come avamposto di Thurii. Importante anche l’individuazione di una cava per grandi blocchi parallelepipedi databile all’età greca. Dove il saggio ha potuto raggiungere il banco roccioso, è stata messa in luce parte di una capanna absidata con buchi di palo perimetrali. Le ceramiche d’impasto qui rinvenute sono databili all’età del Bronzo Finale (XI-X sec. a.C.), ma non mancano materiali più antichi attribuibili alla Media età del Bronzo (XVI sec. a.C.).



    Denaro in argento di Carlo I d'Angiò, 1284

Olla mono-ansata, XIII sec. d.C.



INCURSIONI VICHINGHE

Lo spirito per l'avventura e per il saccheggio ha spinto, verso la fine dell'VIII secolo dopo Cristo, i Vichinghi guidati da uno dei figli di Ragnar Lothbrok nel Mediterraneo. 
La furia distruttrice di Bjorn Lothbrok, figlio maggiore di re Ragnar, si è abbattuta con maggiore violenza in Sicilia e in Calabria. Le coste della Sicilia furono saccheggiate e date alle fiamme, nessuna città fu risparmiata, la popolazione fu sterminata. La distruzione di Skalia (Scalea, in provincia di Cosenza), è legata a uno stratagemma simile a quello che permise la distruzione di Luni, da parte dei Vichinghi, fiorente municipia romana in provincia di La Spezia.
Skalìa era una città fortezza bizantina d’importanza strategica e militare: era a protezione della più importante via di comunicazione tra il Tirreno e lo Ionio, la famosa via istmica Laos-Sybaris, ancora in uso in età bizantina, che dava l’accesso al Pollino, la più grande riserva boschiva della Calabria dopo la Sila.
Era necessario molto legname per costruire nuove navi e per continuare la spedizione di saccheggio delle coste dell’Africa e il legname occorrente era abbondante sul massiccio della Mula, una delle cime più alte e boscose della Calabria Settentrionale. Bisognava, dunque, prendere Skalìa, protetta da una doppia cinta muraria di notevole spessore e posizionata su un’altura, che già costituiva una difesa naturale. Ma ancora una volta, Bjorn usa la sua astuzia: finge di aver avuto una visione di San Nicola il quale gli avrebbe detto di risparmiare la città sotto la sua protezione e così organizzò una processione per portare in dono l’icona del Santo al vescovo, una volta dentro le mura fu un massacro e Skalìa venne saccheggiata e data alle fiamme. Attraverso la gole del Varco del Palommaro e del Pettoruto i Vichinghi giunsero nel boscoso territorio del massiccio della Mula. Con molta probabilità, anche il castrum della Rocca venne distrutto. Durante gli scavi archeologici del 2004 sono emerse tracce di distruzione violenta da collocare proprio in quel periodo. Solo ulteriori campagne di scavo archeologico in estensione potranno dare conferma a quella che al momento proponiamo come un'ipotesi iniziale di ricerca.