domenica 19 febbraio 2012

IL CASTELLO DELLA ROCCA DI SAN SOSTI (Αγ. Σώζοντος): NUOVE SCOPERTE.


Quei ruderi che dominano la collina di San Sosti conosciuti con il nome di “Castello della Rocca”, in realtà sono ciò che rimane di un’antica fortificazione che doveva difendere l’abitato posto ai suoi piedi e la strada che, attraverso la gola del Pettoruto, conduceva sulla costa tirrenica.
Gli scavi archeologici del 2004 hanno attestato che quella piattaforma rocciosa a strapiombo sul Rosa fu usata come punto di difesa già a partire dall’età del Bronzo Medio e Finale (XIII-XII sec. a.C.). Sono numerosi, infatti i rinvenimenti avvenuti durante le ricerche del 2004: il piano di posa di una capanna protostorica absidata con buchi per pali, ceramica ad impasto, risalenti al XIII-XII sec. a.C. L’area è stata usata anche in età greca e romana.



Ma, ritorniamo ai ruderi del Castello della Rocca: si tratta di porzioni di strutture dell’acropoli fortificata relativi alla cittadella-fortezza bizantina del IX-X sec. d.C. costruita sui resti di un castrum longobardo, posto a protezione dell'antica via istmica ionico-tirrenica e del "limes" stabilitosi tra Bizantini e Longobardi dopo la conquista della Calabria Settentrionale ad opera del duca di Benevento Zottone I.
Da un’analisi attenta delle strutture e del contesto archeologico si notano porzioni di muratura appena affioranti dal terreno o conservati sugli speroni rocciosi.



In direzione N.-E. si nota un cospicuo tratto di muratura a pianta circolare, identificabile con una torre posta a vedetta del lato maggiormente esposto ad attacchi nemici.



Torre bizantina IX-X sec. d.C.

Sullo strapiombo a S.-E. si conserva la struttura più antica del kastrum, è una torretta a pianta quadrata impostata direttamente sul banco roccioso molto simile a quella occidentale dei Casalini, databile al IX-X sec. d.C.
Non tutti sanno, però che il castello si estendeva in tutt’altra direzione: sul lato orientale della dorsale montuosa, in direzione del centro abitato dell’antica Agios Sostis (Άγιος Σώστης). Qui si conservano porzioni evidenti di mura di difesa, in alcuni tratti, posti in opera a secco ed edifici a pianta rettangolare e quadrata. In età tardo-antica/alto-medievale, il kastrum, oggi noto con il nome di Castello della Rocca, occupava tutta l’area fino a lambire il monastero greco di Ag. Sozon ( Αγ. Σώζοντος), i cui ruderi si conservano a valle, lungo la strada che conduce al Santuario della Madonna del Pettoruto.

Tratto di muro di difesa, IX-X sec. d.C.



Tratto di muro di difesa, IX-X sec. d.C. (prospetto)


SCAVI ARCHEOLOGICI DEL 2004

Lo scavo è frutto di una collaborazione tra la Soprintendenza per i Beni Archeologici e la Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale dell’Università della Calabria. Nel corso della campagna sono stati effettuati dettagliati rilievi digitali della struttura ed aperti cinque saggi di scavo con lo scopo di indagare le varie fasi della complessa fortificazione. Dopo una sola campagna di scavo è difficile poter stabilire la cronologia della fondazione, ma importante per una prima documentazione è stato il recupero di alcuni anonimi, ascritti al X-XI secolo, così come i numerosi ed interessanti recuperi, da ricognizione e da scavo, di età angioina un saluto in argento con Annunciazione, di denari di Carlo I e Carlo II d’Angiò. Attestati, ancora, i follis (monete in bronzo)dell’oriente latino databili al XIII-XIV secolo.
È proprio a questa fase che possiamo ascrivere l’abbandono del castello, documentato da un piccolo “butto” in cui sono stati recuperati numerosi resti osteologici e frammenti ceramici. L’indagine stratigrafica ha documentato la frequentazione del sito anche in età romana, attestata da ceramiche sigillate africane e orientali del I e del II sec. d.C., mentre quella di età greca è testimoniata all’interno ed all’esterno del castello da vasetti miniaturistici di VI-V sec. a.C., in particolare hydriskai con fondo piatto o con piede a tacco. È possibile che la massiccia struttura medievale utilizzi come fondazione un edificio più antico, forse phrourion di età greca, posto a guardia della gola, come avamposto di Thurii. Importante anche l’individuazione di una cava per grandi blocchi parallelepipedi databile all’età greca. Dove il saggio ha potuto raggiungere il banco roccioso, è stata messa in luce parte di una capanna absidata con buchi di palo perimetrali. Le ceramiche d’impasto qui rinvenute sono databili all’età del Bronzo Finale (XI-X sec. a.C.), ma non mancano materiali più antichi attribuibili alla Media età del Bronzo (XVI sec. a.C.).



    Denaro in argento di Carlo I d'Angiò, 1284

Olla mono-ansata, XIII sec. d.C.



INCURSIONI VICHINGHE

Lo spirito per l'avventura e per il saccheggio ha spinto, verso la fine dell'VIII secolo dopo Cristo, i Vichinghi guidati da uno dei figli di Ragnar Lothbrok nel Mediterraneo. 
La furia distruttrice di Bjorn Lothbrok, figlio maggiore di re Ragnar, si è abbattuta con maggiore violenza in Sicilia e in Calabria. Le coste della Sicilia furono saccheggiate e date alle fiamme, nessuna città fu risparmiata, la popolazione fu sterminata. La distruzione di Skalia (Scalea, in provincia di Cosenza), è legata a uno stratagemma simile a quello che permise la distruzione di Luni, da parte dei Vichinghi, fiorente municipia romana in provincia di La Spezia.
Skalìa era una città fortezza bizantina d’importanza strategica e militare: era a protezione della più importante via di comunicazione tra il Tirreno e lo Ionio, la famosa via istmica Laos-Sybaris, ancora in uso in età bizantina, che dava l’accesso al Pollino, la più grande riserva boschiva della Calabria dopo la Sila.
Era necessario molto legname per costruire nuove navi e per continuare la spedizione di saccheggio delle coste dell’Africa e il legname occorrente era abbondante sul massiccio della Mula, una delle cime più alte e boscose della Calabria Settentrionale. Bisognava, dunque, prendere Skalìa, protetta da una doppia cinta muraria di notevole spessore e posizionata su un’altura, che già costituiva una difesa naturale. Ma ancora una volta, Bjorn usa la sua astuzia: finge di aver avuto una visione di San Nicola il quale gli avrebbe detto di risparmiare la città sotto la sua protezione e così organizzò una processione per portare in dono l’icona del Santo al vescovo, una volta dentro le mura fu un massacro e Skalìa venne saccheggiata e data alle fiamme. Attraverso la gole del Varco del Palommaro e del Pettoruto i Vichinghi giunsero nel boscoso territorio del massiccio della Mula. Con molta probabilità, anche il castrum della Rocca venne distrutto. Durante gli scavi archeologici del 2004 sono emerse tracce di distruzione violenta da collocare proprio in quel periodo. Solo ulteriori campagne di scavo archeologico in estensione potranno dare conferma a quella che al momento proponiamo come un'ipotesi iniziale di ricerca. 

1 commento:

  1. federicacaselli@gmail.com20 febbraio 2012 alle ore 13:33

    Noto che siete impagnati su molti fronti. Un gran bel lavoro il vostro. Complimenti.

    RispondiElimina