mercoledì 7 febbraio 2018

TARANTO: TEMPIO DI POSEIDON O PERSEPHONE?


Fino al 1700 le colonne residue del Tempio Dorico di Taranto erano una decina. Lo sappiamo perché Artenisio Carducci, nel commento alle “Deliciae Tarentine” di Tommaso D’Aquino, parla di “dieci spezzoni di colonne d’ordine dorico” che furono successivamente infrante per consentire la costruzione del Convento dei Celestini.
Di queste, solo una restò a testimonianza dell’antica esistenza del tempio. Vista l’importanza del reperto, mi aspettavo che la colonna superstite fosse degnamente segnalata da un cartello o illuminata da un faretto. Anche di pochi watt. Macché.
La colonna solitaria era letteralmente incastrata nella struttura muraria di un piccolo cortile (quello dell’ex ospedale dei Pellegrini, attiguo al Convento dei Celestini ) e il suo capitello faceva da terrazzino a un balcone abbellito allegramente con vasi di piante e fiori.
Il primo a intraprendere i lavori di rinvenimento del Tempio Dorico di Taranto fu Luigi Viola. Fece liberare il fusto dell’unica colonna visibile dai vari strati di intonaco che ne avevano deturpato l’aspetto, scavò in profondità – fino a rinvenire i rocchi inferiori della colonna – e all’altezza del suo capitello. Qui individuò un secondo capitello completamente incastrato nella struttura.
Era il 1881 e, dopo allora, non venne più fatta alcuna esplorazione archeologica. Era infatti implicito che ogni altra indagine richiedeva la demolizione parziale o totale delle costruzioni esistenti e le autorità ecclesiastiche erano restie a permettere la distruzione dei luoghi sacri di loro pertinenza.
Poi, qualcosa avvenne. Qualcuno mostrò interesse per i ruderi del Tempio? Non proprio. I lavori di demolizione del Convento dei Celestini (divenuto nel frattempo un distretto militare) cominciarono, ma solo per costruire il Palazzo delle Poste. Taranto aveva bisogno di un edificio da adibire a questo scopo e, con tanto spazio a disposizione, non si trovò area migliore che quella dell’ex Convento.
Durante i lavori di costruzione delle Poste, vennero prevedibilmente alla luce i primi blocchi di carparo del tempio dorico. Altolà! Fermo ai lavori e decreto di inedificabilità dell’area.
Tuttavia, Taranto non ebbe nemmeno in questa occasione il suo tempio. Tanto per dirne una, la seconda guerra mondiale sospese ogni iniziativa. In più, i fondi necessari ai lavori scarseggiavano. Insomma, parafrasando Manzoni: “Questo tempio non s’ha da fare”.
Solo negli anni ‘70 l’Amministrazione Comunale di Taranto si assunse la responsabilità dell’esecuzione degli scavi.  Il lavoro delle talpe nell’area di interesse liberò i resti del tempio dorico dalle costruzioni posticce e le due colonne videro finalmente la luce dopo anni di occultamento e di incuria.

STILE ARCHITETTONICO E INTITOLAZIONE 
Attualmente, del Tempio di Poseidone rimangono due colonne e la base di una terza, ma da una serie di calcoli è emerso che era un periptero esastilo con 13 colonne sui lati lunghi e sei sulla fronte. 


Tempio dorico di Taranto: pianta assonometrica e ricostruzione.

Avanti alle colonne rinvenute doveva essercene almeno un’altra con un diametro più largo: le colonne situate agli angoli, infatti, venivano rese più robuste per conferire maggiore staticità alla struttura. Le colonne supersiti sono alte più di 8 metri e il materiale usato per costruirle è il carparo.
La scanalatura delle colonne aveva una precisa funzione: su di essa incideva la luce del sole, variabile nel corso del giorno, e questo creava dei piacevoli toni chiaroscurali che donavano all’edificio maggiore risalto.
L’ingresso del Tempio di Poseidone  si affacciava sicuramente sul canale navigabile perché quasi tutti i templi greci avevano il fronte rivolto ad oriente.
L’attribuzione del Tempio Dorico a Poseidone risale a Luigi Viola, semplicemente considerando che il dio del mare era il patrono di Taranto e i coloni non potevano che consacrare a lui il principale luogo di culto.
In realtà, è più probabile che il monumento fosse dedicato ad una divinità femminile. Con molta probabilità, il tempio era dedicato a Persephone, infatti, questa dea ha sempre goduto di un’altissima considerazione e gli studiosi sono tutti concordi nel ritenere che la statua di Persephone attualmente situata nel museo di Berlino sia, in realtà, di provenienza Tarantina.
Kore di Berlino: Fine VI/inizio V sec. a.C.

In più, durante gli scavi per il rinvenimento del Tempio Dorico, sono stati trovati 3 frammenti di statuette rappresentanti una donna seduta in trono, insieme a resti di ossa, zanne di suini e terra bruciata. Questo insieme di elementi rende più che verosimile l’ipotesi che nell’antico tempio i coloni facessero sacrifici in onore di una divinità femminile.


A cura di:
Paolo Ulpio Paleologo

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