Rotonda di Monte Siepi (Siena): la spada nella roccia, XII sec. d.C.
Rotonda di Monte Siepi (Siena): la spada nella roccia, XII sec. d.C.
Rotonda di Monte Siepi (Siena): la spada nella roccia, XII sec. d.C.
Rotonda di Monte Siepi (Siena).
Galgano ebbe una gioventù improntata al
disordine e alla lussuria, salvo in seguito convertirsi alla vita religiosa e
ritirarsi in un eremitaggio vissuto con la medesima intensità con cui aveva
precedentemente praticato ogni genere di dissolutezze.
Era
un giovane violento, ma era destinato a cambiare vita e a diventare un
Cavaliere di Dio come profetizzatogli da "Misser Santo Michele Arcangelo":
ebbe infatti due visioni successive in cui l'arcangelo Michele gli indicò il
suo percorso di vita.
Nella
prima visione era tracciato il suo destino di cavaliere sotto la protezione
dell'arcangelo stesso, mentre nella seconda l'arcangelo lo invitava a seguirlo.
Seguendo
l'arcangelo Galgano attraversò un ponte molto lungo al di sotto del quale si
trovava un fiume ed un mulino in funzione, il cui movimento simboleggia la
caducità delle cose mondane.
Oltrepassato
il ponte ed attraversato un prato fiorito, che emanava un profumo intenso e
soave, raggiunsero Monte Siepi, dove, in un edificio rotondo, Galgano incontrò
i dodici apostoli. Qui ebbe la visione del Creatore: fu quello il momento della
conversione. In seguito, durante degli spostamenti, per due volte il cavallo si
rifiutò di proseguire e la seconda volta, solo dopo una intensa preghiera
rivolta al Signore, il cavallo da solo e con le briglie sciolte lo condusse a
Monte Siepi, nello stesso posto dove la visione gli aveva fatto incontrare i
dodici apostoli. Qui Galgano, non trovando legname per fare una croce, ne fece
una infiggendo la propria spada nella roccia, quindi trasformò il proprio
mantello in saio e come tale lo indossò.
Sentì
anche una voce che veniva dal cielo che lo invitava a fermarsi in quel posto
fino alla fine dei suoi giorni: iniziava così la sua vita da eremita, cibandosi
di erbe selvatiche e dormendo sulla nuda terra. Lottò e sconfisse con la sua
fermezza il demonio che lo tentava.
Durante
la sua assenza per un pellegrinaggio alle basiliche romane, tre monaci
invidiosi cercarono di estrarre la spada dalla roccia per rubarla, ma non
riuscendovi la vollero rompere per oltraggio. Il castigo di Dio fu immediato:
uno cadde in un fiume ed annegò, un altro fu incenerito da un fulmine ed un
terzo fu afferrato per un braccio da un lupo e trascinato via, ma si salvò
invocando Galgano. Secondo la leggenda, le mani mummificate conservate
nell'attigua cappella del Lorenzetti sarebbero proprio quelle del monaco
invidioso, ma probabilmente si tratta dei resti dei primi seguaci di San
Galgano rinvenute nel luglio 1694 nel sagrato della Rotonda: la radiodatazione
col C14 le fa effettivamente risalire al XII secolo, quindi contemporanee a San
Galgano.
Galgano e la spada nella roccia
Al
ritorno dal pellegrinaggio, Galgano trovò la spada rotta e provò un grande
dolore, ritenendosi responsabile per essersene allontanato; Dio però, volendolo
consolare, gli disse di ricomporre la spada posando il pezzo rotto sulla parte
infissa nella roccia. Galgano obbedì e i due pezzi si saldarono perfettamente:
la spada si ricostituì più forte di prima. L'episodio è raffigurato in un
dipinto conservato nella Pinacoteca nazionale di Siena, opera di Giovanni di
Paolo (1403-1482). L'eremita costruì poi un romitorio e vi condusse una vita di
meditazione e preghiera fino al giorno in cui la voce di Dio, in una luce
immensa, gli annunciò la sua morte.
Presenziarono
alla tumulazione del suo corpo Ildebrando Pannocchieschi, vescovo di Volterra
ed i vescovi di Siena e Massa Marittima.
Appena
quattro anni dopo la sua morte, dopo che un'apposita commissione diretta dal
cardinale Conrad di Wittelsbach ebbe condotto la relativa inchiesta, papa Lucio
III lo proclamò santo.
Ma
la spada nella roccia è legata al filone letterario franco-provenzale del XII
secolo e al ciclo Carolingio, dove si narra che Artù avrebbe estratto la spada
per regnare nel segno della giustizia divina.
Artorius Castus (King Artur), 410 d.C.
Le
scoperte archeologiche e letterarie degli ultimi decenni hanno fatto luce su
due vicende apparentemente legate, ma anacronistiche: è ormai appurato che
Artù, in realtà era un ufficiale romano il cui vero nome era Artorius Castus al
comando della IX legione di stanza al Vallo di Adriano; il vallo è un muro
fortificato lungo 117 km fatto costruire dall'imperatore Adriano nella prima
metà del II sec. d.C. che divideva la Britannia in due regioni, quella a Nord
era la terra dei Celti, popolazioni primitive organizzate in villaggi e
governate da sacerdoti-guerrieri, i Druidi, cui si attribuivano capacità
magiche e guaritrici. Quindi, anche la figura di Merlino è non inventata, bensì
storica, realmente vissuto tra il IV e il V sec. d.C.
La
vicenda di Artorius (Artù) non risale all'epoca di Galgano, in realtà si è
verificata molto prima, cioè nel 410 d.C., quando le legioni romane
abbandonarono la Britannia perchè era ormai indifendibile. Ha inizio una nuova
pagina storica per l'Inghilterra ma bisognava creare il mito: la spada magica,
forgiata con il sangue della Britannia, il guerriero celtico che la estrae
dalla roccia riscatta la sua terra e la unisce sotto un unico potere. Ecco che
Galgano viene identificato dalla letteratura provenzale con Artù.
Angelo Martucci