mercoledì 3 settembre 2014

SAN SOSTI: ARCHEOLOGIA - STORIA - RELIGIOSITA' - TRADIZIONI

San Sosti (CS): Centro storico 

LE ORIGINI DI SAN SOSTI (CS) (Ag. Sostis)

 Il nome San Sosti deriva dal greco/bizantino Agios Sostis. Le ultime ricerche archeologiche condotte dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, in collaborazione con la Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale del Dip. Di Archeologia e Storia delle Arti dell'Unical di Rende, ha attestato che l'abitato fu fondato intorno alla media età del Bronzo (XIV-XIII sec. a.C.), documentato da numerosi resti ceramici e da una porzione del battuto di un a capanna protostorica rinvenuti nel corso degli scavi all'interno della chiesa del Carmine. L'abitato era molto fiorente in età greca come è dimostrato dal rinvenimento dei resti di un santuario risalente al VI-V sec a.C. dedicato ad una divinità femminile. Sul lato sinistro della zona presbiteriale è stato riportato alla luce un cospicuo tratto di muro a secco che era parte del sacro temenos, cioè il recinto sacro del luogo cultuale. Al livello di fondazione del muro sono state rinvenute tre fosse votive delle quale una ancora integra, cioè non disturbata dagli interventi di restauro e ampliamento avvenuti nel corso dei secoli. Tra i materiali recuperati si distingue una testina fittile risalente alla prima metà del V sec. a.C. raffigurante la dea Atena che indossa un elmo di tipo frigio e una hydriska (risalente allo stesso periodo). È da notare che l'hydriska era legata al culto di Atena come è attestato dagli scavi presso il Timpone della Motta a Francavilla Marittima, dove è stato riportato alla luce una altro santuario dedicato a questa divinità olimpica. In età romana (I sec. a. C./I sec. d.C.) l'area dove attualmente sorge la chiesetta del Carmine venne occupata da una villa che si estendeva su gran parte dell'attuale centro storico. Tra i materiali archeologici spicca un frammento di una coppa in vetro-mosaico di provenienza siriana, una porzione di una coppa in sigillata aretina risalente al I sec. a.C. frammenti di pavimento in opus spicatum. Ciò indica che si trattava di una grande villa provvista di domus patrizia.
In età bizantina si assiste al cosiddetto processo di incastellamento, cioè l'antico abitato si trasforma in castrum (città/fortezza) e prende il nome di Ag. Sostis, dal monastero intitolato al santo martire di origine orientale.
Un altro edificio di straordinaria importanza artistica/archeologica è la chieda madre di Santa Caterina di Alessandria posta sul lato sud-est del castrum di Ag. Sostis. Durante i lavori di restauro eseguiti nel 2000 è stato parzialmente studiato il contesto: si trattava di una chiesa bizantina a navata unica rimaneggiata nel corso dei secoli; l'ultima fase edilizia risale alla metà del XVIII secolo. Tra le opere d'arte custodite nella chiesa madre, degni di nota sono: l'affresco posto sull'altare maggiore raffigurante la Trasfigurazione di Gesù, di scuola raffaelliana; la tela del "Divin Sangue Redentore", di scuola napoletane di fine '700; la scultura di San Pantaleone risalente alla fine del XVI e l'Inizio XVII secolo, la croce processionale e altre opere d'arte.
Il centro storico di San Sosti è impreziosito da palazzi gentilizi costruiti tra il XVI e il XIX secolo, su antiche strutture di età greca, romana e bizantina, tra questi si sottolinea il palazzo Guaglianone con cappella annessa risalente al XVI secolo intitolata a San Francesco di Paola.
È da sottolineare infine che dalle ultime indagini archeologiche e topografiche è emerso che la pianta del centro storico conserva la canonica pianta a griglia tipicamente romana di età imperiale.    
San Sosti (CS): Centro storico 

San Sosti (CS): Centro storico - Museo Artemis

San Sosti (CS): Centro storico - Museo Artemis

San Sosti (CS): Chiesa si Santa Caterina di Alessandria V.M.

San Sosti (CS): La cascata di Fragiovanni 


EVENTI CULTURALI CARATTERISTICI

Festa dell’Immacolata
La tradizione della vigilia dell’Immacolata consiste nell’accensione dei pagliari (falò) assaggio del vino novello (u trividdru) e dei piatti tipici legati alla ricorrenza.

Santa Lucia
È un appuntamento annuale che ricorre il 13 dicembre, giorno della festività in onore di Santa Lucia V.M. Consiste nell’accensione di un grande falò (u pagliaru), in Piazza Orto Sacramento e nella degustazione della pietanza tipica “a cuccìa”, mais bollito e condito (u migliu), secondo la tradizione locale, chi ne mangia, la Santa protegge la vista “degli occhi”.

L’Epifania
Un’antica tradizione narra che la sera dell’Epifania, durante la notte, si verifichino dei fenomeni inconsueti: si possono ascoltare gli animali parlare tra di loro. Può capitare di sentirli criticare il padrone: da qui la preoccupazione di dare loro cibo in abbondanza per evitare imprecazioni e bestemmie contro di lui

Il Carnevale
Questa festa, amata da grandi e piccini, è divenuta il fiore all’occhiello per il paese. Metà di centinaia di visitatori provenienti da paesi circostanti, la manifestazione è un tripudio di colori, allegria, folkrore, canti  e tradizioni. Il carnevale è stato da sempre molto sentito dai sansostesi tant’è che nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma un’intera zona è riservata all’esposizione delle antiche maschere del Corteo dei mesi dell’anno, originario proprio di San Sosti. Esso va sintetizzare, in modo esauriente, alcuni dei più significativi aspetti del carnevale; l’elemento mitico del ciclo agricolo annuale è la funzione del mascheramento, nel contesto ritualizzato dalla rappresentazione popolare. Le maschere appartengono alla raccolta De Giacomo e si tratta di 14 costumi : i 12 mesi dell’anno più Capodanno e la moglie di Aprile e riproducono le maschere originali adoperate durante una rappresentazione avvenuta all’inizio del 900. Per la loro ricostruzione, che avvenne intorno al 1910, furono seguite le indicazioni fornite da informatori locali. Lo stesso De Giacomo aveva partecipato alla rappresentazione venti anni prima e il testo originale, cantato è recitato durante la festa carnevalesca, pubblicato dallo stesso nel 1896 si intitola il popolo di Calabria. Ogni mese è caratterizzato da determinati elementi  simbolici relativi al ciclo agricolo e alimentare. La presenza femminile della moglie di Aprile, unica nel suo genere, ha probabilmente un significato propiziatorio riferito all’inizio della primavera. IL corteo dei mesi viene considerato come un rituale di reintegrazione, e mira a garantire psicologicamente la continuità di un buon rapporto con la natura per il rinnovo delle energie produttive. Se ne può quindi concludere che San Sosti ha un’antica tradizione carnevalesca con radici molto profonde.

San Giuseppe
San Giuseppe è il Santo padrone del paese e lo si festeggia il 19 di marzo, giorno della festa del papà. Una volta i festeggiamenti iniziavano e si concludevano con i famosi botti che si facevano brillare da piazza Bergo. Evento molto atteso era il gioco della “ninna”, un tronco d’albero molto alto al cui vertice era posto un ricco premio. La gara consisteva nell’arrampicarsi fino alla cima e prendere il premio, la difficoltà consisteva proprio nell’arrampicata: oltre alla notevole altezza del tronco, questo veniva cosparso di grasso e reso particolarmente scivoloso.

Pasqua e la settimana Santa
Le festività pasquali sono molto sentite dalla nostra comunità. Si comincia con la domenica delle Palme, quando, per la gioia dei bambini, vi è l’usanza di portare in chiesa a benedire la palma, un grosso fascio composto da ramoscelli di ulivi o di alloro, addobbate con le “pastarelle” pasquali, una sorta di biscotti morbidi fatti in casa tipici di questo periodo. La settimana Santa poi, si presenta ricca di tradizioni centenarie che iniziano il Giovedì pomeriggio con la distribuzione del pane benedetto in dialetto chiamato “cuddruru” nella chiesa del Carmine. Il Venerdì mattina le statue della passione ( Gesù in croce, Gesù morto, l’Addolorata e San Giovanni Battista) vengono trasportate dalla chiesetta del Carmine alla chiesa Madre e nel pomeriggio si svolge una grande processione cui prende parte quasi tutta la cittadinanza, portando sulle spalle le statue. Alla fine rientrati Chiesa, si ritirano i “sammurchi” portati dalle famiglie che partecipano all’iniziativa, i “sammurchi” (sepolcro) si preparano con semi di grano, ceci e lenticchie fatti germogliare in un luogo senza luce che secondo l’usanza popolare  vengono portati al sepolcro dopo la morte di Gesù in attesa della sua resurrezione. Un antico canto religioso recita:

ohi sammurchia ddru mia tuttu iurutu
Da grinta c’è Gesù Cristu Spunutu
C’è l’Addulurata chi chiangia lu figliu sua alla scapellata.

Alle 23:00, nella chiesa Madre vengono recitate le “Sette Parole”, cioè le ultime che Gesù pronunciò sulla croce prima di morire.
A notte inoltrata è da sempre usanza riportare i Santi dalla chiesa Madre a quella del Carmine.
Il sabato alle 23.30 si celebra la Santa Messa durante la quale si svolge l’affascinante rito della benedizione del fuoco e dell’acqua.

Agosto sansostese    
Nel periodo estivo viene organizzato L’agosto sansostese per far si che tutti i cittadini e tutti i nostri compaesani emigrati e ritornati nel loro paese natale possano trascorrere in questa occasione un piacevole soggiorno nella nostra San Sosti. Durante questa manifestazione che si protrae per circa dieci giorni, vengono organizzate serate dedicate alla musica, al cinema sotto le stelle, alla solidarietà, alla danza, alla moda; viene dato ambio spazio anche allo sport organizzando tornei di calcio, di calcetto, di pallavolo, gare podistiche ed altro.

Pellegrinaggio Buonvicino 
Ogni anno il 18 di settembre è usanza recarsi a piedi a buon vicino, per festeggiare San Ciriaco. Numerosi i nostri concittadini che sono soliti recarsi in questa località affrontando un lungo pellegrinaggio, attraverso i monti che collegano San Sosti e Buonvicino. Sarebbe questa la stessa strada percorsa a suo tempo dallo stesso Santo, che veniva a studiare presso il monastero di San Sozon insieme agli altri monaci bizantini, suoi confratelli. Questo scambio culturale fra i monaci si è con il tempo trasformato in uno scambio di preghiera tra San Sosti, paese mariano, e buon vicino, paese devoto al monaco bizantino. 

La Fiera
Visita la Fiera del Pettoruto dall’1 all’8 settembre. Sin da tempi antichissimi le fiere ed i mercati si svolgevano in prossimità dei santuari extraurbani. In età greca-arcaica i nuovi arrivati si appropriavano del territorio soprattutto con la fondazione dei santuari dedicati alle loro divinità protettrici. Le fiere costituivano oltre che un importante vantaggio economico, un momento fondamentale di aggregazione e integrazione tra l’elemento greco e quello indigeno. Fiere e mercati continuarono a svolgersi con regolarità nei pressi dei santuari e delle importanti vie di comunicazione anche in età romana. In età Paleocristiana e Cristiana sui luoghi di culto pagani e lungo le antiche vie di comunicazione ancora in uso, vennero edificati monasteri, chiese e santuari e nella maggior parte dei casi si conservarono anche le antiche fiere, come nel caso specifico la Fiera in onore della Madonna del Pettoruto.



SANTA MARIA DEL PETTORUTO

San Sosti (CS): Santuario N.S. del Pettoruto

Il santuario del Pettoruto si trova a San Sosti, in provincia di Cosenza ad un’altezza di 600 metri circa.
Si presenta agli occhi del visitatore completamente immerso in uno scenario naturalistico di impareggiabile bellezza quale la gola del fiume Rosa, coperta da splendidi boschi di elci e di faggi.
Questo paesaggio incantato, dove il tempo sembra essersi fermato, è incorniciato dal massiccio della Mula a nord-est e quello della Montea a sud-est.
Da sempre questi luoghi, suggestivi e affascinanti, rappresentano una sorta di ritrovo dell’anima in armonia con la meraviglia del creato che avvicina l’uomo a Dio.


storia

La chiesa intitolata alla Vergine fu costruita verso la metà del XIII secolo sulle antiche strutture del monastero bizantino, fondato presumibilmente tra il IX e il X secolo, come grancia del monastero di Aghios Sozon, i cui ruderi si conservano ancora fuori dall’abitato di San Sosti.
Molto probabilmente il santuario del Pettoruto va identificato con l’antico monastero di Monte Mula di cui si parla nella agiografia di San Leon Luca da Corleone, abate di questo monastero fino al 915, anno della sua morte.
Un aspetto molto importante per la nostra ricerca è proprio un passo della agiografia del santo di origine siciliana legato al momento della sua morte che avvenne nel monastero di Monte Mula sotto l’invocazione della Vergine Maria.
Da questa fonte antica si comprende che già il monastero bizantino era dedicato alla Madonna. Nel catasto onciario del 1273 il Pettoruto viene censito come Grancia , cioè come Monastero e centro produttivo. Un’ altra fonte riportata dal Barillàro afferma che il monastero nel 1274 fu trasformato in chiesa dai cistercensi di Santa Maria di Acquaformosa. La fonte riportata dal Barillàro, però non è esatta perché nella bolla di Callisto 3° del 22 Maggio 1455 si afferma che la chiesa della Madonna del Pettoruto era Grancia del monastero di San Sosti. Ciò significa che al tempo di Callisto 3° manteneva ancora il carattere primitivo di istituzione greca.
Con questa bolla il Papa concedeva una particolare indulgenza ai devoti che si recavano in pellegrinaggio al Pettoruto. E’ proprio la bolla di Callisto 3° che conferma l’importanza del Monastero, dedicato alla Vergine Maria già al momento della sua fondazione. La chiesa ha subìto diversi cambiamenti nel corso dei secoli, sia di ordine strutturale, che di ordine istituzionale.
Nel 1348 diviene “Commenda” e cessa di essere Monastero.
A breve distanza della basilica si conservano i ruderi di strutture che anticamente facevano parte del complesso monastico.
Dal fitto bosco di elci affiora il muro perimetrale e le basi di grandi pilastri posti a distanza regolare di 2 m e 50 centimetri, che originariamente costituivano il grande portico. La struttura sorge lungo uno dei sentieri che conduce al castrum dei Casalini.
In località Casalini si conservano i resti della città-fortezza nota con il nome di Artemisia.  Il castrum è posto a quota 896 metri di altezza, a strapiombo sulla chiesa del Pettoruto.
La città fu fondata dai Bizantini, su un abitato più antico, tra il IX e il X secolo d.C.
Sul punto più alto si conservano i ruderi di una chiesetta, forse dedicata alla Madonna, secondo l’usanza dei bizantini di costruire le chiese intitolate alla Theotokos in prossimità delle porte d’ingresso alle città.
La chiesa del Pettoruto nel 1647 divenne concistoriale e passò al Cardinale Paolo Emilio Rondinini. Fu gravemente danneggiata dai terremoti del 1603 e del 1783; fu ricostruita nel 1834. Nel corso dei lavori di restauro del 1925 venne costruita la facciata come la vediamo oggi. Nel 1935 fu ricostruita la navata destra; dal 1956 al 1977, con il vescovo, Mons. Luigi Rinaldi, la chiesa venne ulteriormente abbellita.
Gli ultimi restauri risalgono al 2009/10 commissionati dal vescovo, Mons. Domenico Crusco.


RELIGIOSITA’

La devozione popolare racconta che la statua della Madonna fu scolpita da Nicola Mairo di Altomonte ingiustamente accusato di violenza su una giovane del suo paese.
Per sfuggire alla tragica sorte, il Mairo fugge da Altomonte e si nasconde tra i monti selvosi del Pettoruto.  Nel dramma della solitudine, profondamente addolorato a causa di un delitto che non aveva commesso, incominciò a modellare sulla pietra l’immagine della Vergine cui era molto devoto.
Fu proprio per intercessione divina che fu riconosciuta la sua innocenza e scagionato da ogni accusa. L’immagine che egli aveva scolpito e lasciato sul posto, fu a poco a poco occultata dalla natura. Molto tempo dopo, un pastorello di Scalea di nome Giuseppe Labbazia, mentre stava cercando una pecora che si era allontanata dal gregge, si avventura nella boscaglia: terrorizzato perché credeva di essersi perduto gli apparve l’immagine della Madonna che gli parlò.
Gli disse di andare a San Sosti e avvisare il parroco che in quel luogo doveva sorgere la sua chiesa. Il giovane era sordo-muto sin dalla nascita. Fu proprio questo il primo miracolo. La Madonna li aveva dato la parola e l’udito.

San Sosti (CS): N.S. del Pettoruto 

LA CINTA

La tradizione della cinta ha origine nella metà del 1600. una terribile carestia accompagnata da una virulenta pestilenza mieteva centinaia di vittime in tutta la Calabria superiore, dallo Ionio al Tirreno.
Fu in questo tragico momento che la popolazione di San Sosti e di tutti gli altri paesi vicini si posero sotto la protezione della Madonna. Il legame simbolico tra la Madonna e i suoi figli è rappresentato dalla Cinta, una lunga cordicella imbevuta di cera adagiata in un canestro ornato di fiori. La prima domenica di maggio di ogni anno una fanciulla vestita di bianco reca il canestro in processione e lo offre alla Madonna come per rinnovare quell’antico patto tra la Madonna ed i suoi figli.
Giunta sul sagrato della chiesa, la cinta, ridotta in piccoli pezzi, viene distribuita ai fedeli per accenderla nei momenti di pericolo e di sconforto.

I BRIGANTI
           
La tradizione orale racconta che la cicatrice sotto l’occhio destro della Madonna fu procurata da alcuni briganti che si nascondevano nella gola del Pettoruto.
Per dimostrare che la sacra immagina non era miracolosa, si recarono sul posto e con un pugnale incisero la piccola ferita dalla quale sgorgò sangue.
Gery, il capo dei briganti che aveva vibrato il colpo, stramazzò ai piedi dell’altare come fulminato e rimase tramortito mentre gli altri fuggirono terrorizzati.