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lunedì 19 settembre 2016

Cultura e Archeologia: il Museo "Artemis" si consolida vero attrattore turistico di San Sosti.

L'Associazione Culturale "Paeseggiando" alla scoperta della Nuova Mostra Archeologica "Civiltà allo specchio: Enotri e Greci - La ceramica rituale e da mensa: i casi di Francavilla Marittima e San Sosti" allestita presso il Museo "Artemis", che si conferma VERO attrattore turistico del Comune di San Sosti.







venerdì 9 settembre 2016

"Tesori del Parco Vol. V° - Kyniskos: il Campione della Dea Era"


"Kyniskos il Campione della Dea Era"

Nel 2017 sarà pubblicata la nuova opera scientifica della collana:
"Tesori del Parco Vol. V° - Kyniskos: il Campione della Dea Era"

Il libro contiene notizie e scoperte assolutamente inedite su Kyniskos e la Scure Martello

sabato 6 agosto 2016

Convegno & Mostra Archeologica: Civiltà allo specchio - Enotri e Greci - La ceramica rituale e da mensa: i casi di Francavilla Marittima e San Sosti

Lo Staff del Museo "Artemis", è lieta di invitarVi al Convegno Nuove azioni politiche per la definizione di Beni Culturali come beni comuni” 
Al termine del convegno sarà presentata la nuova MOSTRA ARCHEOLOGICA "Civiltà allo specchio - Enotri e Greci: la ceramica rituale e da mensa - I casi di Francavilla Marittima e San Sosti" organizzata dall'Impresa "Martus" in collaborazione con il Polo Museale della Sibaritide e col patrocinio dall’Amministrazione Comunale  di San Sosti e del Parco Nazionale del Pollino.


mercoledì 3 settembre 2014

SAN SOSTI: ARCHEOLOGIA - STORIA - RELIGIOSITA' - TRADIZIONI

San Sosti (CS): Centro storico 

LE ORIGINI DI SAN SOSTI (CS) (Ag. Sostis)

 Il nome San Sosti deriva dal greco/bizantino Agios Sostis. Le ultime ricerche archeologiche condotte dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, in collaborazione con la Cattedra di Archeologia Cristiana e Medievale del Dip. Di Archeologia e Storia delle Arti dell'Unical di Rende, ha attestato che l'abitato fu fondato intorno alla media età del Bronzo (XIV-XIII sec. a.C.), documentato da numerosi resti ceramici e da una porzione del battuto di un a capanna protostorica rinvenuti nel corso degli scavi all'interno della chiesa del Carmine. L'abitato era molto fiorente in età greca come è dimostrato dal rinvenimento dei resti di un santuario risalente al VI-V sec a.C. dedicato ad una divinità femminile. Sul lato sinistro della zona presbiteriale è stato riportato alla luce un cospicuo tratto di muro a secco che era parte del sacro temenos, cioè il recinto sacro del luogo cultuale. Al livello di fondazione del muro sono state rinvenute tre fosse votive delle quale una ancora integra, cioè non disturbata dagli interventi di restauro e ampliamento avvenuti nel corso dei secoli. Tra i materiali recuperati si distingue una testina fittile risalente alla prima metà del V sec. a.C. raffigurante la dea Atena che indossa un elmo di tipo frigio e una hydriska (risalente allo stesso periodo). È da notare che l'hydriska era legata al culto di Atena come è attestato dagli scavi presso il Timpone della Motta a Francavilla Marittima, dove è stato riportato alla luce una altro santuario dedicato a questa divinità olimpica. In età romana (I sec. a. C./I sec. d.C.) l'area dove attualmente sorge la chiesetta del Carmine venne occupata da una villa che si estendeva su gran parte dell'attuale centro storico. Tra i materiali archeologici spicca un frammento di una coppa in vetro-mosaico di provenienza siriana, una porzione di una coppa in sigillata aretina risalente al I sec. a.C. frammenti di pavimento in opus spicatum. Ciò indica che si trattava di una grande villa provvista di domus patrizia.
In età bizantina si assiste al cosiddetto processo di incastellamento, cioè l'antico abitato si trasforma in castrum (città/fortezza) e prende il nome di Ag. Sostis, dal monastero intitolato al santo martire di origine orientale.
Un altro edificio di straordinaria importanza artistica/archeologica è la chieda madre di Santa Caterina di Alessandria posta sul lato sud-est del castrum di Ag. Sostis. Durante i lavori di restauro eseguiti nel 2000 è stato parzialmente studiato il contesto: si trattava di una chiesa bizantina a navata unica rimaneggiata nel corso dei secoli; l'ultima fase edilizia risale alla metà del XVIII secolo. Tra le opere d'arte custodite nella chiesa madre, degni di nota sono: l'affresco posto sull'altare maggiore raffigurante la Trasfigurazione di Gesù, di scuola raffaelliana; la tela del "Divin Sangue Redentore", di scuola napoletane di fine '700; la scultura di San Pantaleone risalente alla fine del XVI e l'Inizio XVII secolo, la croce processionale e altre opere d'arte.
Il centro storico di San Sosti è impreziosito da palazzi gentilizi costruiti tra il XVI e il XIX secolo, su antiche strutture di età greca, romana e bizantina, tra questi si sottolinea il palazzo Guaglianone con cappella annessa risalente al XVI secolo intitolata a San Francesco di Paola.
È da sottolineare infine che dalle ultime indagini archeologiche e topografiche è emerso che la pianta del centro storico conserva la canonica pianta a griglia tipicamente romana di età imperiale.    
San Sosti (CS): Centro storico 

San Sosti (CS): Centro storico - Museo Artemis

San Sosti (CS): Centro storico - Museo Artemis

San Sosti (CS): Chiesa si Santa Caterina di Alessandria V.M.

San Sosti (CS): La cascata di Fragiovanni 


EVENTI CULTURALI CARATTERISTICI

Festa dell’Immacolata
La tradizione della vigilia dell’Immacolata consiste nell’accensione dei pagliari (falò) assaggio del vino novello (u trividdru) e dei piatti tipici legati alla ricorrenza.

Santa Lucia
È un appuntamento annuale che ricorre il 13 dicembre, giorno della festività in onore di Santa Lucia V.M. Consiste nell’accensione di un grande falò (u pagliaru), in Piazza Orto Sacramento e nella degustazione della pietanza tipica “a cuccìa”, mais bollito e condito (u migliu), secondo la tradizione locale, chi ne mangia, la Santa protegge la vista “degli occhi”.

L’Epifania
Un’antica tradizione narra che la sera dell’Epifania, durante la notte, si verifichino dei fenomeni inconsueti: si possono ascoltare gli animali parlare tra di loro. Può capitare di sentirli criticare il padrone: da qui la preoccupazione di dare loro cibo in abbondanza per evitare imprecazioni e bestemmie contro di lui

Il Carnevale
Questa festa, amata da grandi e piccini, è divenuta il fiore all’occhiello per il paese. Metà di centinaia di visitatori provenienti da paesi circostanti, la manifestazione è un tripudio di colori, allegria, folkrore, canti  e tradizioni. Il carnevale è stato da sempre molto sentito dai sansostesi tant’è che nel Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma un’intera zona è riservata all’esposizione delle antiche maschere del Corteo dei mesi dell’anno, originario proprio di San Sosti. Esso va sintetizzare, in modo esauriente, alcuni dei più significativi aspetti del carnevale; l’elemento mitico del ciclo agricolo annuale è la funzione del mascheramento, nel contesto ritualizzato dalla rappresentazione popolare. Le maschere appartengono alla raccolta De Giacomo e si tratta di 14 costumi : i 12 mesi dell’anno più Capodanno e la moglie di Aprile e riproducono le maschere originali adoperate durante una rappresentazione avvenuta all’inizio del 900. Per la loro ricostruzione, che avvenne intorno al 1910, furono seguite le indicazioni fornite da informatori locali. Lo stesso De Giacomo aveva partecipato alla rappresentazione venti anni prima e il testo originale, cantato è recitato durante la festa carnevalesca, pubblicato dallo stesso nel 1896 si intitola il popolo di Calabria. Ogni mese è caratterizzato da determinati elementi  simbolici relativi al ciclo agricolo e alimentare. La presenza femminile della moglie di Aprile, unica nel suo genere, ha probabilmente un significato propiziatorio riferito all’inizio della primavera. IL corteo dei mesi viene considerato come un rituale di reintegrazione, e mira a garantire psicologicamente la continuità di un buon rapporto con la natura per il rinnovo delle energie produttive. Se ne può quindi concludere che San Sosti ha un’antica tradizione carnevalesca con radici molto profonde.

San Giuseppe
San Giuseppe è il Santo padrone del paese e lo si festeggia il 19 di marzo, giorno della festa del papà. Una volta i festeggiamenti iniziavano e si concludevano con i famosi botti che si facevano brillare da piazza Bergo. Evento molto atteso era il gioco della “ninna”, un tronco d’albero molto alto al cui vertice era posto un ricco premio. La gara consisteva nell’arrampicarsi fino alla cima e prendere il premio, la difficoltà consisteva proprio nell’arrampicata: oltre alla notevole altezza del tronco, questo veniva cosparso di grasso e reso particolarmente scivoloso.

Pasqua e la settimana Santa
Le festività pasquali sono molto sentite dalla nostra comunità. Si comincia con la domenica delle Palme, quando, per la gioia dei bambini, vi è l’usanza di portare in chiesa a benedire la palma, un grosso fascio composto da ramoscelli di ulivi o di alloro, addobbate con le “pastarelle” pasquali, una sorta di biscotti morbidi fatti in casa tipici di questo periodo. La settimana Santa poi, si presenta ricca di tradizioni centenarie che iniziano il Giovedì pomeriggio con la distribuzione del pane benedetto in dialetto chiamato “cuddruru” nella chiesa del Carmine. Il Venerdì mattina le statue della passione ( Gesù in croce, Gesù morto, l’Addolorata e San Giovanni Battista) vengono trasportate dalla chiesetta del Carmine alla chiesa Madre e nel pomeriggio si svolge una grande processione cui prende parte quasi tutta la cittadinanza, portando sulle spalle le statue. Alla fine rientrati Chiesa, si ritirano i “sammurchi” portati dalle famiglie che partecipano all’iniziativa, i “sammurchi” (sepolcro) si preparano con semi di grano, ceci e lenticchie fatti germogliare in un luogo senza luce che secondo l’usanza popolare  vengono portati al sepolcro dopo la morte di Gesù in attesa della sua resurrezione. Un antico canto religioso recita:

ohi sammurchia ddru mia tuttu iurutu
Da grinta c’è Gesù Cristu Spunutu
C’è l’Addulurata chi chiangia lu figliu sua alla scapellata.

Alle 23:00, nella chiesa Madre vengono recitate le “Sette Parole”, cioè le ultime che Gesù pronunciò sulla croce prima di morire.
A notte inoltrata è da sempre usanza riportare i Santi dalla chiesa Madre a quella del Carmine.
Il sabato alle 23.30 si celebra la Santa Messa durante la quale si svolge l’affascinante rito della benedizione del fuoco e dell’acqua.

Agosto sansostese    
Nel periodo estivo viene organizzato L’agosto sansostese per far si che tutti i cittadini e tutti i nostri compaesani emigrati e ritornati nel loro paese natale possano trascorrere in questa occasione un piacevole soggiorno nella nostra San Sosti. Durante questa manifestazione che si protrae per circa dieci giorni, vengono organizzate serate dedicate alla musica, al cinema sotto le stelle, alla solidarietà, alla danza, alla moda; viene dato ambio spazio anche allo sport organizzando tornei di calcio, di calcetto, di pallavolo, gare podistiche ed altro.

Pellegrinaggio Buonvicino 
Ogni anno il 18 di settembre è usanza recarsi a piedi a buon vicino, per festeggiare San Ciriaco. Numerosi i nostri concittadini che sono soliti recarsi in questa località affrontando un lungo pellegrinaggio, attraverso i monti che collegano San Sosti e Buonvicino. Sarebbe questa la stessa strada percorsa a suo tempo dallo stesso Santo, che veniva a studiare presso il monastero di San Sozon insieme agli altri monaci bizantini, suoi confratelli. Questo scambio culturale fra i monaci si è con il tempo trasformato in uno scambio di preghiera tra San Sosti, paese mariano, e buon vicino, paese devoto al monaco bizantino. 

La Fiera
Visita la Fiera del Pettoruto dall’1 all’8 settembre. Sin da tempi antichissimi le fiere ed i mercati si svolgevano in prossimità dei santuari extraurbani. In età greca-arcaica i nuovi arrivati si appropriavano del territorio soprattutto con la fondazione dei santuari dedicati alle loro divinità protettrici. Le fiere costituivano oltre che un importante vantaggio economico, un momento fondamentale di aggregazione e integrazione tra l’elemento greco e quello indigeno. Fiere e mercati continuarono a svolgersi con regolarità nei pressi dei santuari e delle importanti vie di comunicazione anche in età romana. In età Paleocristiana e Cristiana sui luoghi di culto pagani e lungo le antiche vie di comunicazione ancora in uso, vennero edificati monasteri, chiese e santuari e nella maggior parte dei casi si conservarono anche le antiche fiere, come nel caso specifico la Fiera in onore della Madonna del Pettoruto.



SANTA MARIA DEL PETTORUTO

San Sosti (CS): Santuario N.S. del Pettoruto

Il santuario del Pettoruto si trova a San Sosti, in provincia di Cosenza ad un’altezza di 600 metri circa.
Si presenta agli occhi del visitatore completamente immerso in uno scenario naturalistico di impareggiabile bellezza quale la gola del fiume Rosa, coperta da splendidi boschi di elci e di faggi.
Questo paesaggio incantato, dove il tempo sembra essersi fermato, è incorniciato dal massiccio della Mula a nord-est e quello della Montea a sud-est.
Da sempre questi luoghi, suggestivi e affascinanti, rappresentano una sorta di ritrovo dell’anima in armonia con la meraviglia del creato che avvicina l’uomo a Dio.


storia

La chiesa intitolata alla Vergine fu costruita verso la metà del XIII secolo sulle antiche strutture del monastero bizantino, fondato presumibilmente tra il IX e il X secolo, come grancia del monastero di Aghios Sozon, i cui ruderi si conservano ancora fuori dall’abitato di San Sosti.
Molto probabilmente il santuario del Pettoruto va identificato con l’antico monastero di Monte Mula di cui si parla nella agiografia di San Leon Luca da Corleone, abate di questo monastero fino al 915, anno della sua morte.
Un aspetto molto importante per la nostra ricerca è proprio un passo della agiografia del santo di origine siciliana legato al momento della sua morte che avvenne nel monastero di Monte Mula sotto l’invocazione della Vergine Maria.
Da questa fonte antica si comprende che già il monastero bizantino era dedicato alla Madonna. Nel catasto onciario del 1273 il Pettoruto viene censito come Grancia , cioè come Monastero e centro produttivo. Un’ altra fonte riportata dal Barillàro afferma che il monastero nel 1274 fu trasformato in chiesa dai cistercensi di Santa Maria di Acquaformosa. La fonte riportata dal Barillàro, però non è esatta perché nella bolla di Callisto 3° del 22 Maggio 1455 si afferma che la chiesa della Madonna del Pettoruto era Grancia del monastero di San Sosti. Ciò significa che al tempo di Callisto 3° manteneva ancora il carattere primitivo di istituzione greca.
Con questa bolla il Papa concedeva una particolare indulgenza ai devoti che si recavano in pellegrinaggio al Pettoruto. E’ proprio la bolla di Callisto 3° che conferma l’importanza del Monastero, dedicato alla Vergine Maria già al momento della sua fondazione. La chiesa ha subìto diversi cambiamenti nel corso dei secoli, sia di ordine strutturale, che di ordine istituzionale.
Nel 1348 diviene “Commenda” e cessa di essere Monastero.
A breve distanza della basilica si conservano i ruderi di strutture che anticamente facevano parte del complesso monastico.
Dal fitto bosco di elci affiora il muro perimetrale e le basi di grandi pilastri posti a distanza regolare di 2 m e 50 centimetri, che originariamente costituivano il grande portico. La struttura sorge lungo uno dei sentieri che conduce al castrum dei Casalini.
In località Casalini si conservano i resti della città-fortezza nota con il nome di Artemisia.  Il castrum è posto a quota 896 metri di altezza, a strapiombo sulla chiesa del Pettoruto.
La città fu fondata dai Bizantini, su un abitato più antico, tra il IX e il X secolo d.C.
Sul punto più alto si conservano i ruderi di una chiesetta, forse dedicata alla Madonna, secondo l’usanza dei bizantini di costruire le chiese intitolate alla Theotokos in prossimità delle porte d’ingresso alle città.
La chiesa del Pettoruto nel 1647 divenne concistoriale e passò al Cardinale Paolo Emilio Rondinini. Fu gravemente danneggiata dai terremoti del 1603 e del 1783; fu ricostruita nel 1834. Nel corso dei lavori di restauro del 1925 venne costruita la facciata come la vediamo oggi. Nel 1935 fu ricostruita la navata destra; dal 1956 al 1977, con il vescovo, Mons. Luigi Rinaldi, la chiesa venne ulteriormente abbellita.
Gli ultimi restauri risalgono al 2009/10 commissionati dal vescovo, Mons. Domenico Crusco.


RELIGIOSITA’

La devozione popolare racconta che la statua della Madonna fu scolpita da Nicola Mairo di Altomonte ingiustamente accusato di violenza su una giovane del suo paese.
Per sfuggire alla tragica sorte, il Mairo fugge da Altomonte e si nasconde tra i monti selvosi del Pettoruto.  Nel dramma della solitudine, profondamente addolorato a causa di un delitto che non aveva commesso, incominciò a modellare sulla pietra l’immagine della Vergine cui era molto devoto.
Fu proprio per intercessione divina che fu riconosciuta la sua innocenza e scagionato da ogni accusa. L’immagine che egli aveva scolpito e lasciato sul posto, fu a poco a poco occultata dalla natura. Molto tempo dopo, un pastorello di Scalea di nome Giuseppe Labbazia, mentre stava cercando una pecora che si era allontanata dal gregge, si avventura nella boscaglia: terrorizzato perché credeva di essersi perduto gli apparve l’immagine della Madonna che gli parlò.
Gli disse di andare a San Sosti e avvisare il parroco che in quel luogo doveva sorgere la sua chiesa. Il giovane era sordo-muto sin dalla nascita. Fu proprio questo il primo miracolo. La Madonna li aveva dato la parola e l’udito.

San Sosti (CS): N.S. del Pettoruto 

LA CINTA

La tradizione della cinta ha origine nella metà del 1600. una terribile carestia accompagnata da una virulenta pestilenza mieteva centinaia di vittime in tutta la Calabria superiore, dallo Ionio al Tirreno.
Fu in questo tragico momento che la popolazione di San Sosti e di tutti gli altri paesi vicini si posero sotto la protezione della Madonna. Il legame simbolico tra la Madonna e i suoi figli è rappresentato dalla Cinta, una lunga cordicella imbevuta di cera adagiata in un canestro ornato di fiori. La prima domenica di maggio di ogni anno una fanciulla vestita di bianco reca il canestro in processione e lo offre alla Madonna come per rinnovare quell’antico patto tra la Madonna ed i suoi figli.
Giunta sul sagrato della chiesa, la cinta, ridotta in piccoli pezzi, viene distribuita ai fedeli per accenderla nei momenti di pericolo e di sconforto.

I BRIGANTI
           
La tradizione orale racconta che la cicatrice sotto l’occhio destro della Madonna fu procurata da alcuni briganti che si nascondevano nella gola del Pettoruto.
Per dimostrare che la sacra immagina non era miracolosa, si recarono sul posto e con un pugnale incisero la piccola ferita dalla quale sgorgò sangue.
Gery, il capo dei briganti che aveva vibrato il colpo, stramazzò ai piedi dell’altare come fulminato e rimase tramortito mentre gli altri fuggirono terrorizzati.




mercoledì 2 luglio 2014

LO STILE GOTH NON UNA MODA MA UN FENOMENO CULTURALE IN PIENA AFFERMAZIONE



Articolo a cura di Pamela Ainge
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Noi tutti abbiamo visto, se non di persona, ma in media, il GOTH stereotipo, vestito di nero, lo guardiamo come fosse uscito da un romanzo storico: visi pallidi, make-up scuro, personaità ed espressioni meditabondi.
In realtà è un malinteso comune che i Goth siano depressi, che adorano Satana, che sono cattivi e odiano e vogliono uccidere tutti. Niente più lontano dalla verità; anzi, sono generalmente persone simpatiche e ma molto ponderate .... sono normali, proprio come voi e me .
Ma, cos'è lo stile Goth, chi sono i ragazzi/e Gothic?
La sottocultura gotica è iniziata in Inghilterra negli anni '80 e presto si è diffusa in tutta Europa, grazie, soprattutto al nuovo genere musicale: il rock Epic-Gothic che trova la sua massima affermazione con la band finlandese dei Nightwish, a partire dal 1998.
Il suo immaginario e propensioni culturali indicano influenze dalla letteratura gotica del XIX secolo, romanzi come "La leggenda di Sleepy Hollow " (il cavaliere senza testa) o il romanzo del XVII secolo, " Il Castello di Otranto" o addirittura il classico romanzo " Dracula". Letteratura gotica e dell'orrore, ha svolto un ruolo significativo in tutta l'evoluzione di questa cultura, scrittori classici come Edgar Allan Poe e di altri autori romantici tragici sono diventati emblematici del genere. L'eroe byroniano, in particolare, è stato un precursore fondamentale per l'immagine GOTH maschio mentre ritratti cinematografici di Dracula ha affascinato scrittori contemporanei come Anne Rice ( Intervista col vampiro , LE STAT ecc) hanno continuato lo stile gotico.
Non è solo l'immagine che contraddistingue lo stile Goth, ruolo significativo assume la musica nella definizione del genere, band come BAUHAUS, Siouxsie e Banshees, ne sono l'embelma.
 Il look tenebroso, con i loro cantanti solisti iconici, imitato dai seguaci dello stile Goth, ispirati dai personaggi di film horror, aiutano a definire questa cultura cha ha aperto una nuova era della musica "Metal.
Nel corso degli anni numerosi film sono stati girati che hanno influenzato e perfezionato lo stile, film come Edward mani di forbice, Beetlejuice e Batman.
 Ma, il film che ha aperto il nuovo filone iconografico "Goth" è il corvo, accompagnato dalla colonna sonora appropriata alle immagini ha direttamente dalla musica gothic e stile. E' proprio il protagonista de "Il Corvo" che da inizio alla graphic novel "The Sandman" (il ragazzo triste); da qui, un nuovo mondo di immagini e simboli che caratterizzano il nostro tempo.
La cultura Goth ha influenzato anche molti artisti, pittori, fotografi, anche di fama mondiale e registi cinematografici. In gran parte, la loro produzione è basata sul misticismo romantico e oscuro; spesso comprende opere d'arte erotica e immagini di vampiri o fantasmi ( ANNE Sudworth, ZDZISLAW BEKINSKI e forse più famoso HR Giger FILM ALIEN).
Dal punto di vista figurativo lo stile Goth è vistosamente oscuro, inquietante, misterioso, complesso ed esotico: capelli tinti di nero, occhi contornati di linee nere, volto molto pallido, accentuato con fard bianco, unghia smaltate di nero. Il vestiario è molto più complesso che prende come modelli elementi del periodo medievale, elisabettiano, vittoriano.
Generalmente si identifica lo stile Goth con la violenza, con la sofferenza, con la morte; niente di più sbagliato, è una filosofia di vita legata alla migliore espressione del "Classicismo", conferisce alla morte la giusta collocazione ed il senso del timore reverenziale, che purtroppo ha perduto nel nostro tempo.
I "goth" non sono, dunque, persone violente, anzi, la tolleranza ed il rispetto sono alla base della loro filosofia, soffrono e sentono il peso del male di una sociatà malsana basata sull'apparenza, sul fugace. Non si identificano con alcun colore politico, la loro  l'ideologia principale è l'enfasi sull'individualismo e la creatività, tentende verso intellettualismo e la tolleranza verso ogni diversità. I giovani sono attratti da questi aspetti.
 Infine, forse le persone che scelgono di percorrere una strada diversa dal "normale", che scelgono di essere diversoi, di stare fuori dalla folla, dovrebbero essere ammirati per il loro coraggio e la loro responsabile individualità piuttosto che temuti, ridicolizzati o evitati.



mercoledì 19 febbraio 2014

LE CIVILTA' PERDUTE DEL NORD AMERICA

 
Articolo pubblicato in "Martus Journal" di Gennaio 2014
a cura di
Robert C. WuolfRuns Morrison
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In sostegno alla pretesa che esista una storia nascosta dell’antica America, il presentatore del documentario "The Lost Civilizations of North America", formula un certo numero di domande fondamentali, come: "La maggior parte degli americani non ha idea del fatto che antiche città con architetture progredite costellassero un tempo il paesaggio dell’antico Nord America. Perché i grandi storici non sapevano queste cose e perché esse non sono generalmente note al grande pubblico?"

               Tullockchishko: Guerriero Nativo



Secondo gli autori del documentario  che c’è stata una cospirazione per nascondere la vera storia del Nord America, tanto che persino "i grandi storici" non ne sanno nulla. A conferma di tale asserzione, i produttori hanno intervistato Roger Kennedy, ex direttore dello Smithsonian's National Museum of American History negli anni 1979-1992 e del National Park Service dal 1993 al 1997. Kennedy ammette che persino nei primi anni 1990 egli non era al corrente del fatto che "importanti resti urbani esistessero in Nord America".
Si tratta di un’affermazione curiosa, visto lo stato della conoscenza archeologica nei primi anni 1990. È possibile che Kennedy o non abbia capito la domanda o ne abbia frainteso lo specifico contesto. Ma da questa candida e onesta personale ammissione di un sono storico non deriva che, come gruppo, gli archeologi e gli storici fossero tutti disinformati e che i capi riconosciuti della comunità scientifica fosse le vittime (o forse gli autori) d’una cospirazione di silenzio. È problematico che i produttori abbiano basato una conclusione su ciò che era semplicemente un caso, prima di porre la domanda cruciale: "Perché i maggiori storici non sapevano nulla di queste cose?" Era questa la situazione generale nei primi anni '90? È forse vero oggi? Nei fatti, non era così allora e non lo è oggi. Per rispondere meglio a una tale domanda, basterebbe sfogliare la Guida ai Dipartimenti di Antropologia (pubblicata dall’Anthropological Association, un’organizzazione professionale americana). Dalla guida si può vedere che ci sono letteralmente centinaia di archeologi che hanno dedicato le loro carriere allo studio delle culture dei costruttori di tumuli e decine di programmi universitari che trattano tale argomento.
Che molti (la maggioranza degli) americani non conoscano molto o nulla dei costruttori di tumuli è purtroppo un fatto vero, ma tale ignoranza fa parte di una questione più ampia. La maggior parte degli americani non sa molto delle culture dei Nativi Americani, il che è naturalmente una vergogna. 
Gli archeologi professionisti nelle università e nei musei hanno pubblicato diversi volumi sulle antiche civiltà dei Nativi Americani, stando molto attenti a non dare troppa importanza ai grandi tumuli ed ai loro costruttori. Il problema, in realtà è un altro: nelle vicinanze dei grandi tumuli non ci sono tracce archeologiche di abitati urbani di considerevoli dimensioni o comunque elementi che lascino pensare a grandi città ad eccezione di Cahokia.


    Il Santuario di Cahokia
 
Tutti gli altri grandi tumuli del Nord America mostrano un aspetto differente da quello di un insediamento: non erano città, ma piuttosto centri cerimoniali con poca popolazione residente, circondati da numerosi piccoli centri dispersi su un’ampia area tutto intorno. La gente che viveva in quei piccoli villaggi produceva il surplus (in termini di alimenti, ricchezza e lavoro) che manteneva l’élite rituale che viveva nei centri sui tumuli. In un esempio particolarmente notevole di deformazione della terminologia, il documentario definisce il terrapieno che racchiude le opere di terra di Newark in Ohio come "mura della città". È un nonsense. Le opere di terra di Newark includono una serie spettacolare di dodici chilometri quadrati di recinti geometrici e tumuli di diversi profili e dimensioni, ma non c’è alcuna evidenza archeologica di una popolazione urbana, né qui né in altre opere di terra monumentali della cultura Hopewell. Ma allora, dove viveva la popolazione?
Dalle ultima ricerche si comprende che i siti di Newark Earthworks, Poverty Point in Louisiana, Town Creek Mound in North Carolina, o Crystal River Mounds in Florida non erano città ma grandi santuari extra-urbani.
    Miamisburg Mound, Ohio
 
A maggior ragione, ci dobbiamo domandare dove di abitavano i costruttori di questi grandi santuari.
Una delle questioni più affascinanti domande che i nuovi archeologi si pongono in merito è come potesse una popolazione dispersa in piccoli villaggi, priva di re ereditari o faraoni, essersi organizzata nel lavoro di costruzione di simili imponenti opere di terrapieni.
Un'altra questione è la domanda perché questi siti non sono stati preservati? E perché queste civiltà progredite non sono oggi comunemente conosciute? Il dubbio è che i coloni volessero pulire le loro coscienze riguardo all’espropriazione dei popoli nativi dalle loro terre.
Il fatto è che l’esistenza dei tumuli apparisse come un problema, a coloro che concepivano la cultura dei Nativi Americani come fondamentalmente primitiva e destinata all’estinzione.
Per motivi religiosi e politici, gli esperti moderni (come nel passato, XIX-XX sec.) concordano nel proseguire la distruzione" dei siti dei tumuli nell’intento di eliminare l’evidenza di un’antica civiltà nativa in Nord America.
Fortunatamente, la New Archeology è di avviso completamente differente: molti siti di tumuli sono aperti al pubblico, e in molti ci sono musei in cui il pubblico può apprendere la storia degli antichi abitanti. Un recente elenco comprende almeno settanta tumuli salvaguardati e siti di terrapienti negli stati dell’Indiana, Kentucky, Ohio, e West Virginia, preservati e accessibili al pubblico. Tra i più importanti: Hopewell Culture National Historic Park, Serpent Mound, the Newark Earthworks, e Fort Ancient Earthworks. Questi siti, insieme con il Poverty Point National Monument, sono stati recentemente posti in una lista dell’U.S. Department of the Interior per essere proposti all’UNESCO per la World Heritage List. Cahokia Mounds in Illinois è già uno dei pochi siti preistorici degli Stati Uniti compreso nella World Heritage List. Non solo: recenti statistiche dello Hopewell Culture National Historic Park in Ohio mostrano che i visitatori annui di questo sito di tumuli sono fra 30 e 40.000. Sempre in Ohio, più di 20.000 persone hanno visitato Serpent Mound nel 2010. Cahokia accoglie un pubblico di circa 320.000 persone all’anno.
 

sabato 28 settembre 2013

L'ANGELO E IL DEMONE - IL culto micaelico a Malvito (CS) - Fasi di frequentazione






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Intorno all’anno Mille, schiere di barbari provenienti dal nord Europa sbarcarono sulle coste dell’Italia meridionale e incominciarono ad impossessarsi dei territori bizantini dell’Italia meridionale.
Nel 1054 il papa Niccolò II riunì il Sinodo di Melfi dove incontrò Roberto, figlio di Tancredi d’Altavilla.
In quell’incontro si stabilì che i normanni dovevano conquistare i territori  nelle mani dei Bizantini, in particolar modo la Calabria e dare inizio alla latinizzazione di quei territori, mentre il papa doveva legittimare le loro conquiste.
Schiere di normanni, guidati da Roberto d’Altavilla intorno al 1047 avevano già assalito il thema Britannico, antico nome della Calabria, roccaforte bizantina in Occidente, tappa strategica per il passaggio a nord ovest. Giunto nella valle del Crati Roberto si impossessò dei territori della bizantina San Marco, sul punto più alto e meglio difendibile costruì una fortificazione destinata a divenire la sede del suo regno calabrese. Ebbe così inizio  una fase nuova della storia della valle dell’Esaro: a nord-ovest di San Marco, le principali roccaforti bizantine contro i Normanni erano Malvitum e Agios Sostis.
Malvitum fu presa intorno al 1070; poco dopo cadde anche Agios Sostis, sede del monastero di Agios Sozon, il più importante della Calabria superiore.
Sull’antico castrum longobardo-bizantino, Roberto fece costruire la grande torre che domina ancora oggi tutta la vallata sottostante.
Con molta probabilità il primo impianto difensivo fu edificato in età longobarda; inizialmente doveva trattarsi di un castellion, cioè un impianto militare molto semplice a protezione della popolazione sparsa sul territorio circostante. La sua ottima posizione di vedetta, favorì un notevole sviluppo urbanistico militare, tanto che il primitivo castellion si trasformò in castrum; nel Chronicon Salernitanum del 950, Malvito è menzionato come sede del gastaldato longobardo in mano bizantina.
Un altro documento in cui è menzionato il castrum di Malvito risale al 1197 e riguarda le vicende belliche tra  gli Svevi ed i normanni della casa degli Altavilla. Comunque, già in età post-agioina il castrum aveva ormai perduto la sua importanza politica e militare e si avvia ad un inesorabile declino.
L’ultima nobile casata fu quella dei baroni la Costa, che nel 1983 donarono l’antico maniero normanno al Comune, finchè provvedesse al restauro ed al necessario consolidamento strutturale.
I lavori di restauro ebbero inizio nel 1987 e furono condotti secondo criteri non del tutto esatti nel rispetto delle antiche strutture, che  comunque erano già rimaneggiate e stravolte nel corso dei secoli.

Malvito (CS): La torre normanna


Malvito (CS): La torre normanna

Dal punto di vista archeologico conosciamo veramente poco circa le fasi di vita del castello normanno di Malvito.
Le fonti letterarie e le caratteristiche architettoniche ci dicono che fu costruito all’età di Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo (fine dell’XI/inizi XII sec.).
Ma, da un’attenta analisi del contesto e da un’approfondita lettura della stratigrafia muraria si può spostare la datazione alla fine del IX e gli inizi del X sec. d.C.
È sicuramente un castrum bizantino provvisto di due cortine murarie, quella a protezione dell’acropoli, di cui si conserva un breve tratto occultato dalla fitta vegetazione, a pochi metri di distanza della maestosa la torre normanna e quella più esterna che doveva proteggere l’abitato. L’ingresso all’acropoli era posto a Sud-Ovest, dove si conservano i resti della porta fortificata e un tratto di muro di cinta che raggiunge uno spessore di 120 cm; a breve distanza della porta si conserva una torre quadrata databile al IX-X sec. Nel cortile del castello affiorano appena dal terreno le creste dei muri di in edificio rettangolare orientato Ovest-Est che, vista posizione e l’orientamento, potrebbe essere identificato con una torre bizantina, forse il mastio centrale.  
    Malvito (CS): Strutture del castello normanno

    Malvito (CS): edificio bizantino

     Malvito (CS): torretta bizantina

    Malvito (CS): tratto di muro di cinta di età bizantina

    
     Malvito (CS): tratto di muro di cinta di età bizantina

     Malvito (CS): resti di edificio bizantino
Della seconda fortificazione bizantina (denominata Torre di Paraporto) si conserva un lungo tratto di muro che raggiunge una spessore di circa m 1,40 cm per un’altezza che supera i tre metri ed una torre quadrangolare molto simile a quella occidentale dei Casalini di San Sosti databile al X sec. d.C. La struttura sorge su un edificio molto più antico legato al culto dell'acqua, potrebbe trattarsi della primitiva chiesa di Sant'Angelo risalente alla fase longobarda di Malvito. 

  Malvito (CS): torre di Paraporto

Il secondo muro di difesa proteggeva la città bassa e cingeva tutta la collina dove attualmente sorge l’abitato di Malvito. L’ingresso alla città bassa doveva essere posto sul lato Sud-Ovest, dove attualmente si trova la piazza, ciò spiegherebbe la presenza della grande torre, detta di Paraporto e della chiesetta della “Schiavonea”. La chiesa della Schiavonea è situata sul lato occidentale della fortificazione a breve distanza di quella che doveva essere la porta, è da notare che la chiesa dedicata alla Theotokos (la Madre di Dio) era posta nei pressi delle porte poiché doveva proteggere la città e coloro che la difendevano. 

   Malvito (CS): chiesa della Schiavonea

La fase longobarda è attesta, oltre dai documenti citati, dalla chiesa intitolata all’Arcangelo Michele, situata ai piedi dell’acropoli. È da sottolineare che l’impianto antico è sto inspiegabilmente abbattuto per far posto ad una struttura in stile “New Age” di pessimo gusto artistico.
Il culto dell’Arcangelo Michele si diffonde con l’espansione del dominio longobardo.
Malvito è particolarmente legato al culto dell’Arcangelo Michele, che ha origini antichissime: nella religione ebraica è l’Angelo guerriero di Javhè.
In età cristiana la sua devozione è molto radicata soprattutto in ambito guerresco perché è l’Angelo combattente, comandante delle milizie celesti, è colui che vinse di Lucifero, l’Angelo che si era ribellato a Dio.

                 Malvito (CS): chiesa della Schiavonea, dipinto de XIX secolo

In età altomedievale il culto micaelico si diffonde in occidente, soprattutto in Puglia e Calabria.
Una tradizione narra che l’Arcangelo intervenne nella guerra tra i Longobardi, guidati dal duca di Benevento Grimoaldo ed i Bizantini, guidati dall’imperatore Costante II in persona nell’anno 663. Lo scontro finale si ebbe nei pressi del Gargano dove l’esercito imperiale fu sconfitto il 29 settembre, proprio il giorno della festa in onore dell’Arcangelo Michele. I longobardi interpretarono questa vittoria come un segnale divino e assunsero l’Arcangelo come loro santo protettore. Originariamente, questo antico popolo di stirpe celtica, era politeista, particolarmente legato al culto delle divinità naturali; il loro dio più venerato era Thor, figlio di Odino, signore di tutti gli dei. La figura di Thor, il dio guerriero, si avvicina moltissimo a quella di Michele, comandante degli milizie celesti. Dopo la conversione dei Longobardi al Cristianesimo, l’antico culto bizantino dell’Arcangelo guerriero diviene il simbolo della loro espansione
    Malvito (CS): chiesa di San Michele Arcangelo

A partire dal VII sec. d.C. nelle città e nelle fortificazioni longobarde non poteva mancare la chiesa intitolata all’Arcangelo; era posizionata solitamente fuori dalle mura di cinta, nei pressi della porta d’ingresso o sull’acropoli, vicino al palatium. La sua presenza dava sicurezza, coraggio e forza ai soldati, che erano motivati a proteggere la città fino all’ultimo respiro.

lunedì 22 luglio 2013

TERRONI: tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero Meridionali


A CURA DI ANTONIO COZZITORTO. 
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Io non sapevo che i Piemontesi fecero al Sud quello che i Nazisti fecero a Marzabotto ma tante volte, per tanti anni! E cancellarono per sempre molti paesi in operazioni “anti-terrorismo” come i Marines in Iraq. Non sapevo che nelle rappresaglie si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali. Ignoravo che, in nome dell'unità della Nazione, i Fratelli d'Italia ebbero pure il diritto di saccheggio delle città meridionali e che praticarono la tortura. Non sapevo che in Parlamento un deputato paragonò la ferocia delle stragi al Sud con quelle di Attila! Né che si incarceravano i meridionali senza accusa, senza processo, con la definizione di “Briganti”perchè meridionali, anche  se bambini briganti, donne briganti, o mogli, figli, consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela) o persino solo paesani. Io credevo che i briganti fossero proprio briganti! Non anche soldati borbonici che difendevano il proprio paese invaso! Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo con fucilazioni di massa, fosse comuni e campi di concentramento dove i meridionali venivano squagliati nella calce. Né sapevo che i Fratelli d'Italia arrivati dal nord svuotarono le ricche casse del Regno delle due Sicilie e trasferirono insieme ai soldi un immenso patrimonio in oro per pagare i debiti del Piemonte. E mai avrei immaginato che i “Mille” fossero tutti avanzi di galera. Non sapevo che fino a quel momento il Regno delle due Sicilie (Calabria, Puglia, Campania, Basilicata e Sicilia) fosse uno dei paesi più industrializzate del Mondo (dopo Inghilterra e Francia). Io avevo sempre creduto ai libri di storia, al mito Garibaldi!
Il Nord visto dal Sud è Caino: da lì vennero quelli che, dicendosi fratelli, compirono al Sud il massacro più imponente mai subito da queste regioni. In  tutto ciò il Sud è stato privato delle sue istituzioni, delle industrie, della sua ricchezza, ma soprattutto della sua gente. Quel che gli italiani venuti dal nord ci fecero fu così spaventoso che ancor oggi lo si tace, si tengono al buoi molti documenti ufficiali, si tengono al buio documenti che raccontano tutto ciò. Una parte dell'Italia, in pieno sviluppo, fu depredata e condannata a regredire dall'altra, che con il bottino finanziò la propria crescita e prese un vantaggio difeso con ogni mezzo, leggi incluse. I meridionali per Massimo D'Azeglio erano “carne che puzzava”, ma lui non teneva conto che si è sempre i meridionali di qualcuno, ed è un guaio, perchè vuol dire che chi stila graduatorie finisce in quelle degli altri. Ai giorni d'oggi l'aggressione leghista con i vari propositi di scissione dal Sud, ha indotto molti a sentirsi meridionali, a riscoprire la propria storia, al risveglio dell'orgoglio che ci contraddistingue. Quello che non capiscono è che loro non possono fare a meno di noi, se rinunciano al Sud, come quattro scriteriati vorrebbero, perdono un arto, come gli amputati. In fondo gli Italiani vanno al nord per lavorare…ma solo al Sud ritrovano l'anima. 

Briganti e brigantesse


Testo i Brigante se more:
 ammo pusato chitarre e tammorre
ca chesta musica s'ha' dda cagnà
simmo briganti e facimmu paura 
e 'ca scuppetta vulimme cantà
e mo cantammo sta nova canzone
ca tutt' a gente se l'ha da mparà
nun ce ne fotte du re borbone 
a terra è a nostra e nun s'adda tuccà.
Tutt'e paesi da basilicata 
se so scetati e vonnu luttà
pure a Calabria mo s'è arrevutata
e sto nemico o facimmo tremà.
Chi ha visto o lupo s'è miso paura
nun sape buono qual'è a verità
o vero lupo che magna e creature
è o piemontese c'avimme caccià.
Omo se nasce, brigante se more
ma fino all'ultimo avimma sparà
e si murimmo menate nu fiore
e na bestemmia pè sta libertà.



sabato 8 giugno 2013

Glastonbury: la leggendaria Avalon - Glastonbury: the legendary Avalon



Massimo Valerio Rogers














Articolo a cura di Massimo Valerio Rogers pubblicato su "Martus Journal" di Maggio 2013.
Article written by Valerio Massimo Rogers published in "Martus Journal" of May 2013.
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Ergendosi sulle uniformi pianure dei Somerset Levels, la collina di Glastonbury, o Glastonbury Tor, con in cima il suo campanile in rovina, costituisce il simbolo inconfondibile di uno dei luoghi più misteriosi d'Inghilterra. La località di Glastonbury, dove sorge uno dei primi edifici cristiani del Paese, è teatro di tradizioni e leggende, miti e fantastiche avventure. Questa vivace cittadina di campagna attrae visitatori di ogni genere. I romantici vi sono richiamati dalle leggende di re Artù, i pellegrini dalla sua antica eredità cristiana, i mistici vi accorrono alla ricerca del Santo Graal, e gli astrologi subiscono il richiamo dello zodiaco che, a quanto si dice, è tracciato in quei paesaggi. Glastonbury era quasi un'isola circondata da paludi o acque alluvionali quando i primi cristiani vi si stabilirono, in un periodo non ben accertato. La prima data attendibile è attorno al 705, anno in cui re Ine vi fondò un monastero, che in seguito ospitò, nel X secolo, alcuni monaci benedettini.Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce vestigia di costruzioni anteriori, fatte di pali e rami intrecciati, coperti di argilla e paglia, nonché numerosi edifici di pietra di epoche più tarde, di cui oggi sono riconoscibili quasi soltanto i tracciati perimetrali. Rimangono importanti ruderi dell'abbazia principale costruita nel XIII e nel XIV secolo, contraddistinta da una mistica assai singolare. La Cappella della Madonna, risalente al XII secolo, sorge sul luogo di una chiesa più antica, distrutta da un incendio nel 1184. Questa era la 'Chiesa Vecchia', edificata, secondo la tradizione, da Giuseppe di Arimatea, il ricco del Vangelo che avvolse il corpo di Gesù in un lenzuolo e lo trasportò nella sua tomba. Una leggenda narra che Giuseppe emigrò poi a Glastonbury e vi fondò una chiesa. Un'altra leggenda riferisce che approdò con una nave vicino alla collina di Wearyall e si appoggiò al bastone per pregare. Questo gettò delle radici da cui nacque il Glastonbury Thorn, il 'biancospino di Glastonbury', che ancora fiorisce a Pasqua e Natale sul terreno dell'abbazia e di fronte alla chiesa di San Giovanni. Forse il più grande mistero di Glastonbury è quello relativo al corpo di re Artù. I suoi resti giacciono veramente nel suolo dell'abbazia? Benché i monaci asseriscano di averli ritrovati, insieme a quelli della moglie Ginevra, nel 1190, si nutrono molti dubbi sull'attendibilità della vicenda: testimonianze recenti sembrerebbero piuttosto indicare che il sovrano fu inumato nei pressi di Bridgend, nel Galles meridionale. Al termine della sua ultima battaglia a Camlann, Artù fu trasportato morente nella mistica isola di Avalon. Il re ordinò a Sir Bedivere di disfarsi della sua magica spada Excalibur. Quando il cavaliere la gettò in un lago, dalle acque emerse una mano che la afferrò. Quale fu l'esatto luogo in cui si svolse questo strano episodio? La tradizione popolare lo identifica con lo stagno, in seguito prosciugato, di Pomparles Bridge, nei pressi di Glastonbury. La tomba fu scoperta dopo che un bardo gallese ebbe rivelato il segreto della sepoltura al re Enrico II. Il monarca ne informò l'abate di Glastonbury e, durante la ricostruzione del monastero dopo l'incendio del 1184, i monaci andarono in cerca del sepolcro. A circa 2 m di profondità trovarono una lastra di pietra e una croce di piombo recanti l'iscrizione 'Hic iacet sepultus inclitus rex arturius in insula avalonia' (Qui giace sepolto il rinomato re Artù nell'Isola di Avalon). Circa 2,7 m al di sotto della lastra era deposta una bara ricavata da un tronco d'albero, contenente le ossa di un uomo alto 2,4 m, dal cranio danneggiato, nonché ossa più piccole identificate come quelle di Ginevra, in base ad alcuni resti di capelli ingialliti rinvenuti con esse. L'archeologo Ralegh Radford confermò, nel 1962, che quello scoperto era effettivamente un sepolcro, ma aggiunse che non aveva modo di dimostrare a chi appartenesse. Il punto oggi contrassegnato come Tomba di Artù è in realtà quello in cui le ossa furono risotterrate nel 1278, in una tomba di marmo nero posta davanti all'altare maggiore. La sepoltura originaria non reca indicazioni e si trova a 15 m di distanza dalla porta sud della Cappella della Madonna. Re Artù ebbe con Glastonbury rapporti precedenti a questi, secondo una leggenda narrata già prima dell'asserita scoperta della sua tomba. Melwas, un re del Somerset, rapì Ginevra e la tenne prigioniera a Glastonbury. Artù accorse per liberare la moglie dalla roccaforte che si riteneva sorgesse sulla Tor, ma l'abate agì da intermediario fra le parti che scesero a patti prima di dare inizio alla battaglia. Negli Anni Sessanta, nel corso di alcuni scavi, in cima alla collina furono rinvenute le vestigia di antiche costruzioni in legno, ma non fu possibile stabilire se si trattasse dell'abitazione del re Melwas o di un insediamento di monaci. Chiunque abbia vissuto fra quelle mura, vi condusse un'esistenza agiata: tra i reperti vi sono crogioli per la lavorazione dei metalli, ossi di animali che testimoniano l'abbattimento di molti buoi, montoni e maiali, e terraglie che stanno a indicare un copioso consumo di vino. In epoca medievale, i monaci di Glastonbury edificarono una chiesa in cima alla Tor e la consacrarono all'Arcangelo Michele, ma essa venne distrutta da un terremoto.

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Rising up on the uniforms of the Somerset Levels plains, the hill of Glastonbury, Glastonbury Tor or, topped with its bell tower in ruins, is the unmistakable symbol of one of the most mysterious places in England. The town of Glastonbury, where there is one of the first Christian buildings in the country, has been the scene of traditions and legends, myths and fantastic adventure. This lively country town attracts visitors of all kinds. The romantics are retrieved from the legends of King Arthur, the pilgrims by its ancient Christian heritage, mystics flock there in search of the Holy Grail, and the astrologers undergo the lure of the zodiac, it is said, is traced in those landscapes. Glastonbury was almost an island surrounded by swamps and flood waters when the early Christians settled there, in a period not well established. The first reliable date is around 705, when King Ine founded a monastery, which later housed in the tenth century, Benedictine monks. Archaeological excavations have brought to light remains of previous constructions, made of poles and twisted branches, covered with clay and straw, as well as numerous stone buildings of later times, of which today are recognized almost only tracked perimeter. Remain important ruins of the main built in the thirteenth and fourteenth century, distinguished by a mystical rather singular. The Chapel of Our Lady, dating from the twelfth century, stands on the site of an older church, destroyed by a fire in 1184. This was the 'Old Church', built, according to tradition, by Joseph of Arimathea, the rich man of the Gospel that Jesus' body wrapped in a sheet and carried him in his grave. Legend has it that Joseph emigrated to Glastonbury and then founded a church. Another legend relates that landed with a ship near the hill of Wearyall and leaned on his cane to pray. This threw the roots that gave rise to the Glastonbury Thorn, the 'hawthorn Glastonbury', which still flourishes at Easter and Christmas on the ground and in front of the abbey church of St. John. Perhaps the greatest mystery of Glastonbury is that relative to the body of King Arthur. His remains lie in the soil of the abbey really? Although the monks asserted that they found them, along with those of his wife Geneva, in 1190, we are very doubtful about the reliability of the story: recent evidence would seem rather to indicate that the ruler was buried near Bridgend, South Wales. At the end of his last battle at Camlann, Arthur was transported dying in the mystical island of Avalon. And the king commanded Sir Bedivere to dispose of his magical sword Excalibur. When the rider threw it in a lake, emerged from the water a hand grabbed her. What was the exact place where this strange incident took place? The popular tradition identifies him with the pond dried up as a result of Pomparles Bridge, near Glastonbury. The tomb was discovered after a Welsh bard had revealed the secret burial of King Henry II. The monarch he informed the abbot of Glastonbury, and during the reconstruction of the monastery after the fire of 1184, the monks went in search of the tomb. At about 2 m deep they found a stone slab and a leaden cross bearing the inscription 'HIC IACET sepultus inclitus rex arturius in insula avalonia' (Here lies buried the renowned King Arthur in the Isle of Avalon). Approximately 2.7 m below the plate was deposited a coffin made from a tree trunk, containing the bones of a 2.4 m tall, from the skull damaged, as well as smaller bones identified as those of Geneva, on the basis of some remains of yellowed hair found with them. The archaeologist Ralegh Radford confirmed, in 1962, discovered that what was actually a tomb, but added that he had no way to prove who it belonged to. The point marked today as the Tomb of King Arthur is actually the one in which the bones were re-buried in 1278 in a tomb of black marble placed in front of the main altar. The original burial will bear no indication and is located 15 m away from the south door of the Lady Chapel. King Arthur had Glastonbury with these previous reports, according to a legend told before the alleged discovery of his tomb. Melwas, a king of Somerset, Geneva kidnapped and held her captive in Glastonbury. Arthur saw to free his wife from the stronghold that was thought arise on Tor, but the abbot acted as an intermediary between the parties that went down to terms before beginning the battle. In the Sixties, during some excavations on the hill were found the remains of ancient buildings made of wood, but it was not possible to establish whether it was the house of the king Melwas or a settlement of monks. Anyone who has lived within those walls, there lived an affluent: the finds there are crucibles for the processing of metals, animal bones that bear witness to the killing of many oxen, sheep and pigs, and pottery that indicate a copious consumption of wine. In the Middle Ages, the monks of Glastonbury built a church on top of the Tor and consecrated to the Archangel Michael, but it was destroyed by an earthquake.


Massimo Valerio Rogers