L'Associazione Culturale "Paeseggiando" alla scoperta della Nuova Mostra Archeologica "Civiltà allo specchio: Enotri e Greci - La ceramica rituale e da mensa: i casi di Francavilla Marittima e San Sosti" allestita presso il Museo "Artemis", che si conferma VERO attrattore turistico del Comune di San Sosti.
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lunedì 19 settembre 2016
Cultura e Archeologia: il Museo "Artemis" si consolida vero attrattore turistico di San Sosti.
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venerdì 9 settembre 2016
"Tesori del Parco Vol. V° - Kyniskos: il Campione della Dea Era"
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sabato 6 agosto 2016
Convegno & Mostra Archeologica: Civiltà allo specchio - Enotri e Greci - La ceramica rituale e da mensa: i casi di Francavilla Marittima e San Sosti
Lo Staff del
Museo "Artemis", è lieta di invitarVi al Convegno “Nuove azioni politiche per la definizione di
Beni Culturali come beni comuni”
Al termine del convegno sarà presentata la nuova MOSTRA ARCHEOLOGICA "Civiltà allo specchio - Enotri e Greci: la ceramica rituale e da mensa - I casi di Francavilla Marittima e San Sosti" organizzata dall'Impresa "Martus" in collaborazione con il Polo Museale della Sibaritide e col patrocinio dall’Amministrazione Comunale di San Sosti e del Parco Nazionale del Pollino.
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mercoledì 3 settembre 2014
SAN SOSTI: ARCHEOLOGIA - STORIA - RELIGIOSITA' - TRADIZIONI
San Sosti (CS): Centro storico
LE ORIGINI DI SAN SOSTI (CS) (Ag.
Sostis)
Il
nome San Sosti deriva dal greco/bizantino Agios
Sostis. Le ultime ricerche archeologiche condotte dalla Sovrintendenza per
i Beni Archeologici della Calabria, in collaborazione con la Cattedra di
Archeologia Cristiana e Medievale del Dip. Di Archeologia e Storia delle Arti
dell'Unical di Rende, ha attestato che l'abitato fu fondato intorno alla media
età del Bronzo (XIV-XIII sec. a.C.), documentato da numerosi resti ceramici e
da una porzione del battuto di un a capanna protostorica rinvenuti nel corso
degli scavi all'interno della chiesa del Carmine. L'abitato era molto fiorente
in età greca come è dimostrato dal rinvenimento dei resti di un santuario
risalente al VI-V sec a.C. dedicato ad una divinità femminile. Sul lato
sinistro della zona presbiteriale è stato riportato alla luce un cospicuo
tratto di muro a secco che era parte del sacro temenos, cioè il recinto sacro del luogo cultuale. Al livello di
fondazione del muro sono state rinvenute tre fosse votive delle quale una
ancora integra, cioè non disturbata dagli interventi di restauro e ampliamento
avvenuti nel corso dei secoli. Tra i materiali recuperati si distingue una
testina fittile risalente alla prima metà del V sec. a.C. raffigurante la dea
Atena che indossa un elmo di tipo frigio e una hydriska (risalente allo stesso periodo). È da notare che l'hydriska era legata al culto di Atena
come è attestato dagli scavi presso il Timpone della Motta a Francavilla
Marittima, dove è stato riportato alla luce una altro santuario dedicato a
questa divinità olimpica. In età romana (I sec. a. C./I sec. d.C.) l'area dove
attualmente sorge la chiesetta del Carmine venne occupata da una villa che si
estendeva su gran parte dell'attuale centro storico. Tra i materiali
archeologici spicca un frammento di una coppa in vetro-mosaico di provenienza
siriana, una porzione di una coppa in sigillata aretina risalente al I sec.
a.C. frammenti di pavimento in opus spicatum.
Ciò indica che si trattava di una grande villa provvista di domus patrizia.
In
età bizantina si assiste al cosiddetto processo di incastellamento, cioè l'antico
abitato si trasforma in castrum (città/fortezza) e prende il nome di Ag. Sostis, dal monastero intitolato al
santo martire di origine orientale.
Un
altro edificio di straordinaria importanza artistica/archeologica è la chieda
madre di Santa Caterina di Alessandria posta sul lato sud-est del castrum di Ag. Sostis. Durante i lavori di restauro eseguiti nel 2000 è stato
parzialmente studiato il contesto: si trattava di una chiesa bizantina a navata
unica rimaneggiata nel corso dei secoli; l'ultima fase edilizia risale alla
metà del XVIII secolo. Tra le opere d'arte custodite nella chiesa madre, degni
di nota sono: l'affresco posto sull'altare maggiore raffigurante la
Trasfigurazione di Gesù, di scuola raffaelliana; la tela del "Divin Sangue
Redentore", di scuola napoletane di fine '700; la scultura di San
Pantaleone risalente alla fine del XVI e l'Inizio XVII secolo, la croce
processionale e altre opere d'arte.
Il
centro storico di San Sosti è impreziosito da palazzi gentilizi costruiti tra
il XVI e il XIX secolo, su antiche strutture di età greca, romana e bizantina,
tra questi si sottolinea il palazzo Guaglianone con cappella annessa risalente
al XVI secolo intitolata a San Francesco di Paola.
È da sottolineare infine che dalle ultime indagini
archeologiche e topografiche è emerso che la pianta del centro storico conserva
la canonica pianta a griglia tipicamente romana di età imperiale.
San Sosti (CS): Centro storico
San Sosti (CS): Centro storico - Museo Artemis
San Sosti (CS): Centro storico - Museo Artemis
San Sosti (CS): Chiesa si Santa Caterina di Alessandria V.M.
San Sosti (CS): La cascata di Fragiovanni
EVENTI CULTURALI CARATTERISTICI
Festa dell’Immacolata
La tradizione della vigilia dell’Immacolata consiste
nell’accensione dei pagliari (falò) assaggio del vino novello (u trividdru) e
dei piatti tipici legati alla ricorrenza.
Santa Lucia
È un appuntamento annuale che ricorre il 13 dicembre,
giorno della festività in onore di Santa Lucia V.M. Consiste nell’accensione di
un grande falò (u pagliaru), in Piazza Orto Sacramento e nella degustazione
della pietanza tipica “a cuccìa”, mais bollito e condito (u migliu), secondo la
tradizione locale, chi ne mangia, la Santa protegge la vista “degli occhi”.
L’Epifania
Un’antica tradizione narra che la sera dell’Epifania,
durante la notte, si verifichino dei fenomeni inconsueti: si possono ascoltare
gli animali parlare tra di loro. Può capitare di sentirli criticare il padrone:
da qui la preoccupazione di dare loro cibo in abbondanza per evitare
imprecazioni e bestemmie contro di lui
Il Carnevale
Questa festa, amata da grandi e piccini, è divenuta il
fiore all’occhiello per il paese. Metà di centinaia di visitatori provenienti
da paesi circostanti, la manifestazione è un tripudio di colori, allegria,
folkrore, canti e tradizioni. Il
carnevale è stato da sempre molto sentito dai sansostesi tant’è che nel Museo
Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma un’intera zona è riservata
all’esposizione delle antiche maschere del Corteo dei mesi dell’anno,
originario proprio di San Sosti. Esso va sintetizzare, in modo esauriente,
alcuni dei più significativi aspetti del carnevale; l’elemento mitico del ciclo
agricolo annuale è la funzione del mascheramento, nel contesto ritualizzato
dalla rappresentazione popolare. Le maschere appartengono alla raccolta De
Giacomo e si tratta di 14 costumi : i 12 mesi dell’anno più Capodanno e la
moglie di Aprile e riproducono le maschere originali adoperate durante una
rappresentazione avvenuta all’inizio del 900. Per la loro ricostruzione, che
avvenne intorno al 1910, furono seguite le indicazioni fornite da informatori
locali. Lo stesso De Giacomo aveva partecipato alla rappresentazione venti anni
prima e il testo originale, cantato è recitato durante la festa carnevalesca,
pubblicato dallo stesso nel 1896 si intitola il popolo di Calabria. Ogni mese è
caratterizzato da determinati elementi
simbolici relativi al ciclo agricolo e alimentare. La presenza femminile
della moglie di Aprile, unica nel suo genere, ha probabilmente un significato
propiziatorio riferito all’inizio della primavera. IL corteo dei mesi viene
considerato come un rituale di reintegrazione, e mira a garantire psicologicamente
la continuità di un buon rapporto con la natura per il rinnovo delle energie
produttive. Se ne può quindi concludere che San Sosti ha un’antica tradizione
carnevalesca con radici molto profonde.
San Giuseppe
San Giuseppe è il Santo padrone del paese e lo si
festeggia il 19 di marzo, giorno della festa del papà. Una volta i
festeggiamenti iniziavano e si concludevano con i famosi botti che si facevano
brillare da piazza Bergo. Evento molto atteso era il gioco della “ninna”, un
tronco d’albero molto alto al cui vertice era posto un ricco premio. La gara
consisteva nell’arrampicarsi fino alla cima e prendere il premio, la difficoltà
consisteva proprio nell’arrampicata: oltre alla notevole altezza del tronco,
questo veniva cosparso di grasso e reso particolarmente scivoloso.
Pasqua e la settimana Santa
Le festività pasquali sono molto sentite dalla nostra
comunità. Si comincia con la domenica delle Palme, quando, per la gioia dei
bambini, vi è l’usanza di portare in chiesa a benedire la palma, un grosso
fascio composto da ramoscelli di ulivi o di alloro, addobbate con le
“pastarelle” pasquali, una sorta di biscotti morbidi fatti in casa tipici di
questo periodo. La settimana Santa poi, si presenta ricca di tradizioni
centenarie che iniziano il Giovedì pomeriggio con la distribuzione del pane
benedetto in dialetto chiamato “cuddruru” nella chiesa del Carmine. Il Venerdì
mattina le statue della passione ( Gesù in croce, Gesù morto, l’Addolorata e
San Giovanni Battista) vengono trasportate dalla chiesetta del Carmine alla
chiesa Madre e nel pomeriggio si svolge una grande processione cui prende parte
quasi tutta la cittadinanza, portando sulle spalle le statue. Alla fine
rientrati Chiesa, si ritirano i “sammurchi” portati dalle famiglie che
partecipano all’iniziativa, i “sammurchi” (sepolcro) si preparano con semi di
grano, ceci e lenticchie fatti germogliare in un luogo senza luce che secondo
l’usanza popolare vengono portati al sepolcro
dopo la morte di Gesù in attesa della sua resurrezione. Un antico canto
religioso recita:
ohi sammurchia ddru mia tuttu iurutu
Da grinta c’è Gesù Cristu Spunutu
C’è l’Addulurata chi chiangia lu figliu sua alla
scapellata.
Alle 23:00,
nella chiesa Madre vengono recitate le “Sette Parole”, cioè le ultime che Gesù
pronunciò sulla croce prima di morire.
A notte inoltrata è da sempre usanza riportare i Santi
dalla chiesa Madre a quella del Carmine.
Il sabato alle 23.30
si celebra la Santa Messa durante la quale si svolge l’affascinante rito della
benedizione del fuoco e dell’acqua.
Agosto sansostese
Nel periodo estivo viene organizzato L’agosto
sansostese per far si che tutti i cittadini e tutti i nostri compaesani
emigrati e ritornati nel loro paese natale possano trascorrere in questa
occasione un piacevole soggiorno nella nostra San Sosti. Durante questa
manifestazione che si protrae per circa dieci giorni, vengono organizzate
serate dedicate alla musica, al cinema sotto le stelle, alla solidarietà, alla
danza, alla moda; viene dato ambio spazio anche allo sport organizzando tornei
di calcio, di calcetto, di pallavolo, gare podistiche ed altro.
Pellegrinaggio Buonvicino
Ogni anno il 18 di settembre è usanza recarsi a piedi
a buon vicino, per festeggiare San Ciriaco. Numerosi i nostri concittadini che
sono soliti recarsi in questa località affrontando un lungo pellegrinaggio,
attraverso i monti che collegano San Sosti e Buonvicino. Sarebbe questa la
stessa strada percorsa a suo tempo dallo stesso Santo, che veniva a studiare presso
il monastero di San Sozon insieme agli altri monaci bizantini, suoi
confratelli. Questo scambio culturale fra i monaci si è con il tempo
trasformato in uno scambio di preghiera tra San Sosti, paese mariano, e buon
vicino, paese devoto al monaco bizantino.
La Fiera
Visita
la Fiera del Pettoruto dall’1 all’8 settembre. Sin da tempi antichissimi le
fiere ed i mercati si svolgevano in prossimità dei santuari extraurbani. In età
greca-arcaica i nuovi arrivati si appropriavano del territorio soprattutto con
la fondazione dei santuari dedicati alle loro divinità protettrici. Le fiere
costituivano oltre che un importante vantaggio economico, un momento
fondamentale di aggregazione e integrazione tra l’elemento greco e quello
indigeno. Fiere e mercati continuarono a svolgersi con regolarità nei pressi
dei santuari e delle importanti vie di comunicazione anche in età romana. In
età Paleocristiana e Cristiana sui luoghi di culto pagani e lungo le antiche
vie di comunicazione ancora in uso, vennero edificati monasteri, chiese e
santuari e nella maggior parte dei casi si conservarono anche le antiche fiere,
come nel caso specifico la Fiera in onore della Madonna del Pettoruto.
SANTA
MARIA DEL PETTORUTO
San Sosti (CS): Santuario N.S. del Pettoruto
Il
santuario del Pettoruto si trova a San Sosti, in provincia di Cosenza ad un’altezza
di 600 metri circa.
Si
presenta agli occhi del visitatore completamente immerso in uno scenario
naturalistico di impareggiabile bellezza quale la gola del fiume Rosa, coperta
da splendidi boschi di elci e di faggi.
Questo
paesaggio incantato, dove il tempo sembra essersi fermato, è incorniciato dal
massiccio della Mula a nord-est e quello della Montea a sud-est.
Da
sempre questi luoghi, suggestivi e affascinanti, rappresentano una sorta di
ritrovo dell’anima in armonia con la meraviglia del creato che avvicina l’uomo
a Dio.
storia
La
chiesa intitolata alla Vergine fu costruita verso la metà del XIII secolo sulle
antiche strutture del monastero bizantino, fondato presumibilmente tra il IX e
il X secolo, come grancia del monastero di Aghios Sozon, i cui ruderi si
conservano ancora fuori dall’abitato di San Sosti.
Molto
probabilmente il santuario del Pettoruto va identificato con l’antico monastero
di Monte Mula di cui si parla nella agiografia di San Leon Luca da Corleone, abate
di questo monastero fino al 915, anno della sua morte.
Un
aspetto molto importante per la nostra ricerca è proprio un passo della agiografia
del santo di origine siciliana legato al momento della sua morte che avvenne
nel monastero di Monte Mula sotto l’invocazione della Vergine Maria.
Da
questa fonte antica si comprende che già il monastero bizantino era dedicato
alla Madonna. Nel catasto onciario del 1273 il Pettoruto viene censito come
Grancia , cioè come Monastero e centro produttivo. Un’ altra fonte riportata
dal Barillàro afferma che il monastero nel 1274 fu trasformato in chiesa dai
cistercensi di Santa Maria di Acquaformosa. La fonte riportata dal Barillàro,
però non è esatta perché nella bolla di Callisto 3° del 22 Maggio 1455 si
afferma che la chiesa della Madonna del Pettoruto era Grancia del monastero di
San Sosti. Ciò significa che al tempo di Callisto 3° manteneva ancora il
carattere primitivo di istituzione greca.
Con
questa bolla il Papa concedeva una particolare indulgenza ai devoti che si
recavano in pellegrinaggio al Pettoruto. E’ proprio la bolla di Callisto 3° che
conferma l’importanza del Monastero, dedicato alla Vergine Maria già al momento
della sua fondazione. La chiesa ha subìto diversi cambiamenti nel corso dei
secoli, sia di ordine strutturale, che di ordine istituzionale.
Nel
1348 diviene “Commenda” e cessa di essere Monastero.
A
breve distanza della basilica si conservano i ruderi di strutture che
anticamente facevano parte del complesso monastico.
Dal
fitto bosco di elci affiora il muro perimetrale e le basi di grandi pilastri
posti a distanza regolare di 2 m e 50 centimetri, che originariamente
costituivano il grande portico. La struttura sorge lungo uno dei sentieri che
conduce al castrum dei Casalini.
In
località Casalini si conservano i resti della città-fortezza nota con il nome
di Artemisia. Il castrum è posto a quota
896 metri di altezza, a strapiombo sulla chiesa del Pettoruto.
La
città fu fondata dai Bizantini, su un abitato più antico, tra il IX e il X
secolo d.C.
Sul
punto più alto si conservano i ruderi di una chiesetta, forse dedicata alla
Madonna, secondo l’usanza dei bizantini di costruire le chiese intitolate alla
Theotokos in prossimità delle porte d’ingresso alle città.
La
chiesa del Pettoruto nel 1647 divenne concistoriale e passò al Cardinale Paolo
Emilio Rondinini. Fu gravemente danneggiata dai terremoti del 1603 e del 1783;
fu ricostruita nel 1834. Nel corso dei lavori di restauro del 1925 venne
costruita la facciata come la vediamo oggi. Nel 1935 fu ricostruita la navata
destra; dal 1956 al 1977, con il vescovo, Mons. Luigi Rinaldi, la chiesa venne
ulteriormente abbellita.
Gli
ultimi restauri risalgono al 2009/10 commissionati dal vescovo, Mons. Domenico Crusco.
RELIGIOSITA’
La
devozione popolare racconta che la statua della Madonna fu scolpita da Nicola
Mairo di Altomonte ingiustamente accusato di violenza su una giovane del suo
paese.
Per
sfuggire alla tragica sorte, il Mairo fugge da Altomonte e si nasconde tra i
monti selvosi del Pettoruto. Nel dramma
della solitudine, profondamente addolorato a causa di un delitto che non aveva
commesso, incominciò a modellare sulla pietra l’immagine della Vergine cui era
molto devoto.
Fu
proprio per intercessione divina che fu riconosciuta la sua innocenza e
scagionato da ogni accusa. L’immagine che egli aveva scolpito e lasciato sul
posto, fu a poco a poco occultata dalla natura. Molto tempo dopo, un pastorello
di Scalea di nome Giuseppe Labbazia, mentre stava cercando una pecora che si
era allontanata dal gregge, si avventura nella boscaglia: terrorizzato perché
credeva di essersi perduto gli apparve l’immagine della Madonna che gli parlò.
Gli
disse di andare a San Sosti e avvisare il parroco che in quel luogo doveva
sorgere la sua chiesa. Il giovane era sordo-muto sin dalla nascita. Fu proprio
questo il primo miracolo. La Madonna li aveva dato la parola e l’udito.
San Sosti (CS): N.S. del Pettoruto
LA
CINTA
La
tradizione della cinta ha origine nella metà del 1600. una terribile carestia
accompagnata da una virulenta pestilenza mieteva centinaia di vittime in tutta
la Calabria superiore, dallo Ionio al Tirreno.
Fu
in questo tragico momento che la popolazione di San Sosti e di tutti gli altri
paesi vicini si posero sotto la protezione della Madonna. Il legame simbolico
tra la Madonna e i suoi figli è rappresentato dalla Cinta, una lunga cordicella
imbevuta di cera adagiata in un canestro ornato di fiori. La prima domenica di
maggio di ogni anno una fanciulla vestita di bianco reca il canestro in
processione e lo offre alla Madonna come per rinnovare quell’antico patto tra
la Madonna ed i suoi figli.
Giunta
sul sagrato della chiesa, la cinta, ridotta in piccoli pezzi, viene distribuita
ai fedeli per accenderla nei momenti di pericolo e di sconforto.
I
BRIGANTI
La
tradizione orale racconta che la cicatrice sotto l’occhio destro della Madonna
fu procurata da alcuni briganti che si nascondevano nella gola del Pettoruto.
Per
dimostrare che la sacra immagina non era miracolosa, si recarono sul posto e
con un pugnale incisero la piccola ferita dalla quale sgorgò sangue.
Gery,
il capo dei briganti che aveva vibrato il colpo, stramazzò ai piedi dell’altare
come fulminato e rimase tramortito mentre gli altri fuggirono terrorizzati.
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mercoledì 2 luglio 2014
LO STILE GOTH NON UNA MODA MA UN FENOMENO CULTURALE IN PIENA AFFERMAZIONE
Articolo a cura di Pamela Ainge
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Noi tutti
abbiamo visto, se non di persona, ma in media, il GOTH stereotipo, vestito di
nero, lo guardiamo come fosse uscito da un romanzo storico: visi pallidi,
make-up scuro, personaità ed espressioni meditabondi.
In realtà è
un malinteso comune che i Goth siano depressi, che adorano Satana, che sono
cattivi e odiano e vogliono uccidere tutti. Niente più lontano dalla verità;
anzi, sono generalmente persone simpatiche e ma molto ponderate .... sono
normali, proprio come voi e me .
Ma, cos'è lo
stile Goth, chi sono i ragazzi/e Gothic?
La
sottocultura gotica è iniziata in Inghilterra negli anni '80 e presto si è
diffusa in tutta Europa, grazie, soprattutto al nuovo genere musicale: il rock
Epic-Gothic che trova la sua massima affermazione con la band finlandese dei
Nightwish, a partire dal 1998.
Il suo
immaginario e propensioni culturali indicano influenze dalla letteratura gotica
del XIX secolo, romanzi come "La leggenda di Sleepy Hollow " (il
cavaliere senza testa) o il romanzo del XVII secolo, " Il Castello di
Otranto" o addirittura il classico romanzo " Dracula".
Letteratura gotica e dell'orrore, ha svolto un ruolo significativo in tutta
l'evoluzione di questa cultura, scrittori classici come Edgar Allan Poe e di
altri autori romantici tragici sono diventati emblematici del genere. L'eroe
byroniano, in particolare, è stato un precursore fondamentale per l'immagine
GOTH maschio mentre ritratti cinematografici di Dracula ha affascinato
scrittori contemporanei come Anne Rice ( Intervista col vampiro , LE STAT ecc)
hanno continuato lo stile gotico.
Non è solo
l'immagine che contraddistingue lo stile Goth, ruolo significativo assume la
musica nella definizione del genere, band come BAUHAUS, Siouxsie e Banshees, ne
sono l'embelma.
Il look tenebroso, con i loro cantanti solisti
iconici, imitato dai seguaci dello stile Goth, ispirati dai personaggi di film
horror, aiutano a definire questa cultura cha ha aperto una nuova era della
musica "Metal.
Nel corso
degli anni numerosi film sono stati girati che hanno influenzato e perfezionato
lo stile, film come Edward mani di forbice, Beetlejuice e Batman.
Ma, il film che ha aperto il nuovo filone
iconografico "Goth" è il corvo, accompagnato dalla colonna sonora
appropriata alle immagini ha direttamente dalla musica gothic e stile. E'
proprio il protagonista de "Il Corvo" che da inizio alla graphic
novel "The Sandman" (il ragazzo triste); da qui, un nuovo mondo di
immagini e simboli che caratterizzano il nostro tempo.
La cultura
Goth ha influenzato anche molti artisti, pittori, fotografi, anche di fama
mondiale e registi cinematografici. In gran parte, la loro produzione è basata
sul misticismo romantico e oscuro; spesso comprende opere d'arte erotica e
immagini di vampiri o fantasmi ( ANNE Sudworth, ZDZISLAW BEKINSKI e forse più
famoso HR Giger FILM ALIEN).
Dal punto di
vista figurativo lo stile Goth è vistosamente oscuro, inquietante, misterioso,
complesso ed esotico: capelli tinti di nero, occhi contornati di linee nere,
volto molto pallido, accentuato con fard bianco, unghia smaltate di nero. Il
vestiario è molto più complesso che prende come modelli elementi del periodo
medievale, elisabettiano, vittoriano.
Generalmente si identifica lo stile Goth con la violenza,
con la sofferenza, con la morte; niente di più sbagliato, è una filosofia di
vita legata alla migliore espressione del "Classicismo", conferisce
alla morte la giusta collocazione ed il senso del timore reverenziale, che purtroppo
ha perduto nel nostro tempo.
I
"goth" non sono, dunque, persone violente, anzi, la tolleranza ed il
rispetto sono alla base della loro filosofia, soffrono e sentono il peso del
male di una sociatà malsana basata sull'apparenza, sul fugace. Non si
identificano con alcun colore politico, la loro
l'ideologia principale è l'enfasi sull'individualismo e la creatività,
tentende verso intellettualismo e la tolleranza verso ogni diversità. I giovani
sono attratti da questi aspetti.
Infine, forse le persone che scelgono di
percorrere una strada diversa dal "normale", che scelgono di essere
diversoi, di stare fuori dalla folla, dovrebbero essere ammirati per il loro
coraggio e la loro responsabile individualità piuttosto che temuti,
ridicolizzati o evitati.
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CULTURA
Ubicazione:
Londra, Regno Unito
mercoledì 19 febbraio 2014
LE CIVILTA' PERDUTE DEL NORD AMERICA
Articolo pubblicato in "Martus Journal" di Gennaio 2014
a cura di
Robert C. WuolfRuns Morrison
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In sostegno alla pretesa che esista una storia nascosta dell’antica America, il presentatore del documentario "The Lost Civilizations of North America", formula un certo numero di domande fondamentali, come: "La maggior parte degli americani non ha idea del fatto che antiche città con architetture progredite costellassero un tempo il paesaggio dell’antico Nord America. Perché i grandi storici non sapevano queste cose e perché esse non sono generalmente note al grande pubblico?"
Tullockchishko: Guerriero Nativo
Secondo gli autori del documentario che c’è stata una cospirazione per nascondere la vera storia del Nord America, tanto che persino "i grandi storici" non ne sanno nulla. A conferma di tale asserzione, i produttori hanno intervistato Roger Kennedy, ex direttore dello Smithsonian's National Museum of American History negli anni 1979-1992 e del National Park Service dal 1993 al 1997. Kennedy ammette che persino nei primi anni 1990 egli non era al corrente del fatto che "importanti resti urbani esistessero in Nord America".
Si tratta di un’affermazione curiosa, visto lo stato della conoscenza archeologica nei primi anni 1990. È possibile che Kennedy o non abbia capito la domanda o ne abbia frainteso lo specifico contesto. Ma da questa candida e onesta personale ammissione di un sono storico non deriva che, come gruppo, gli archeologi e gli storici fossero tutti disinformati e che i capi riconosciuti della comunità scientifica fosse le vittime (o forse gli autori) d’una cospirazione di silenzio. È problematico che i produttori abbiano basato una conclusione su ciò che era semplicemente un caso, prima di porre la domanda cruciale: "Perché i maggiori storici non sapevano nulla di queste cose?" Era questa la situazione generale nei primi anni '90? È forse vero oggi? Nei fatti, non era così allora e non lo è oggi. Per rispondere meglio a una tale domanda, basterebbe sfogliare la Guida ai Dipartimenti di Antropologia (pubblicata dall’Anthropological Association, un’organizzazione professionale americana). Dalla guida si può vedere che ci sono letteralmente centinaia di archeologi che hanno dedicato le loro carriere allo studio delle culture dei costruttori di tumuli e decine di programmi universitari che trattano tale argomento.
Che molti (la maggioranza degli) americani non conoscano molto o nulla dei costruttori di tumuli è purtroppo un fatto vero, ma tale ignoranza fa parte di una questione più ampia. La maggior parte degli americani non sa molto delle culture dei Nativi Americani, il che è naturalmente una vergogna.
Gli archeologi professionisti nelle università e nei musei hanno pubblicato diversi volumi sulle antiche civiltà dei Nativi Americani, stando molto attenti a non dare troppa importanza ai grandi tumuli ed ai loro costruttori. Il problema, in realtà è un altro: nelle vicinanze dei grandi tumuli non ci sono tracce archeologiche di abitati urbani di considerevoli dimensioni o comunque elementi che lascino pensare a grandi città ad eccezione di Cahokia.
Si tratta di un’affermazione curiosa, visto lo stato della conoscenza archeologica nei primi anni 1990. È possibile che Kennedy o non abbia capito la domanda o ne abbia frainteso lo specifico contesto. Ma da questa candida e onesta personale ammissione di un sono storico non deriva che, come gruppo, gli archeologi e gli storici fossero tutti disinformati e che i capi riconosciuti della comunità scientifica fosse le vittime (o forse gli autori) d’una cospirazione di silenzio. È problematico che i produttori abbiano basato una conclusione su ciò che era semplicemente un caso, prima di porre la domanda cruciale: "Perché i maggiori storici non sapevano nulla di queste cose?" Era questa la situazione generale nei primi anni '90? È forse vero oggi? Nei fatti, non era così allora e non lo è oggi. Per rispondere meglio a una tale domanda, basterebbe sfogliare la Guida ai Dipartimenti di Antropologia (pubblicata dall’Anthropological Association, un’organizzazione professionale americana). Dalla guida si può vedere che ci sono letteralmente centinaia di archeologi che hanno dedicato le loro carriere allo studio delle culture dei costruttori di tumuli e decine di programmi universitari che trattano tale argomento.
Che molti (la maggioranza degli) americani non conoscano molto o nulla dei costruttori di tumuli è purtroppo un fatto vero, ma tale ignoranza fa parte di una questione più ampia. La maggior parte degli americani non sa molto delle culture dei Nativi Americani, il che è naturalmente una vergogna.
Gli archeologi professionisti nelle università e nei musei hanno pubblicato diversi volumi sulle antiche civiltà dei Nativi Americani, stando molto attenti a non dare troppa importanza ai grandi tumuli ed ai loro costruttori. Il problema, in realtà è un altro: nelle vicinanze dei grandi tumuli non ci sono tracce archeologiche di abitati urbani di considerevoli dimensioni o comunque elementi che lascino pensare a grandi città ad eccezione di Cahokia.
Il Santuario di Cahokia
Tutti gli altri grandi tumuli del Nord America mostrano un aspetto differente da quello di un insediamento: non erano città, ma piuttosto centri cerimoniali con poca popolazione residente, circondati da numerosi piccoli centri dispersi su un’ampia area tutto intorno. La gente che viveva in quei piccoli villaggi produceva il surplus (in termini di alimenti, ricchezza e lavoro) che manteneva l’élite rituale che viveva nei centri sui tumuli. In un esempio particolarmente notevole di deformazione della terminologia, il documentario definisce il terrapieno che racchiude le opere di terra di Newark in Ohio come "mura della città". È un nonsense. Le opere di terra di Newark includono una serie spettacolare di dodici chilometri quadrati di recinti geometrici e tumuli di diversi profili e dimensioni, ma non c’è alcuna evidenza archeologica di una popolazione urbana, né qui né in altre opere di terra monumentali della cultura Hopewell. Ma allora, dove viveva la popolazione?
Dalle ultima ricerche si comprende che i siti di Newark Earthworks, Poverty Point in Louisiana, Town Creek Mound in North Carolina, o Crystal River Mounds in Florida non erano città ma grandi santuari extra-urbani.
Dalle ultima ricerche si comprende che i siti di Newark Earthworks, Poverty Point in Louisiana, Town Creek Mound in North Carolina, o Crystal River Mounds in Florida non erano città ma grandi santuari extra-urbani.
Miamisburg Mound, Ohio
A maggior ragione, ci dobbiamo domandare dove di abitavano i costruttori di questi grandi santuari.
Una delle questioni più affascinanti domande che i nuovi archeologi si pongono in merito è come potesse una popolazione dispersa in piccoli villaggi, priva di re ereditari o faraoni, essersi organizzata nel lavoro di costruzione di simili imponenti opere di terrapieni.
Un'altra questione è la domanda perché questi siti non sono stati preservati? E perché queste civiltà progredite non sono oggi comunemente conosciute? Il dubbio è che i coloni volessero pulire le loro coscienze riguardo all’espropriazione dei popoli nativi dalle loro terre.
Il fatto è che l’esistenza dei tumuli apparisse come un problema, a coloro che concepivano la cultura dei Nativi Americani come fondamentalmente primitiva e destinata all’estinzione.
Per motivi religiosi e politici, gli esperti moderni (come nel passato, XIX-XX sec.) concordano nel proseguire la distruzione" dei siti dei tumuli nell’intento di eliminare l’evidenza di un’antica civiltà nativa in Nord America.
Fortunatamente, la New Archeology è di avviso completamente differente: molti siti di tumuli sono aperti al pubblico, e in molti ci sono musei in cui il pubblico può apprendere la storia degli antichi abitanti. Un recente elenco comprende almeno settanta tumuli salvaguardati e siti di terrapienti negli stati dell’Indiana, Kentucky, Ohio, e West Virginia, preservati e accessibili al pubblico. Tra i più importanti: Hopewell Culture National Historic Park, Serpent Mound, the Newark Earthworks, e Fort Ancient Earthworks. Questi siti, insieme con il Poverty Point National Monument, sono stati recentemente posti in una lista dell’U.S. Department of the Interior per essere proposti all’UNESCO per la World Heritage List. Cahokia Mounds in Illinois è già uno dei pochi siti preistorici degli Stati Uniti compreso nella World Heritage List. Non solo: recenti statistiche dello Hopewell Culture National Historic Park in Ohio mostrano che i visitatori annui di questo sito di tumuli sono fra 30 e 40.000. Sempre in Ohio, più di 20.000 persone hanno visitato Serpent Mound nel 2010. Cahokia accoglie un pubblico di circa 320.000 persone all’anno.
Una delle questioni più affascinanti domande che i nuovi archeologi si pongono in merito è come potesse una popolazione dispersa in piccoli villaggi, priva di re ereditari o faraoni, essersi organizzata nel lavoro di costruzione di simili imponenti opere di terrapieni.
Un'altra questione è la domanda perché questi siti non sono stati preservati? E perché queste civiltà progredite non sono oggi comunemente conosciute? Il dubbio è che i coloni volessero pulire le loro coscienze riguardo all’espropriazione dei popoli nativi dalle loro terre.
Il fatto è che l’esistenza dei tumuli apparisse come un problema, a coloro che concepivano la cultura dei Nativi Americani come fondamentalmente primitiva e destinata all’estinzione.
Per motivi religiosi e politici, gli esperti moderni (come nel passato, XIX-XX sec.) concordano nel proseguire la distruzione" dei siti dei tumuli nell’intento di eliminare l’evidenza di un’antica civiltà nativa in Nord America.
Fortunatamente, la New Archeology è di avviso completamente differente: molti siti di tumuli sono aperti al pubblico, e in molti ci sono musei in cui il pubblico può apprendere la storia degli antichi abitanti. Un recente elenco comprende almeno settanta tumuli salvaguardati e siti di terrapienti negli stati dell’Indiana, Kentucky, Ohio, e West Virginia, preservati e accessibili al pubblico. Tra i più importanti: Hopewell Culture National Historic Park, Serpent Mound, the Newark Earthworks, e Fort Ancient Earthworks. Questi siti, insieme con il Poverty Point National Monument, sono stati recentemente posti in una lista dell’U.S. Department of the Interior per essere proposti all’UNESCO per la World Heritage List. Cahokia Mounds in Illinois è già uno dei pochi siti preistorici degli Stati Uniti compreso nella World Heritage List. Non solo: recenti statistiche dello Hopewell Culture National Historic Park in Ohio mostrano che i visitatori annui di questo sito di tumuli sono fra 30 e 40.000. Sempre in Ohio, più di 20.000 persone hanno visitato Serpent Mound nel 2010. Cahokia accoglie un pubblico di circa 320.000 persone all’anno.
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Ubicazione:
Los Angeles, California, Stati Uniti
sabato 28 settembre 2013
L'ANGELO E IL DEMONE - IL culto micaelico a Malvito (CS) - Fasi di frequentazione
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Intorno all’anno Mille, schiere
di barbari provenienti dal nord Europa sbarcarono sulle coste dell’Italia
meridionale e incominciarono ad impossessarsi dei territori bizantini
dell’Italia meridionale.
Nel 1054 il papa Niccolò II riunì
il Sinodo di Melfi dove incontrò Roberto, figlio di Tancredi d’Altavilla.
In quell’incontro si stabilì che
i normanni dovevano conquistare i territori nelle mani dei Bizantini, in particolar modo
la Calabria e dare inizio alla latinizzazione di quei territori, mentre il papa
doveva legittimare le loro conquiste.
Schiere di normanni, guidati da
Roberto d’Altavilla intorno al 1047 avevano già assalito il thema Britannico,
antico nome della Calabria, roccaforte bizantina in Occidente, tappa strategica
per il passaggio a nord ovest. Giunto nella valle del Crati Roberto si
impossessò dei territori della bizantina San Marco, sul punto più alto e meglio
difendibile costruì una fortificazione destinata a divenire la sede del suo
regno calabrese. Ebbe così inizio una
fase nuova della storia della valle dell’Esaro: a nord-ovest di San Marco, le
principali roccaforti bizantine contro i Normanni erano Malvitum e Agios
Sostis.
Malvitum fu presa intorno al
1070; poco dopo cadde anche Agios Sostis, sede del monastero di Agios Sozon, il
più importante della Calabria superiore.
Sull’antico castrum
longobardo-bizantino, Roberto fece costruire la grande torre che domina ancora
oggi tutta la vallata sottostante.
Con molta probabilità il primo
impianto difensivo fu edificato in età longobarda; inizialmente doveva
trattarsi di un castellion, cioè un impianto militare molto semplice a
protezione della popolazione sparsa sul territorio circostante. La sua ottima
posizione di vedetta, favorì un notevole sviluppo urbanistico militare, tanto
che il primitivo castellion si trasformò in castrum; nel Chronicon Salernitanum
del 950, Malvito è menzionato come sede del gastaldato longobardo in mano
bizantina.
Un altro documento in cui è
menzionato il castrum di Malvito risale al 1197 e riguarda le vicende belliche
tra gli Svevi ed i normanni della casa
degli Altavilla. Comunque, già in età post-agioina il castrum aveva ormai
perduto la sua importanza politica e militare e si avvia ad un inesorabile
declino.
L’ultima nobile casata fu quella
dei baroni la Costa, che nel 1983 donarono l’antico maniero normanno al Comune,
finchè provvedesse al restauro ed al necessario consolidamento strutturale.
I lavori di restauro ebbero
inizio nel 1987 e furono condotti secondo criteri non del tutto esatti nel
rispetto delle antiche strutture, che
comunque erano già rimaneggiate e stravolte nel corso dei secoli.
Malvito (CS): La torre normanna
Malvito (CS): La torre normanna
Dal punto di vista archeologico
conosciamo veramente poco circa le fasi di vita del castello normanno di
Malvito.
Le fonti letterarie e le caratteristiche
architettoniche ci dicono che fu costruito all’età di Roberto d’Altavilla,
detto il Guiscardo (fine dell’XI/inizi XII sec.).
Ma, da un’attenta analisi del
contesto e da un’approfondita lettura della stratigrafia muraria si può
spostare la datazione alla fine del IX e gli inizi del X sec. d.C.
È sicuramente un castrum bizantino provvisto di due cortine murarie,
quella a protezione dell’acropoli, di cui si conserva un breve tratto occultato
dalla fitta vegetazione, a pochi metri di distanza della maestosa la torre
normanna e quella più esterna che doveva proteggere l’abitato. L’ingresso all’acropoli era posto
a Sud-Ovest, dove si conservano i resti della porta fortificata e un tratto di
muro di cinta che raggiunge uno spessore di 120 cm; a breve distanza della
porta si conserva una torre quadrata databile al IX-X sec. Nel cortile del
castello affiorano appena dal terreno le creste dei muri di in edificio
rettangolare orientato Ovest-Est che, vista posizione e l’orientamento,
potrebbe essere identificato con una torre bizantina, forse il mastio centrale.
Malvito (CS): Strutture del castello normanno
Malvito (CS): edificio bizantino
Malvito (CS): torretta bizantina
Malvito (CS): tratto di muro di cinta di età bizantina
Malvito (CS): tratto di muro di cinta di età bizantina
Malvito (CS): resti di edificio bizantino
Della seconda fortificazione
bizantina (denominata Torre di Paraporto) si conserva un lungo tratto di muro
che raggiunge una spessore di circa m 1,40 cm per un’altezza che supera i tre
metri ed una torre quadrangolare molto simile a quella occidentale dei Casalini
di San Sosti databile al X sec. d.C. La struttura sorge su un edificio molto più antico legato al culto dell'acqua, potrebbe trattarsi della primitiva chiesa di Sant'Angelo risalente alla fase longobarda di Malvito.
Malvito (CS): torre di Paraporto
Il secondo muro di difesa
proteggeva la città bassa e cingeva tutta la collina dove attualmente sorge
l’abitato di Malvito. L’ingresso alla città bassa doveva essere posto sul lato
Sud-Ovest, dove attualmente si trova la piazza, ciò spiegherebbe la presenza
della grande torre, detta di Paraporto e della chiesetta della “Schiavonea”. La
chiesa della Schiavonea è situata sul lato occidentale della fortificazione a
breve distanza di quella che doveva essere la porta, è da notare che la chiesa
dedicata alla Theotokos (la Madre di Dio) era posta nei pressi delle porte
poiché doveva proteggere la città e coloro che la difendevano.
Malvito (CS): chiesa della Schiavonea
La fase longobarda è attesta,
oltre dai documenti citati, dalla chiesa intitolata all’Arcangelo Michele,
situata ai piedi dell’acropoli. È da sottolineare che l’impianto antico è sto
inspiegabilmente abbattuto per far posto ad una struttura in stile “New Age” di
pessimo gusto artistico.
Il culto dell’Arcangelo Michele
si diffonde con l’espansione del dominio longobardo.
Malvito è particolarmente legato
al culto dell’Arcangelo Michele, che ha origini
antichissime: nella religione ebraica è l’Angelo guerriero di Javhè.
In età cristiana la sua devozione
è molto radicata soprattutto in ambito guerresco perché è l’Angelo combattente,
comandante delle milizie celesti, è colui che vinse di Lucifero, l’Angelo che
si era ribellato a Dio.
Malvito (CS): chiesa della Schiavonea, dipinto de XIX secolo
In età altomedievale il culto
micaelico si diffonde in occidente, soprattutto in Puglia e Calabria.
Una tradizione narra che l’Arcangelo intervenne nella guerra tra i
Longobardi, guidati dal duca di Benevento Grimoaldo ed i Bizantini, guidati
dall’imperatore Costante II in persona nell’anno 663. Lo scontro finale si ebbe
nei pressi del Gargano dove l’esercito imperiale fu sconfitto il 29 settembre,
proprio il giorno della festa in onore dell’Arcangelo Michele. I longobardi
interpretarono questa vittoria come un segnale divino e assunsero l’Arcangelo
come loro santo protettore. Originariamente, questo antico popolo di stirpe
celtica, era politeista, particolarmente legato al culto delle divinità
naturali; il loro dio più venerato era Thor, figlio di Odino, signore di tutti
gli dei. La figura di Thor, il dio guerriero, si avvicina moltissimo a quella
di Michele, comandante degli milizie celesti. Dopo la conversione dei
Longobardi al Cristianesimo, l’antico culto bizantino dell’Arcangelo guerriero
diviene il simbolo della loro espansione
Malvito (CS): chiesa di San Michele Arcangelo
A partire dal VII sec. d.C. nelle città e nelle fortificazioni
longobarde non poteva mancare la chiesa intitolata all’Arcangelo; era
posizionata solitamente fuori dalle mura di cinta, nei pressi della porta
d’ingresso o sull’acropoli, vicino al palatium. La sua presenza dava sicurezza,
coraggio e forza ai soldati, che erano motivati a proteggere la città fino
all’ultimo respiro.
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CULTURA
Ubicazione:
87010 Malvito CS, Italia
lunedì 22 luglio 2013
TERRONI: tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero Meridionali
A CURA DI ANTONIO COZZITORTO.
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Io non sapevo che i Piemontesi fecero al Sud quello che i Nazisti fecero a Marzabotto ma tante volte, per tanti anni! E cancellarono per sempre molti paesi in operazioni “anti-terrorismo” come i Marines in Iraq. Non sapevo che nelle rappresaglie si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali. Ignoravo che, in nome dell'unità della Nazione, i Fratelli d'Italia ebbero pure il diritto di saccheggio delle città meridionali e che praticarono la tortura. Non sapevo che in Parlamento un deputato paragonò la ferocia delle stragi al Sud con quelle di Attila! Né che si incarceravano i meridionali senza accusa, senza processo, con la definizione di “Briganti”perchè meridionali, anche se bambini briganti, donne briganti, o mogli, figli, consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela) o persino solo paesani. Io credevo che i briganti fossero proprio briganti! Non anche soldati borbonici che difendevano il proprio paese invaso! Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo con fucilazioni di massa, fosse comuni e campi di concentramento dove i meridionali venivano squagliati nella calce. Né sapevo che i Fratelli d'Italia arrivati dal nord svuotarono le ricche casse del Regno delle due Sicilie e trasferirono insieme ai soldi un immenso patrimonio in oro per pagare i debiti del Piemonte. E mai avrei immaginato che i “Mille” fossero tutti avanzi di galera. Non sapevo che fino a quel momento il Regno delle due Sicilie (Calabria, Puglia, Campania, Basilicata e Sicilia) fosse uno dei paesi più industrializzate del Mondo (dopo Inghilterra e Francia). Io avevo sempre creduto ai libri di storia, al mito Garibaldi!
Il Nord visto dal Sud è Caino: da lì vennero quelli che, dicendosi fratelli, compirono al Sud il massacro più imponente mai subito da queste regioni. In tutto ciò il Sud è stato privato delle sue istituzioni, delle industrie, della sua ricchezza, ma soprattutto della sua gente. Quel che gli italiani venuti dal nord ci fecero fu così spaventoso che ancor oggi lo si tace, si tengono al buoi molti documenti ufficiali, si tengono al buio documenti che raccontano tutto ciò. Una parte dell'Italia, in pieno sviluppo, fu depredata e condannata a regredire dall'altra, che con il bottino finanziò la propria crescita e prese un vantaggio difeso con ogni mezzo, leggi incluse. I meridionali per Massimo D'Azeglio erano “carne che puzzava”, ma lui non teneva conto che si è sempre i meridionali di qualcuno, ed è un guaio, perchè vuol dire che chi stila graduatorie finisce in quelle degli altri. Ai giorni d'oggi l'aggressione leghista con i vari propositi di scissione dal Sud, ha indotto molti a sentirsi meridionali, a riscoprire la propria storia, al risveglio dell'orgoglio che ci contraddistingue. Quello che non capiscono è che loro non possono fare a meno di noi, se rinunciano al Sud, come quattro scriteriati vorrebbero, perdono un arto, come gli amputati. In fondo gli Italiani vanno al nord per lavorare…ma solo al Sud ritrovano l'anima.
Briganti e brigantesse
Testo i Brigante se more:
ammo pusato chitarre e tammorre
ca chesta musica s'ha' dda cagnà
simmo briganti e facimmu paura
e 'ca scuppetta vulimme cantà
e mo cantammo sta nova canzone
ca tutt' a gente se l'ha da mparà
nun ce ne fotte du re borbone
a terra è a nostra e nun s'adda tuccà.
Tutt'e paesi da basilicata
se so scetati e vonnu luttà
pure a Calabria mo s'è arrevutata
e sto nemico o facimmo tremà.
Chi ha visto o lupo s'è miso paura
nun sape buono qual'è a verità
o vero lupo che magna e creature
è o piemontese c'avimme caccià.
Omo se nasce, brigante se more
ma fino all'ultimo avimma sparà
e si murimmo menate nu fiore
e na bestemmia pè sta libertà.
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San sosti CS, Italia
sabato 8 giugno 2013
Glastonbury: la leggendaria Avalon - Glastonbury: the legendary Avalon
![]() |
Massimo Valerio Rogers |
Articolo a cura di Massimo Valerio Rogers pubblicato su "Martus Journal" di Maggio 2013.
Article written by Valerio Massimo Rogers published in "Martus Journal" of May 2013.
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Ergendosi sulle
uniformi pianure dei Somerset Levels, la collina di Glastonbury, o Glastonbury
Tor, con in cima il suo campanile in rovina, costituisce il simbolo
inconfondibile di uno dei luoghi più misteriosi d'Inghilterra. La località di
Glastonbury, dove sorge uno dei primi edifici cristiani del Paese, è teatro di
tradizioni e leggende, miti e fantastiche avventure. Questa vivace cittadina di
campagna attrae visitatori di ogni genere. I romantici vi sono richiamati dalle
leggende di re Artù, i pellegrini dalla sua antica eredità cristiana, i mistici
vi accorrono alla ricerca del Santo Graal, e gli astrologi subiscono il
richiamo dello zodiaco che, a quanto si dice, è tracciato in quei paesaggi. Glastonbury
era quasi un'isola circondata da paludi o acque alluvionali quando i primi
cristiani vi si stabilirono, in un periodo non ben accertato. La prima data
attendibile è attorno al 705, anno in cui re Ine vi fondò un monastero, che in
seguito ospitò, nel X secolo, alcuni monaci benedettini.Gli scavi archeologici
hanno riportato alla luce vestigia di costruzioni anteriori, fatte di pali e
rami intrecciati, coperti di argilla e paglia, nonché numerosi edifici di
pietra di epoche più tarde, di cui oggi sono riconoscibili quasi soltanto i
tracciati perimetrali. Rimangono importanti ruderi dell'abbazia principale
costruita nel XIII e nel XIV secolo, contraddistinta da una mistica assai
singolare. La Cappella della Madonna, risalente al XII secolo, sorge sul luogo
di una chiesa più antica, distrutta da un incendio nel 1184. Questa era la
'Chiesa Vecchia', edificata, secondo la tradizione, da Giuseppe di Arimatea, il
ricco del Vangelo che avvolse il corpo di Gesù in un lenzuolo e lo trasportò
nella sua tomba. Una leggenda narra che Giuseppe emigrò poi a Glastonbury e vi
fondò una chiesa. Un'altra leggenda riferisce che approdò con una nave vicino
alla collina di Wearyall e si appoggiò al bastone per pregare. Questo gettò
delle radici da cui nacque il Glastonbury Thorn, il 'biancospino di
Glastonbury', che ancora fiorisce a Pasqua e Natale sul terreno dell'abbazia e
di fronte alla chiesa di San Giovanni. Forse il più grande mistero di
Glastonbury è quello relativo al corpo di re Artù. I suoi resti giacciono
veramente nel suolo dell'abbazia? Benché i monaci asseriscano di averli
ritrovati, insieme a quelli della moglie Ginevra, nel 1190, si nutrono molti
dubbi sull'attendibilità della vicenda: testimonianze recenti sembrerebbero
piuttosto indicare che il sovrano fu inumato nei pressi di Bridgend, nel Galles
meridionale. Al termine della sua ultima battaglia a Camlann, Artù fu
trasportato morente nella mistica isola di Avalon. Il re ordinò a Sir Bedivere
di disfarsi della sua magica spada Excalibur. Quando il cavaliere la gettò in
un lago, dalle acque emerse una mano che la afferrò. Quale fu l'esatto luogo in
cui si svolse questo strano episodio? La tradizione popolare lo identifica con
lo stagno, in seguito prosciugato, di Pomparles Bridge, nei pressi di
Glastonbury. La tomba fu scoperta dopo che un bardo gallese ebbe rivelato il
segreto della sepoltura al re Enrico II. Il monarca ne informò l'abate di
Glastonbury e, durante la ricostruzione del monastero dopo l'incendio del 1184,
i monaci andarono in cerca del sepolcro. A circa 2 m di profondità trovarono
una lastra di pietra e una croce di piombo recanti l'iscrizione 'Hic iacet
sepultus inclitus rex arturius in insula avalonia' (Qui giace sepolto il
rinomato re Artù nell'Isola di Avalon). Circa 2,7 m al di sotto della lastra
era deposta una bara ricavata da un tronco d'albero, contenente le ossa di un
uomo alto 2,4 m, dal cranio danneggiato, nonché ossa più piccole identificate
come quelle di Ginevra, in base ad alcuni resti di capelli ingialliti rinvenuti
con esse. L'archeologo Ralegh Radford confermò, nel 1962, che quello scoperto
era effettivamente un sepolcro, ma aggiunse che non aveva modo di dimostrare a
chi appartenesse. Il punto oggi contrassegnato come Tomba di Artù è in realtà
quello in cui le ossa furono risotterrate nel 1278, in una tomba di marmo nero
posta davanti all'altare maggiore. La sepoltura originaria non reca indicazioni
e si trova a 15 m di distanza dalla porta sud della Cappella della Madonna. Re
Artù ebbe con Glastonbury rapporti precedenti a questi, secondo una leggenda
narrata già prima dell'asserita scoperta della sua tomba. Melwas, un re del
Somerset, rapì Ginevra e la tenne prigioniera a Glastonbury. Artù accorse per
liberare la moglie dalla roccaforte che si riteneva sorgesse sulla Tor, ma
l'abate agì da intermediario fra le parti che scesero a patti prima di dare
inizio alla battaglia. Negli Anni Sessanta, nel corso di alcuni scavi, in cima
alla collina furono rinvenute le vestigia di antiche costruzioni in legno, ma
non fu possibile stabilire se si trattasse dell'abitazione del re Melwas o di
un insediamento di monaci. Chiunque abbia vissuto fra quelle mura, vi condusse
un'esistenza agiata: tra i reperti vi sono crogioli per la lavorazione dei
metalli, ossi di animali che testimoniano l'abbattimento di molti buoi, montoni
e maiali, e terraglie che stanno a indicare un copioso consumo di vino. In
epoca medievale, i monaci di Glastonbury edificarono una chiesa in cima alla
Tor e la consacrarono all'Arcangelo Michele, ma essa venne distrutta da un
terremoto.
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Rising up on the uniforms of the Somerset Levels
plains, the hill of Glastonbury, Glastonbury Tor or, topped with its bell tower
in ruins, is the unmistakable symbol of one of the most mysterious places in
England. The town of Glastonbury, where there is one of the first Christian
buildings in the country, has been the scene of traditions and legends, myths
and fantastic adventure. This lively country town attracts visitors of all
kinds. The romantics are retrieved from the legends of King Arthur, the
pilgrims by its ancient Christian heritage, mystics flock there in search of
the Holy Grail, and the astrologers undergo the lure of the zodiac, it is said,
is traced in those landscapes. Glastonbury was almost an island surrounded by
swamps and flood waters when the early Christians settled there, in a period
not well established. The first reliable date is around 705, when King Ine
founded a monastery, which later housed in the tenth century, Benedictine
monks. Archaeological excavations have brought to light remains of previous
constructions, made of poles and twisted branches, covered with clay and straw,
as well as numerous stone buildings of later times, of which today are
recognized almost only tracked perimeter. Remain important ruins of the main
built in the thirteenth and fourteenth century, distinguished by a mystical
rather singular. The Chapel of Our Lady, dating from the twelfth century,
stands on the site of an older church, destroyed by a fire in 1184. This was
the 'Old Church', built, according to tradition, by Joseph of Arimathea, the
rich man of the Gospel that Jesus' body wrapped in a sheet and carried him in
his grave. Legend has it that Joseph emigrated to Glastonbury and then founded
a church. Another legend relates that landed with a ship near the hill of
Wearyall and leaned on his cane to pray. This threw the roots that gave rise to
the Glastonbury Thorn, the 'hawthorn Glastonbury', which still flourishes at
Easter and Christmas on the ground and in front of the abbey church of St.
John. Perhaps the greatest mystery of Glastonbury is that relative to the body
of King Arthur. His remains lie in the soil of the abbey really? Although the
monks asserted that they found them, along with those of his wife Geneva, in 1190,
we are very doubtful about the reliability of the story: recent evidence would
seem rather to indicate that the ruler was buried near Bridgend, South Wales.
At the end of his last battle at Camlann, Arthur was transported dying in the
mystical island of Avalon. And the king commanded Sir Bedivere to dispose of
his magical sword Excalibur. When the rider threw it in a lake, emerged from
the water a hand grabbed her. What was the exact place where this strange
incident took place? The popular tradition identifies him with the pond dried
up as a result of Pomparles Bridge, near Glastonbury. The tomb was discovered
after a Welsh bard had revealed the secret burial of King Henry II. The monarch
he informed the abbot of Glastonbury, and during the reconstruction of the
monastery after the fire of 1184, the monks went in search of the tomb. At
about 2 m deep they found a stone slab and a leaden cross bearing the
inscription 'HIC IACET sepultus inclitus rex arturius in insula avalonia' (Here
lies buried the renowned King Arthur in the Isle of Avalon). Approximately 2.7
m below the plate was deposited a coffin made from a tree trunk, containing the
bones of a 2.4 m tall, from the skull damaged, as well as smaller bones
identified as those of Geneva, on the basis of some remains of yellowed hair
found with them. The archaeologist Ralegh Radford confirmed, in 1962,
discovered that what was actually a tomb, but added that he had no way to prove
who it belonged to. The point marked today as the Tomb of King Arthur is actually
the one in which the bones were re-buried in 1278 in a tomb of black marble
placed in front of the main altar. The original burial will bear no indication
and is located 15 m away from the south door of the Lady Chapel. King Arthur
had Glastonbury with these previous reports, according to a legend told before
the alleged discovery of his tomb. Melwas, a king of Somerset, Geneva kidnapped
and held her captive in Glastonbury. Arthur saw to free his wife from the
stronghold that was thought arise on Tor, but the abbot acted as an
intermediary between the parties that went down to terms before beginning the
battle. In the Sixties, during some excavations on the hill were found the
remains of ancient buildings made of wood, but it was not possible to establish
whether it was the house of the king Melwas or a settlement of monks. Anyone
who has lived within those walls, there lived an affluent: the finds there are
crucibles for the processing of metals, animal bones that bear witness to the
killing of many oxen, sheep and pigs, and pottery that indicate a copious
consumption of wine. In the Middle Ages, the monks of Glastonbury built a
church on top of the Tor and consecrated to the Archangel Michael, but it was
destroyed by an earthquake.
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Glastonbury, Connecticut, Stati Uniti
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