domenica 17 luglio 2016

LA TAVOLETTA DI NARMER - Nuove scoperte - "in collaborazione con l'Università di Cagliari" - THE Narmer Palette - New discoveries - "in collaboration with the University of Cagliari"


E’ tra i documenti geroglifici più antichi d’Egitto, databile, presumibilmente al IV millennio a.C.
Simboleggia la sottomissione del Basso Egitto ai sovrani dell’Alto Egitto ad opera di Narmer, sovrano dell’Alto Egitto quando la capitale del Regno si trovava a This. Fu con Narmer che ebbe inizio la storia dell’Egitto, ma non sappiamo di preciso quando ciò avvenne; sulla scorta dei dati raccolti attraverso studi che durano ormai da secoli, possiamo ipotizzare di essere intorno alla fine del V o agli inizi del IV millennio a.C.
Circa 3000 anni dopo, fu lo storico greco Erodoto (V sec. a.C.) che scrisse su Narner grazie ad alcuni antichi papiri che i sacerdoti egizi ancora conservavano gelosamente; da questi si apprende che il faraone fece costruire la prima diga a protezione della città di Menfi dalle inondazioni del Nilo. Da questi papiri, riportati da Erodoto, si apprende che Menfi era la capitale dell’Egitto unificato (Alto e Basso Egitto), ma, nello stesso momento pongono nuovi interrogativi circa la costruzione della grande piramide di Khufu (Cheope), che dovrebbe collocarsi intorno al 2560 a.C. (IV dinastia). Questa datazione (la più attendibile), eliminerebbe ogni dubbio circa la costruzione della grande piramide e soprattutto, andrebbe a “smontare” la letteratura fantascientifica che in alcuni casi ne attribuisce la costruzione a entità extra terrestri o la fa risalire al 10500 a.C.  
A questo punto sorge un altro interrogativo: quale era l’aspetto demo-geografico di quello che noi oggi conosciamo come Egitto? Certamente era diviso in due entità territoriali molto vaste  (Alto Egitto e Basso Egitto) con a capo due re e tanti piccoli regni semi-indipendenti guidati da sovrani locali che, in qualche modo ne riconoscevano la sovranità. Questo è il periodo che gli egittologi chiamano “Predinastico”, ragion per cui, è da escludere, nel modo più assoluto, la retrodatazione della “grande piramide” a questo periodo.
A tale proposito, pochi dubbi lascia la tavoletta di Narmer databile tra il 3100 e il 2850 a.C.
Presenta due facce, su una faccia il re indossa la corona conica, di colore bianco simbolo dell’Alto Egitto, con una mano afferra i capelli di un nemico inginocchiato, con l’altra la clava con cui lo ucciderà. Sulla destra il falco regge una testa umana e sei fusti di papiro, simboleggiando che il dio Horus, nel quale si identifica il faraone, ha sconfitto gli abitanti del Paese dove nasce il papiro (Basso Egitto).
Sull’altra faccia il faraone Narmer indossa la corona a berretto di colore rosso, simbolo del Basso Egitto, avanza accompagnato da uomini che recano insegne, mentre sulla destra giacciono, in doppia fila verticale, dieci nemici decapitati. Sotto due animali fantastici, con teste leonine, intrecciano i lunghi colli di giraffa in segno di unione, conseguita dall’azione vittoriosa di Narmer, mentre nel cartiglio in basso, il toro (il faraone) che atterra un nemico. Da questo momento in poi il copricapo regale sarà la corona conica di colore bianco incastonata nella corona a berretto di colore rosso che simbolicamente significa l’unione dei due regni.
Oltre ai contenuti documentari, questa tavoletta riveste anche una straordinaria importanza perché fissa alcuni canoni tipici di tutta l’arte figurativa egizia: il faraone è rappresentato molto più grande rispetto a tutti gli altri, come segno indiscusso della sua autorità di dio in terra. Gli uomini, gli animali, gli oggetti sono bidimensionali, i primi, anzi, hanno il viso di profilo e il grande occhio di prospetto, il busto frontale e le gambe in visione laterale.

Non è soltanto l’assenza della volumetria e della spazialità secondo l’ottica naturale, non è cioè l’assenza della verosimiglianza, come riproduzione della realtà secondo il modo di vedere prospettico dell’uomo. La realtà, che pure è presente, è smontata e rimondata in un ordine diverso così da darci una visione pressochè completa di tutte le componenti come siamo abituati a conoscerle. È dunque la realtà che fa parte della nostra coscienza, non quella che appare davanti ai nostri occhi. Si ottiene, così, un’alta idealizzazione e perciò l’espressione dei contenuti; non ciò che vedremo su un campo di battaglia dopo una vittoria, ma il significato morale di questa: la divinità del faraone egizio e l’inesorabile sconfitta dei suoi nemici.    

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