Copia della scure martello di Kyniskos |
Articolo a cura di Antonio Cozzitorto pubblicato su Martus Journal di settembre 2010
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È ormai noto che la scure martello fu rinvenuta a San Sosti, in provincia di Cosenza, nel 1846.
Tra il 1857 e il 1860 fu acquistata da Alessandro Castellani, un orafo romano, collezionista di opere d’arte. Alla sua morte la scure passò con l’intera collezione a Parigi ed infine, nel 1884 a Londra, presso il British Museum dove sono conservati altri preziosi reperti provenienti dall’Italia.
Nel 1996, il sindaco pro-tempore del Comune di San Sosti, dott/ssa Silvana Perrone, sollecitava un’interrogazione parlamentare, presentata alla Camera dei Deputati dall’Onorevole Romano Caratelli, in merito alla controversia tra il Governo Italiano e quello Britannico circa la legittimità del possesso e la richiesta di restituzione del reperto più importante della Calabria.
IL 20 giugno dello stesso anno il Ministro ai Beni Culturali Walter Veltroni comunicava al Sindaco di San Sosti di aver inoltrato la rivendicazione dell’oggetto al Governo inglese, senza tuttavia nessun esito.
Altrettante sollecitazioni sono state prodotte per rettificare l’errata provenienza dell’oggetto: così compariva sul sito ufficiale del museo britannico “made in Sybaris from Sancta Sosti, Campania”. Oggi, compare con la giusta attribuzione di provenienza “…San Sosti, Calabria…”
Non è stata ancora, purtroppo, corretta la provenienza sulla targhetta descrittiva dell’oggetto esposta in vetrina di conseguenza, nel catalogo del museo londinese è contrassegnata come un reperto proveniente dalla Campania, come ci ha riferito una nostra giovane compaesana recatasi in visita al British nella prima settimana del mese di agosto 2010.
Ciò significa che il WebMaster del Museo ha preso in considerazione la richiesta di rettifica, peccato che non è stata la stessa cosa per gli studiosi britannici che continuano a ritenere, erroneamente, che l’oggetto provenga dalla Campania e non dalla Calabria.
Si spera che dopo tante sollecitazioni, sia stato finalmente rivisto e corretto il luogo di provenienza.
La scure martello è sicuramente uno tra gli oggetti più belli rinvenuti finora nella Magna Grecia.
Ma la sua importanza non è dovuta solo alla bellezza artistica, è il documento più antico, assieme alla tavoletta di Kleombrotos rinvenuta nell’Athenaion di Francavilla Marittima; è iscritta in alfabeto acheo e dialetto dorico, allora in uso in questa parte di territorio calabrese.
Fu fabbricata con molta probabilità in un’officina della polis greca di Sybaris verso la metà del VI sec. a.C. ed offerta in dono al santuario di Era situato in pianura, come dice l’epigrafe incisa sulla penna.
Vi sono delle controversie interpretative circa l’identità dell’offerente: la tesi più diffusa è quella del vittimario inteso come il sacerdote che compiva con l’oggetto sacrifici in onore della divinità arcaica, signora dell’Olimpo, sposa di Zeus. Studi recenti rivelano verità completamente diverse sia sull’oggetto che sull’offerente: intanto la scure non ha il taglio, ciò significa semplicemente che aveva solo funzioni votive e ornamentali, è l’oggetto stesso che rappresenta il segno distintivo della dea Era. Questo tipo di raffigurazioni, la dea con la scure, compare già nell’iconografia minoica nel III millennio a.C. e ancora, nella Tomba degli Atridi di età micenea (II millennio a.C.) scavata a Micene, nel Peloponneso. Tra i numerosissimi oggetti di corredo e votivi rinvenuti all’interno della tolos vi sono tre statuette fittili di divinità femminile che mostrano una piccola scure martello, nella mano destra molto simile a quella di Kyniskos e due serpenti nella sinistra (Stefano Carbone).
Kyniskos di Mantinea, nome comune molto diffuso in età arcaica, era, in realtà un atleta, che praticava il pancratio, uno sport molto simile al pugilato moderno. Vinse un’edizione dell’Olimpiade verso la metà del VI sec. a.C. dando, evidentemente spettacolo di questa particolare disciplina sportiva tanto che Policleto un secolo dopo gli dedicò una scultura in bronzo il quale lo ritraeva nell’atto di cingersi la testa con una corona di ulivo, simbolo della vittoria olimpica. La scultura, posizionata nell’area dei donari delfici, venne descritta da Pausania, storiografo greco del I sec. a.C.
Il termine “decima” che compare sulla scure rinvenuta, si riferisce alla decima parte della vittoria tributata alla divinità in segno di ringraziamento, come fece l’atleta sibarita Kleombrotos nel VI sec. a.C. il quale dedicò una tavoletta in bronzo alla dea Athena del santuario di Francavilla Marittima come ringraziamento per la vittoria olimpica.
Tra il 1857 e il 1860 fu acquistata da Alessandro Castellani, un orafo romano, collezionista di opere d’arte. Alla sua morte la scure passò con l’intera collezione a Parigi ed infine, nel 1884 a Londra, presso il British Museum dove sono conservati altri preziosi reperti provenienti dall’Italia.
Nel 1996, il sindaco pro-tempore del Comune di San Sosti, dott/ssa Silvana Perrone, sollecitava un’interrogazione parlamentare, presentata alla Camera dei Deputati dall’Onorevole Romano Caratelli, in merito alla controversia tra il Governo Italiano e quello Britannico circa la legittimità del possesso e la richiesta di restituzione del reperto più importante della Calabria.
IL 20 giugno dello stesso anno il Ministro ai Beni Culturali Walter Veltroni comunicava al Sindaco di San Sosti di aver inoltrato la rivendicazione dell’oggetto al Governo inglese, senza tuttavia nessun esito.
Altrettante sollecitazioni sono state prodotte per rettificare l’errata provenienza dell’oggetto: così compariva sul sito ufficiale del museo britannico “made in Sybaris from Sancta Sosti, Campania”. Oggi, compare con la giusta attribuzione di provenienza “…San Sosti, Calabria…”
Non è stata ancora, purtroppo, corretta la provenienza sulla targhetta descrittiva dell’oggetto esposta in vetrina di conseguenza, nel catalogo del museo londinese è contrassegnata come un reperto proveniente dalla Campania, come ci ha riferito una nostra giovane compaesana recatasi in visita al British nella prima settimana del mese di agosto 2010.
Ciò significa che il WebMaster del Museo ha preso in considerazione la richiesta di rettifica, peccato che non è stata la stessa cosa per gli studiosi britannici che continuano a ritenere, erroneamente, che l’oggetto provenga dalla Campania e non dalla Calabria.
Si spera che dopo tante sollecitazioni, sia stato finalmente rivisto e corretto il luogo di provenienza.
La scure martello è sicuramente uno tra gli oggetti più belli rinvenuti finora nella Magna Grecia.
Ma la sua importanza non è dovuta solo alla bellezza artistica, è il documento più antico, assieme alla tavoletta di Kleombrotos rinvenuta nell’Athenaion di Francavilla Marittima; è iscritta in alfabeto acheo e dialetto dorico, allora in uso in questa parte di territorio calabrese.
Fu fabbricata con molta probabilità in un’officina della polis greca di Sybaris verso la metà del VI sec. a.C. ed offerta in dono al santuario di Era situato in pianura, come dice l’epigrafe incisa sulla penna.
Vi sono delle controversie interpretative circa l’identità dell’offerente: la tesi più diffusa è quella del vittimario inteso come il sacerdote che compiva con l’oggetto sacrifici in onore della divinità arcaica, signora dell’Olimpo, sposa di Zeus. Studi recenti rivelano verità completamente diverse sia sull’oggetto che sull’offerente: intanto la scure non ha il taglio, ciò significa semplicemente che aveva solo funzioni votive e ornamentali, è l’oggetto stesso che rappresenta il segno distintivo della dea Era. Questo tipo di raffigurazioni, la dea con la scure, compare già nell’iconografia minoica nel III millennio a.C. e ancora, nella Tomba degli Atridi di età micenea (II millennio a.C.) scavata a Micene, nel Peloponneso. Tra i numerosissimi oggetti di corredo e votivi rinvenuti all’interno della tolos vi sono tre statuette fittili di divinità femminile che mostrano una piccola scure martello, nella mano destra molto simile a quella di Kyniskos e due serpenti nella sinistra (Stefano Carbone).
Kyniskos di Mantinea, nome comune molto diffuso in età arcaica, era, in realtà un atleta, che praticava il pancratio, uno sport molto simile al pugilato moderno. Vinse un’edizione dell’Olimpiade verso la metà del VI sec. a.C. dando, evidentemente spettacolo di questa particolare disciplina sportiva tanto che Policleto un secolo dopo gli dedicò una scultura in bronzo il quale lo ritraeva nell’atto di cingersi la testa con una corona di ulivo, simbolo della vittoria olimpica. La scultura, posizionata nell’area dei donari delfici, venne descritta da Pausania, storiografo greco del I sec. a.C.
Il termine “decima” che compare sulla scure rinvenuta, si riferisce alla decima parte della vittoria tributata alla divinità in segno di ringraziamento, come fece l’atleta sibarita Kleombrotos nel VI sec. a.C. il quale dedicò una tavoletta in bronzo alla dea Athena del santuario di Francavilla Marittima come ringraziamento per la vittoria olimpica.