sabato 28 settembre 2013

L'ANGELO E IL DEMONE - IL culto micaelico a Malvito (CS) - Fasi di frequentazione






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Intorno all’anno Mille, schiere di barbari provenienti dal nord Europa sbarcarono sulle coste dell’Italia meridionale e incominciarono ad impossessarsi dei territori bizantini dell’Italia meridionale.
Nel 1054 il papa Niccolò II riunì il Sinodo di Melfi dove incontrò Roberto, figlio di Tancredi d’Altavilla.
In quell’incontro si stabilì che i normanni dovevano conquistare i territori  nelle mani dei Bizantini, in particolar modo la Calabria e dare inizio alla latinizzazione di quei territori, mentre il papa doveva legittimare le loro conquiste.
Schiere di normanni, guidati da Roberto d’Altavilla intorno al 1047 avevano già assalito il thema Britannico, antico nome della Calabria, roccaforte bizantina in Occidente, tappa strategica per il passaggio a nord ovest. Giunto nella valle del Crati Roberto si impossessò dei territori della bizantina San Marco, sul punto più alto e meglio difendibile costruì una fortificazione destinata a divenire la sede del suo regno calabrese. Ebbe così inizio  una fase nuova della storia della valle dell’Esaro: a nord-ovest di San Marco, le principali roccaforti bizantine contro i Normanni erano Malvitum e Agios Sostis.
Malvitum fu presa intorno al 1070; poco dopo cadde anche Agios Sostis, sede del monastero di Agios Sozon, il più importante della Calabria superiore.
Sull’antico castrum longobardo-bizantino, Roberto fece costruire la grande torre che domina ancora oggi tutta la vallata sottostante.
Con molta probabilità il primo impianto difensivo fu edificato in età longobarda; inizialmente doveva trattarsi di un castellion, cioè un impianto militare molto semplice a protezione della popolazione sparsa sul territorio circostante. La sua ottima posizione di vedetta, favorì un notevole sviluppo urbanistico militare, tanto che il primitivo castellion si trasformò in castrum; nel Chronicon Salernitanum del 950, Malvito è menzionato come sede del gastaldato longobardo in mano bizantina.
Un altro documento in cui è menzionato il castrum di Malvito risale al 1197 e riguarda le vicende belliche tra  gli Svevi ed i normanni della casa degli Altavilla. Comunque, già in età post-agioina il castrum aveva ormai perduto la sua importanza politica e militare e si avvia ad un inesorabile declino.
L’ultima nobile casata fu quella dei baroni la Costa, che nel 1983 donarono l’antico maniero normanno al Comune, finchè provvedesse al restauro ed al necessario consolidamento strutturale.
I lavori di restauro ebbero inizio nel 1987 e furono condotti secondo criteri non del tutto esatti nel rispetto delle antiche strutture, che  comunque erano già rimaneggiate e stravolte nel corso dei secoli.

Malvito (CS): La torre normanna


Malvito (CS): La torre normanna

Dal punto di vista archeologico conosciamo veramente poco circa le fasi di vita del castello normanno di Malvito.
Le fonti letterarie e le caratteristiche architettoniche ci dicono che fu costruito all’età di Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo (fine dell’XI/inizi XII sec.).
Ma, da un’attenta analisi del contesto e da un’approfondita lettura della stratigrafia muraria si può spostare la datazione alla fine del IX e gli inizi del X sec. d.C.
È sicuramente un castrum bizantino provvisto di due cortine murarie, quella a protezione dell’acropoli, di cui si conserva un breve tratto occultato dalla fitta vegetazione, a pochi metri di distanza della maestosa la torre normanna e quella più esterna che doveva proteggere l’abitato. L’ingresso all’acropoli era posto a Sud-Ovest, dove si conservano i resti della porta fortificata e un tratto di muro di cinta che raggiunge uno spessore di 120 cm; a breve distanza della porta si conserva una torre quadrata databile al IX-X sec. Nel cortile del castello affiorano appena dal terreno le creste dei muri di in edificio rettangolare orientato Ovest-Est che, vista posizione e l’orientamento, potrebbe essere identificato con una torre bizantina, forse il mastio centrale.  
    Malvito (CS): Strutture del castello normanno

    Malvito (CS): edificio bizantino

     Malvito (CS): torretta bizantina

    Malvito (CS): tratto di muro di cinta di età bizantina

    
     Malvito (CS): tratto di muro di cinta di età bizantina

     Malvito (CS): resti di edificio bizantino
Della seconda fortificazione bizantina (denominata Torre di Paraporto) si conserva un lungo tratto di muro che raggiunge una spessore di circa m 1,40 cm per un’altezza che supera i tre metri ed una torre quadrangolare molto simile a quella occidentale dei Casalini di San Sosti databile al X sec. d.C. La struttura sorge su un edificio molto più antico legato al culto dell'acqua, potrebbe trattarsi della primitiva chiesa di Sant'Angelo risalente alla fase longobarda di Malvito. 

  Malvito (CS): torre di Paraporto

Il secondo muro di difesa proteggeva la città bassa e cingeva tutta la collina dove attualmente sorge l’abitato di Malvito. L’ingresso alla città bassa doveva essere posto sul lato Sud-Ovest, dove attualmente si trova la piazza, ciò spiegherebbe la presenza della grande torre, detta di Paraporto e della chiesetta della “Schiavonea”. La chiesa della Schiavonea è situata sul lato occidentale della fortificazione a breve distanza di quella che doveva essere la porta, è da notare che la chiesa dedicata alla Theotokos (la Madre di Dio) era posta nei pressi delle porte poiché doveva proteggere la città e coloro che la difendevano. 

   Malvito (CS): chiesa della Schiavonea

La fase longobarda è attesta, oltre dai documenti citati, dalla chiesa intitolata all’Arcangelo Michele, situata ai piedi dell’acropoli. È da sottolineare che l’impianto antico è sto inspiegabilmente abbattuto per far posto ad una struttura in stile “New Age” di pessimo gusto artistico.
Il culto dell’Arcangelo Michele si diffonde con l’espansione del dominio longobardo.
Malvito è particolarmente legato al culto dell’Arcangelo Michele, che ha origini antichissime: nella religione ebraica è l’Angelo guerriero di Javhè.
In età cristiana la sua devozione è molto radicata soprattutto in ambito guerresco perché è l’Angelo combattente, comandante delle milizie celesti, è colui che vinse di Lucifero, l’Angelo che si era ribellato a Dio.

                 Malvito (CS): chiesa della Schiavonea, dipinto de XIX secolo

In età altomedievale il culto micaelico si diffonde in occidente, soprattutto in Puglia e Calabria.
Una tradizione narra che l’Arcangelo intervenne nella guerra tra i Longobardi, guidati dal duca di Benevento Grimoaldo ed i Bizantini, guidati dall’imperatore Costante II in persona nell’anno 663. Lo scontro finale si ebbe nei pressi del Gargano dove l’esercito imperiale fu sconfitto il 29 settembre, proprio il giorno della festa in onore dell’Arcangelo Michele. I longobardi interpretarono questa vittoria come un segnale divino e assunsero l’Arcangelo come loro santo protettore. Originariamente, questo antico popolo di stirpe celtica, era politeista, particolarmente legato al culto delle divinità naturali; il loro dio più venerato era Thor, figlio di Odino, signore di tutti gli dei. La figura di Thor, il dio guerriero, si avvicina moltissimo a quella di Michele, comandante degli milizie celesti. Dopo la conversione dei Longobardi al Cristianesimo, l’antico culto bizantino dell’Arcangelo guerriero diviene il simbolo della loro espansione
    Malvito (CS): chiesa di San Michele Arcangelo

A partire dal VII sec. d.C. nelle città e nelle fortificazioni longobarde non poteva mancare la chiesa intitolata all’Arcangelo; era posizionata solitamente fuori dalle mura di cinta, nei pressi della porta d’ingresso o sull’acropoli, vicino al palatium. La sua presenza dava sicurezza, coraggio e forza ai soldati, che erano motivati a proteggere la città fino all’ultimo respiro.

venerdì 23 agosto 2013

L'ABITATO ROMANO DI PAUCIURI "LA PICCOLA POMPEI CALABRESE"




Presentazione a cura di:
ANTONIO COZZITORTO



Una produzione:
MARTUS EDITORE

Musiche originali:
STEVE JABLONSKY

 

PAUCIURI (MALVITO, CS): RIPORTATO ALLA LUCE UN MAGAZZINO DI ETA' ROMANA - PAUCIURI (Malvito, CS): BACK TO LIGHT A WAREHOUSE OF ROMAN PERIOD

Pauciuri (Malvito, CS): horreum. II-I sec. a.C.

Le operazioni di pulizia dell'area di scavo stanno riportando alla luce una porzione di abitato sul lato Sud-Est già indagato durante lo scavo del 2003 condotto dalla Sovrintendenza per i Beni Archeologici della Calabria, in collaborazione con la Cattedra di Archeologica della Magna Grecia dell'UniCal.

The cleaning of the excavation are bringing to light a portion of the village on the South-East already investigated during the excavation of 2003 conducted by the Superintendence for Archaeological Heritage of Calabria, in cooperation with the Chair of the Archaeology of Ancient Greece 'UniCal.


Ricordiamo ancora una volta che il sito archeologico di Pauciuri, una volta terminata la campagna di scavi, versava in uno stato di abbandono, completamente sommerso da rovi e sterpaglie e trasformato in una discarica a cielo aperto. Grazie alla sensibilità dell'attuale amministrazione comunale di Malvito, presieduta dal Sindaco, prf. Giovanni Cristofalo, è ritornato ad essere visitabile. 

We recall once again that the archaeological site of Pauciuri, once the excavation, was in a state of neglect, completely overwhelmed by brambles and weeds and turned into a open dump. Due to the sensitivity of the municipal administration of Malvern, chaired by the Mayor, prf. John Cristofalo, has returned to being visited.


Abbiamo ripulito dai rovi e riportato alla luce la cresta di un grande muro orientato Ovest-Est, che raggiunge la lunghezza di circa 60 metri. Si tratta del muro perimetrale di un horreum (magazzino), databile tra il II e il I sec. a.C., al cui interno sono state rinvenute numerose porzioni di anfore da trasporto e da "conserva" e parti di pithoi. Uno degli ingressi era posto sul lato Sud-Ovest, murato in età post-romana, ma chiaramente visibile da un'analisi più approfondita dell'USM. In età alto-mediavale, lungo il muro sono state scavate una serie di tombe, prima di essere definitivamente abbandonato.

We cleaned up by brambles and brought to light the crest of a large wall oriented west-east, which reaches a length of about 60 meters. This is the perimeter wall of a horreum (warehouse), dated between the second and first century. BC, in which were found numerous portions of transport amphorae and "conserve" and parts of pithoi. One of the entrances was located on the Southwest side, walled in post-Roman times, but clearly visible from further analysis USM. In the age of high-mediaval, along the wall are a number of graves were dug, before being finally abandoned.


      Ingresso Sud-Ovest murato in età post-romana

                       Necropoli alto-medievale

lunedì 22 luglio 2013

TERRONI: tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero Meridionali


A CURA DI ANTONIO COZZITORTO. 
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Io non sapevo che i Piemontesi fecero al Sud quello che i Nazisti fecero a Marzabotto ma tante volte, per tanti anni! E cancellarono per sempre molti paesi in operazioni “anti-terrorismo” come i Marines in Iraq. Non sapevo che nelle rappresaglie si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali. Ignoravo che, in nome dell'unità della Nazione, i Fratelli d'Italia ebbero pure il diritto di saccheggio delle città meridionali e che praticarono la tortura. Non sapevo che in Parlamento un deputato paragonò la ferocia delle stragi al Sud con quelle di Attila! Né che si incarceravano i meridionali senza accusa, senza processo, con la definizione di “Briganti”perchè meridionali, anche  se bambini briganti, donne briganti, o mogli, figli, consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela) o persino solo paesani. Io credevo che i briganti fossero proprio briganti! Non anche soldati borbonici che difendevano il proprio paese invaso! Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo con fucilazioni di massa, fosse comuni e campi di concentramento dove i meridionali venivano squagliati nella calce. Né sapevo che i Fratelli d'Italia arrivati dal nord svuotarono le ricche casse del Regno delle due Sicilie e trasferirono insieme ai soldi un immenso patrimonio in oro per pagare i debiti del Piemonte. E mai avrei immaginato che i “Mille” fossero tutti avanzi di galera. Non sapevo che fino a quel momento il Regno delle due Sicilie (Calabria, Puglia, Campania, Basilicata e Sicilia) fosse uno dei paesi più industrializzate del Mondo (dopo Inghilterra e Francia). Io avevo sempre creduto ai libri di storia, al mito Garibaldi!
Il Nord visto dal Sud è Caino: da lì vennero quelli che, dicendosi fratelli, compirono al Sud il massacro più imponente mai subito da queste regioni. In  tutto ciò il Sud è stato privato delle sue istituzioni, delle industrie, della sua ricchezza, ma soprattutto della sua gente. Quel che gli italiani venuti dal nord ci fecero fu così spaventoso che ancor oggi lo si tace, si tengono al buoi molti documenti ufficiali, si tengono al buio documenti che raccontano tutto ciò. Una parte dell'Italia, in pieno sviluppo, fu depredata e condannata a regredire dall'altra, che con il bottino finanziò la propria crescita e prese un vantaggio difeso con ogni mezzo, leggi incluse. I meridionali per Massimo D'Azeglio erano “carne che puzzava”, ma lui non teneva conto che si è sempre i meridionali di qualcuno, ed è un guaio, perchè vuol dire che chi stila graduatorie finisce in quelle degli altri. Ai giorni d'oggi l'aggressione leghista con i vari propositi di scissione dal Sud, ha indotto molti a sentirsi meridionali, a riscoprire la propria storia, al risveglio dell'orgoglio che ci contraddistingue. Quello che non capiscono è che loro non possono fare a meno di noi, se rinunciano al Sud, come quattro scriteriati vorrebbero, perdono un arto, come gli amputati. In fondo gli Italiani vanno al nord per lavorare…ma solo al Sud ritrovano l'anima. 

Briganti e brigantesse


Testo i Brigante se more:
 ammo pusato chitarre e tammorre
ca chesta musica s'ha' dda cagnà
simmo briganti e facimmu paura 
e 'ca scuppetta vulimme cantà
e mo cantammo sta nova canzone
ca tutt' a gente se l'ha da mparà
nun ce ne fotte du re borbone 
a terra è a nostra e nun s'adda tuccà.
Tutt'e paesi da basilicata 
se so scetati e vonnu luttà
pure a Calabria mo s'è arrevutata
e sto nemico o facimmo tremà.
Chi ha visto o lupo s'è miso paura
nun sape buono qual'è a verità
o vero lupo che magna e creature
è o piemontese c'avimme caccià.
Omo se nasce, brigante se more
ma fino all'ultimo avimma sparà
e si murimmo menate nu fiore
e na bestemmia pè sta libertà.



sabato 8 giugno 2013

Glastonbury: la leggendaria Avalon - Glastonbury: the legendary Avalon



Massimo Valerio Rogers














Articolo a cura di Massimo Valerio Rogers pubblicato su "Martus Journal" di Maggio 2013.
Article written by Valerio Massimo Rogers published in "Martus Journal" of May 2013.
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Ergendosi sulle uniformi pianure dei Somerset Levels, la collina di Glastonbury, o Glastonbury Tor, con in cima il suo campanile in rovina, costituisce il simbolo inconfondibile di uno dei luoghi più misteriosi d'Inghilterra. La località di Glastonbury, dove sorge uno dei primi edifici cristiani del Paese, è teatro di tradizioni e leggende, miti e fantastiche avventure. Questa vivace cittadina di campagna attrae visitatori di ogni genere. I romantici vi sono richiamati dalle leggende di re Artù, i pellegrini dalla sua antica eredità cristiana, i mistici vi accorrono alla ricerca del Santo Graal, e gli astrologi subiscono il richiamo dello zodiaco che, a quanto si dice, è tracciato in quei paesaggi. Glastonbury era quasi un'isola circondata da paludi o acque alluvionali quando i primi cristiani vi si stabilirono, in un periodo non ben accertato. La prima data attendibile è attorno al 705, anno in cui re Ine vi fondò un monastero, che in seguito ospitò, nel X secolo, alcuni monaci benedettini.Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce vestigia di costruzioni anteriori, fatte di pali e rami intrecciati, coperti di argilla e paglia, nonché numerosi edifici di pietra di epoche più tarde, di cui oggi sono riconoscibili quasi soltanto i tracciati perimetrali. Rimangono importanti ruderi dell'abbazia principale costruita nel XIII e nel XIV secolo, contraddistinta da una mistica assai singolare. La Cappella della Madonna, risalente al XII secolo, sorge sul luogo di una chiesa più antica, distrutta da un incendio nel 1184. Questa era la 'Chiesa Vecchia', edificata, secondo la tradizione, da Giuseppe di Arimatea, il ricco del Vangelo che avvolse il corpo di Gesù in un lenzuolo e lo trasportò nella sua tomba. Una leggenda narra che Giuseppe emigrò poi a Glastonbury e vi fondò una chiesa. Un'altra leggenda riferisce che approdò con una nave vicino alla collina di Wearyall e si appoggiò al bastone per pregare. Questo gettò delle radici da cui nacque il Glastonbury Thorn, il 'biancospino di Glastonbury', che ancora fiorisce a Pasqua e Natale sul terreno dell'abbazia e di fronte alla chiesa di San Giovanni. Forse il più grande mistero di Glastonbury è quello relativo al corpo di re Artù. I suoi resti giacciono veramente nel suolo dell'abbazia? Benché i monaci asseriscano di averli ritrovati, insieme a quelli della moglie Ginevra, nel 1190, si nutrono molti dubbi sull'attendibilità della vicenda: testimonianze recenti sembrerebbero piuttosto indicare che il sovrano fu inumato nei pressi di Bridgend, nel Galles meridionale. Al termine della sua ultima battaglia a Camlann, Artù fu trasportato morente nella mistica isola di Avalon. Il re ordinò a Sir Bedivere di disfarsi della sua magica spada Excalibur. Quando il cavaliere la gettò in un lago, dalle acque emerse una mano che la afferrò. Quale fu l'esatto luogo in cui si svolse questo strano episodio? La tradizione popolare lo identifica con lo stagno, in seguito prosciugato, di Pomparles Bridge, nei pressi di Glastonbury. La tomba fu scoperta dopo che un bardo gallese ebbe rivelato il segreto della sepoltura al re Enrico II. Il monarca ne informò l'abate di Glastonbury e, durante la ricostruzione del monastero dopo l'incendio del 1184, i monaci andarono in cerca del sepolcro. A circa 2 m di profondità trovarono una lastra di pietra e una croce di piombo recanti l'iscrizione 'Hic iacet sepultus inclitus rex arturius in insula avalonia' (Qui giace sepolto il rinomato re Artù nell'Isola di Avalon). Circa 2,7 m al di sotto della lastra era deposta una bara ricavata da un tronco d'albero, contenente le ossa di un uomo alto 2,4 m, dal cranio danneggiato, nonché ossa più piccole identificate come quelle di Ginevra, in base ad alcuni resti di capelli ingialliti rinvenuti con esse. L'archeologo Ralegh Radford confermò, nel 1962, che quello scoperto era effettivamente un sepolcro, ma aggiunse che non aveva modo di dimostrare a chi appartenesse. Il punto oggi contrassegnato come Tomba di Artù è in realtà quello in cui le ossa furono risotterrate nel 1278, in una tomba di marmo nero posta davanti all'altare maggiore. La sepoltura originaria non reca indicazioni e si trova a 15 m di distanza dalla porta sud della Cappella della Madonna. Re Artù ebbe con Glastonbury rapporti precedenti a questi, secondo una leggenda narrata già prima dell'asserita scoperta della sua tomba. Melwas, un re del Somerset, rapì Ginevra e la tenne prigioniera a Glastonbury. Artù accorse per liberare la moglie dalla roccaforte che si riteneva sorgesse sulla Tor, ma l'abate agì da intermediario fra le parti che scesero a patti prima di dare inizio alla battaglia. Negli Anni Sessanta, nel corso di alcuni scavi, in cima alla collina furono rinvenute le vestigia di antiche costruzioni in legno, ma non fu possibile stabilire se si trattasse dell'abitazione del re Melwas o di un insediamento di monaci. Chiunque abbia vissuto fra quelle mura, vi condusse un'esistenza agiata: tra i reperti vi sono crogioli per la lavorazione dei metalli, ossi di animali che testimoniano l'abbattimento di molti buoi, montoni e maiali, e terraglie che stanno a indicare un copioso consumo di vino. In epoca medievale, i monaci di Glastonbury edificarono una chiesa in cima alla Tor e la consacrarono all'Arcangelo Michele, ma essa venne distrutta da un terremoto.

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Rising up on the uniforms of the Somerset Levels plains, the hill of Glastonbury, Glastonbury Tor or, topped with its bell tower in ruins, is the unmistakable symbol of one of the most mysterious places in England. The town of Glastonbury, where there is one of the first Christian buildings in the country, has been the scene of traditions and legends, myths and fantastic adventure. This lively country town attracts visitors of all kinds. The romantics are retrieved from the legends of King Arthur, the pilgrims by its ancient Christian heritage, mystics flock there in search of the Holy Grail, and the astrologers undergo the lure of the zodiac, it is said, is traced in those landscapes. Glastonbury was almost an island surrounded by swamps and flood waters when the early Christians settled there, in a period not well established. The first reliable date is around 705, when King Ine founded a monastery, which later housed in the tenth century, Benedictine monks. Archaeological excavations have brought to light remains of previous constructions, made of poles and twisted branches, covered with clay and straw, as well as numerous stone buildings of later times, of which today are recognized almost only tracked perimeter. Remain important ruins of the main built in the thirteenth and fourteenth century, distinguished by a mystical rather singular. The Chapel of Our Lady, dating from the twelfth century, stands on the site of an older church, destroyed by a fire in 1184. This was the 'Old Church', built, according to tradition, by Joseph of Arimathea, the rich man of the Gospel that Jesus' body wrapped in a sheet and carried him in his grave. Legend has it that Joseph emigrated to Glastonbury and then founded a church. Another legend relates that landed with a ship near the hill of Wearyall and leaned on his cane to pray. This threw the roots that gave rise to the Glastonbury Thorn, the 'hawthorn Glastonbury', which still flourishes at Easter and Christmas on the ground and in front of the abbey church of St. John. Perhaps the greatest mystery of Glastonbury is that relative to the body of King Arthur. His remains lie in the soil of the abbey really? Although the monks asserted that they found them, along with those of his wife Geneva, in 1190, we are very doubtful about the reliability of the story: recent evidence would seem rather to indicate that the ruler was buried near Bridgend, South Wales. At the end of his last battle at Camlann, Arthur was transported dying in the mystical island of Avalon. And the king commanded Sir Bedivere to dispose of his magical sword Excalibur. When the rider threw it in a lake, emerged from the water a hand grabbed her. What was the exact place where this strange incident took place? The popular tradition identifies him with the pond dried up as a result of Pomparles Bridge, near Glastonbury. The tomb was discovered after a Welsh bard had revealed the secret burial of King Henry II. The monarch he informed the abbot of Glastonbury, and during the reconstruction of the monastery after the fire of 1184, the monks went in search of the tomb. At about 2 m deep they found a stone slab and a leaden cross bearing the inscription 'HIC IACET sepultus inclitus rex arturius in insula avalonia' (Here lies buried the renowned King Arthur in the Isle of Avalon). Approximately 2.7 m below the plate was deposited a coffin made from a tree trunk, containing the bones of a 2.4 m tall, from the skull damaged, as well as smaller bones identified as those of Geneva, on the basis of some remains of yellowed hair found with them. The archaeologist Ralegh Radford confirmed, in 1962, discovered that what was actually a tomb, but added that he had no way to prove who it belonged to. The point marked today as the Tomb of King Arthur is actually the one in which the bones were re-buried in 1278 in a tomb of black marble placed in front of the main altar. The original burial will bear no indication and is located 15 m away from the south door of the Lady Chapel. King Arthur had Glastonbury with these previous reports, according to a legend told before the alleged discovery of his tomb. Melwas, a king of Somerset, Geneva kidnapped and held her captive in Glastonbury. Arthur saw to free his wife from the stronghold that was thought arise on Tor, but the abbot acted as an intermediary between the parties that went down to terms before beginning the battle. In the Sixties, during some excavations on the hill were found the remains of ancient buildings made of wood, but it was not possible to establish whether it was the house of the king Melwas or a settlement of monks. Anyone who has lived within those walls, there lived an affluent: the finds there are crucibles for the processing of metals, animal bones that bear witness to the killing of many oxen, sheep and pigs, and pottery that indicate a copious consumption of wine. In the Middle Ages, the monks of Glastonbury built a church on top of the Tor and consecrated to the Archangel Michael, but it was destroyed by an earthquake.


Massimo Valerio Rogers










martedì 26 marzo 2013

“L’UOMO DEL PARCHEGGIO” Il confronto del DNA non lascia dubbi è Riccardo III Plantageneto -"THE MAN OF THE PARKING" The comparison of DNA leaves no doubt is Richard III Plantagenet


Articolo pubblicato su "Martus Journal" di Febbraio 2013 a cura di Giovanni Martucci
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L'asfalto di un parcheggio aveva inghiottito l'ultimo Plantageneto. Quel re sanguinario era lì sotto, a Leicester, dimenticato da oltre cinque secoli. La storia lo ricorda come uno dei sovrani più spietato e sanguinario d’Inghilterra, proprio come suo zio Edoardo IV Plantageneto, soprannominato il Principe Nero per il colore dei suoi abiti e per la sua crudeltà. Quest’ultimo è stato reso celebre dal film capolavoro “Braveheart” che vede come protagonista un ottimo Mel Gibson. Le ossa ancora intatte dell’ultimo dei Plantageneto, con i segni sul cranio dell'ultima battaglia. Ritrovato per caso. Quando, nel 2012, gli archeologi chiesero il permesso di scavare nel centro di Leicester, città che è nel cuore dell'Inghilterra, pensavano ad altro. Non al Plantageneto cresciuto nello Yorkshire, divenuto duca di Gloucester, incoronato il 6 luglio 1483 a Westminster. Pensavano piuttosto di andare alla ricerca di un antico convento distrutto nel Cinquecento, volevano e ne erano sicuri che saltassero fuori le fondamenta della chiesa francescana. Ma è accaduto il più classico degli imprevisti. Buttando all'aria la colata di cemento e scavando un po' hanno visto quello scheletro con i segni evidenti di una sofferenza spinale, con i segni di una lama conficcata in un gamba e con il cranio che mostrava l'affossamento per un colpo ricevuto. L'università di Leicester è certa il 4 febbraio 2013 è arrivato l'annuncio ufficiale. Gli esperti dell'ateneo cittadino hanno confermato pubblicamente che lo scheletro scoperto all'inizio dello scorso settembre è proprio di Riccardo III, undicesimo figlio del duca di York, capitolo finale della casata sconfitta dai Tudor. Gli esami del Dna hanno dato il loro responso. La scienza ha consentito di prelevare un campione genetico dai resti e di metterlo a confronto con il profilo di un mobiliere canadese residente a Londra, Michael Ibsen, diretto discendente di Anna di York, sorella di Riccardo III. Il capo del team di archeologi, Richard Buckley, ha dato l'annuncio tra gli applausi: «La conclusione dell'Università di Leicester è che i resti trovati nel settembre 2012 appartengono al di là di ogni ragionevole dubbio a Riccardo III, della dinastia dei Plantageneti, ultimo re d'Inghilterra».


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The asphalt of a parking lot had swallowed the last Plantagenet. That bloody king was down there, in Leicester, forgotten for over five centuries. History remembers him as one of the most ruthless and bloodthirsty kings of England, just as his uncle Edward IV Plantagenet, also known as the Black Prince because of the color of his clothes and his cruelty. The latter was made famous by the movie masterpiece "Braveheart" which he sees as a great hero Mel Gibson. The bones still intact last of the Plantagenet, with the marks on the skull of the last battle. Found by accident. When, in 2012, archaeologists asked permission to dig in the center of Leicester, a city that is the heart of England, thought of nothing else. Not at Plantagenet grew up in Yorkshire, became Duke of Gloucester, who was crowned July 6, 1483 in Westminster. Rather thought of going in search of an ancient monastery destroyed in the sixteenth century, and they were sure that they wanted to pop out the foundations of the Franciscan church. But that was the most classic of contingencies. Throwing air as pouring concrete and digging a little 'saw that skeleton with the obvious signs of a spinal pain, with signs of a knife stuck in a leg and the skull showing the collapse for a blow. The University of Leicester is some 4 February 2013 came the official announcement. The experts of the university citizen who publicly confirmed the skeleton discovered at the beginning of last September is right in Richard III, the eleventh son of the Duke of York, the final chapter of the House defeated by Tudor. DNA tests have given their response. Science has allowed us to take a genetic sample from the remains and compare it to the profile of a Canadian furniture maker living in London, Michael Ibsen, a direct descendant of Anne of York, sister of Richard III. The head of the team of archaeologists, Richard Buckley, made the announcement to applause: "The conclusion is that the University of Leicester in September 2012 remains found belong beyond a reasonable doubt in Richard III, the dynasty of the Plantagenets, the last king of England. "

lunedì 11 marzo 2013

CANTON TICINO (SVIZZERA) DALLA TERRA DELLE FAVOLE UN ALTRO TASSELLO PER LA STORIA DELL'ARTE




Massimo Valerio Rogers


















A cura di Massimo Valerio Rogers. Articolo pubblicato su Martus Journal n° 30 - Gennaio 2013
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La chiesa di San Nicolao si trova a pochi chilometri da Chiasso. È il monumento in stile romanico più importante del Canton Ticino. L'edificazione della chiesa con un monastero benedettino soppresso nel secolo XV era già attestata nel 1202 (stante quanto si legge in una pergamena proveniente della Parrocchia di Chironico) e fu completata nel 1210. Nel 1298 la chiesa viene menzionata come pertinenza dell'ordine benedettino, dipendente direttamente dalla potente Abbazia di Fruttuaria, nel territorio di San Benigno Canavese. È molto verosimile dunque che essa fungesse da chiesa di un attiguo convento del quale non rimane oggi alcuna traccia. Già al momento della visita pastorale di san Carlo Borromeo nel 1570, del cenobio non si sapeva più di quanto venisse tramandato dalla voce popolare. L'edificio è databile al secondo decennio del secolo XII. Negli anni 1940-1945 fu eseguito un restauro diretto da Paolo Mariotta (1905-1971), nel corso del quale furono in particolare cancellati gli affreschi del 1587 nella cripta, demolito il soffitto ligneo piano del secolo XVIII, tamponata l'apertura settecentesca in facciata. Si presenta come un edificio rettangolare in conci di granito regolarmente e accuratamente disposti, concluso da un coro quadrato e da un'abside semicircolare. Lo stile architettonico della chiesa, a navata unica, interpreta fedelmente i canoni del romanico lombardo. 


Giornico (Chiasso): chiesa di San Nicolaos


La facciata, divisa in tre assi, presenta la tipica forma a capanna, con due alte lesene, unite in alto da arcate cieche binate, che inquadrano il portale ed archetti pensili che danno slancio all'edificio; il timpano presenta una bifora e una finestra cruciforme. Sulla facciata, il portale centrale è impreziosito da due leoni stilofori e da capitelli scolpiti. Ambedue i portali ovest e sud hanno un architrave e archivolti graduati compresi in un arco cieco rialzato che a sud sviluppa un'edicola aggettante. In basso, sempre sulla facciata, trovano posto robuste sculture in pietra di forma zoomorfa e fantastica, tipici del gusto ispirato dai bestiari medievali. Le decorazioni realizzate con conci di pietra che disegnano gli archetti pensili, corrono lungo tutta la chiesa, sulle pareti laterali e lungo l'abside semicircolare. Un secondo portale, che si apre nella parete sud, presenta anch'esso interessanti elementi scultorei, come le barbute teste virili ricavate nelle mensole decorative che sorreggono l'architrave. Nell'angolo nord-est della navata il campanile pensile della chiesa presenta, ai vari piani, la consueta successione di monofore nei primi due piani e bifore in quelli superiori ed è coperto da tetto a padiglione.

Giornico (Chiasso): facciata della chiesa di San Nicolaos
. L'interno della chiesa si presenta con un'unica navata, con soffitto del 1945 a capriate scoperte, che conduce al presbiterio posto in posizione alquanto sopraelevata, al quale si accede per mezzo di una settencentesca scala a due rampe (tracce dell'originale non sono state reperite durante il restauro). Al centro delle pareti laterali della navata sono visibili due semipilastri a sezione rettangolare che forse un tempo sostenevano un'arcata divisoria tra lo spazio dedicato ai fedeli e quello riservato ai monaci. L'aula presbiteriale ha forma quadrata e termina con l'abside semicircolare che prende luce da due monofore.

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Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: catino absidale

Al di sotto del presbiterio è subito visibile (stante una soluzione architettonica alquanto inconsueta nelle chiese romaniche) l'elegante cripta; ad essa si accede scendendo pochi gradini. È divisa in tre piccole navate mediante otto colonne e semicolonne addossate con capitelli riccamente scolpiti, tutti diversi tra loro, che ripropongono, nella varietà dei motivi vegetali, geometrici e zoomorfi (leoni, lepri, capre,...): la suggestione del simbolismo medievale. Subito dopo l'ingresso, a sinistra, è posta una preziosa vasca battesimale romanica del XII secolo, proveniente dalla vicina chiesa parrocchiale di San Michele, usata a lungo come fontana nel villaggio. Si tratta di una vasca di inconsueta forma esagonale ricavata da un blocco unico di pietra, decorata con bassorilievi con simboli legati al sacramento del battesimo. Essa presenta colonnine variamente sagomate sugli spigoli e bassorilevi con animali simbolici sui quattro lati, una croce astile e nove rosette. La chiesa è ornata al suo interno da interessanti cicli di affreschi. 

       Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: capitello della cripta, XII sec.
          Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: capitello della cripta, XII sec.


        Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: capitello della cripta, XII sec.


         Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: la cripta, XII sec.

Sulla parete sinistra della navata si trovano frammenti di dipinti romanici (XIII secolo(?) tra i quali è ancora ben riconoscibile una Ultima Cena. Sulla parete sud: resti di una teoria di Santi di cui rimangono solo le figure di un monaco e di un Santo vescovo, e un San Cristoforo. L'abside è interamente ricoperta da affreschi tardogotici datati (1478) e firmati da Nicolao da Seregno, artista soprattutto attivo nel Canton Ticino, che si attarda su un linguaggio pittorico ancora di gusto marcatamente gotico. Gli affreschi in questione hanno ritrovato piena leggibilità dopo un accurato restauro che ne ha restituito la brillantezza dei colori. Iniziando dal catino absidale, troviamo il Cristo in maestà posto in una mandorla di luce ed attorniato dai simboli degli Evangelisti in Tetramorfo. Nella fascia inferiore troviamo la raffigurazione di una serie di Santi che dovevano essere particolarmente cari alla religiosità popolare. Da sinistra verso destra sono riconoscibili San Gottardo di Hildesheim Vescovo, San Vittore, San Pietro apostolo (ritratto come primo pontefice), San Nicola di Bari (con a fianco i tre bambini posti nella tinozza sulla quale il Santo compì il suo celebre miracolo); troviamo poi, dopo la monofora centrale, una Crocifissione con la Madonna e San Giovanni, e poi ancora, dopo una seconda monofora, le figure di Santa Margherita e Santa Maria Maddalena. Colpisce l'attenzione, sopra la monofora centrale, un'inconsueta raffigurazione della Trinità. Si tratta dell'immagine iconografica del vultus trifrons o Trivultus (che si presenta come figura con tre teste e quattro soli occhi), immagine che fu in seguito - per la sua natura mostruosa - proibita dalla Chiesa. Ai lati del coro troviamo altri affreschi eseguiti anch'essi da Nicolao da Seregno: una Natività sull'altare, un Santo Vescovo (verosimilmente San Nicola di Bari), una elegante Madonna in trono, e l'Agnello di Dio sulla volta del coro.


        Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: affresco del catino absidale, XIII secolo. Teoria di Santi (da destra a sinistra, San Pietro, San Paolo, San Nicola).


Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: affresco del catino absidale, XIII secolo. Part. affresco di San Nicola.

Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: affresco del catino absidale, XIII secolo. Santa Margherita e Santa Maddalena.

          Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: leone del portale, XII secolo.

Giornico (Chiasso), chiesa di San Nicolaos: parete esterna occidentale, vitello, XII secolo.
      

sabato 2 marzo 2013

LA PROVINCIA DI COSENZA SOSTIENE LA RICERCA ARCHEOLOGICA


Articolo pubblicato a cura di Antonio Cozzitorto su "MARTUS JOURNAL" di Febbraio 2013.
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Di seguito ad un’attenta valutazione riguardo la validità dell’aspetto scientifico, l’Assessorato alla Cultura della Provincia di Cosenza ha ritenuto opportuno acquistare un numero di copie dell’opera, edito dalla casa editrice “Martus Editore”, dal titolo “SIBARITIDE PROTOSTORICA – Enotri e Achei la cultura materiale: produzione e circolazione” . Si tratta della tesi di laurea del Dott. Stefano Carbone di Crotone redatta nell’anno accademico 2008/2009 presso il Dip. di Archeologia e Storia della Arti dell’Università della Calabria e pubblicata dalla casa editrice sansostese nel 2010. L’opera è il risultato di anni i ricerche dell’autore, in collaborazione con la Sovrintendenza Archeologica della Calabria e con l’Ateneo cosentino, su un territorio molto vasto che comprende gran parte della provincia di Cosenza. Il periodo preso in esame è quello compreso tra il Neolitico Recente (III millennio a.C.) e la fondazione di Sybaris arcaica (730-20 a.C.), Il volume è uno studio analitico dei materiali archeologici e del loro impiego nell’uso quotidiano in età protostorica, è inoltre una carta archeologica, dunque un itinerario turistico-archeologico dei siti più belli e importanti della Calabria settentrionale immersi in uno scenario naturalistico di impareggiabile bellezza. 


sabato 23 febbraio 2013

SAN MARCO DALLE ORIGINE LEGGENDARIE ALLA CONQUISTA NORMANNA

San Marco Argentano (CS) Torre normanna, XI secolo

La città di San Marco Argentano è l’erede dell’antica Argentanum, ubicata nella valle del Fullone, a quota 425 s. l.m.
L’area dove sorge l’abitato presenta una continuità insediativa dall’età protostorica al Medioevo, attestata dalle fonti e confermata dai rinvenimenti archeologici. Durante la dominazione sibarita era conosciuta con il nome di Argyros, era un piccolo centro minerario citato più volte dalle fonti antiche, da cui si estraeva l’argento. In età greca arcaica si presentava come una fiorente cittadella semi-indipendente con una serie di piccoli agglomerati che orbitavano attorno ad essa. Uno di questi agglomerati rurali è stato individuato in località Caccia, nei pressi del centro commerciale “La Torre”: sul piano di campagna si nota una notevole dispersione di fittili e materiali edilizi provenienti dalla distruzione di antiche abitazioni. Particolarmente presente è la ceramica a vernice nera databile al V-IV sec. a.C. Un altro insediamento di età greca arcaica è stato individuato in località Varco Bufalo-La Matina; anche qui si possono notare numerosi frammenti ceramici disseminati sul piano di campagna, alcuni dei quali di pregiata fattura identificabili come appartenenti a recipienti di fabbrica corinzia del VII sec. a.C. Si ha notizia del rinvenimento di una statuetta di bronzo raffigurante Erakles con clava e pelle leonina, che in base a diverse descrizioni dovrebbe risalire al VI sec. a.C. In località Cimino è stata scoperta una necropoli ellenistica con sepolture alla “cappuccina” del IV sec. a.C. In località Ghiandaro si ha notizia di un luogo di culto attestato dalla scoperta di alcuni pozzetti votivi.
Nel IV sec. a.C. Argyros perde il suo stauts di indipendenza e nel 390 a.C. venne annessa alla confederazione lucana; nel 356 venne annoverata tra le 12 repubbliche bruzie fuoriuscite dalla confederazione lucana che elevarono Consentia a loro capitale. Nel 282 a.C. prese parte alla guerra contro Thourioi e rimase sconfitta e i romani ne mutarono il nome in Argentanum. Venne annoverata tra le città brettie da Tito Livio nella sua opera “Ab Urbe Condita”. Durante la seconda guerra punica si allea con Annibale alternando successi e disfatte. Venne nuovamente citata da Livio il quale afferma che Argentanum insieme a Consentia ed altre città bruttie si consegnò al Console Gneo Servilio, definendo quelle città ribelli “Multique alii ignobiles populi” per il fatto di essersi alleate con Annibale Contro Roma. Nell’88 a.C., dopo la guerra sociale, con la Lex Julia Municipalis assume il nuovo status di Municipia. Nel 44 d.C., secondo la tradizione, nei pressi della municipia di Argentanum si consuma il sacrificio dei Martiri Argentanesi, considerati tra i protomartiri cristiani. Durante le invasioni barbariche Argentanum sopravvive ad un rovinoso processo di spopolamento; durante la dominazione longobarda l’abitato si era ridotto al punto più alto della collina, dove era stato edificato un castrum e dove si conserva ancora la chiesa di Santa Maria dei Longobardi. Verso la fine del IX sec. la città era stata quasi completamente abbandonata; una lenta ripresa si ebbe già agli inizi del X sec. e nel 969 prese il nome di San Marco.
Intorno al 1047, Roberto, figlio di Tancredi, raggiunse i suoi fratelli che erano già a Melfi e da qui partì con un pugno di avventurieri alla conquista della Calabria ancora in mano ai Bizantini; giunse nella valle dell’Esaro-Fullone e qui, su un’altura trovò San Marco, antica città-fortezza, quasi abbandonata e vi si stabilì con i suoi compagni, dopo averla fortificata con una palizzata, secondo l’uso dei Normanni.
Una cronaca in latino scritta da Amato, un monaco di Montecassino vissuto tra l’XI e il XII sec. e tradotta in francese, racconta le vicende di questo valoroso condottiero che in brevissimo tempo riuscì a strappare dalle mani dei Bizantini e costruire quasi un impero. Stabilitosi a San Marco Roberto incominciò a lottare contro le città bizantine della valle che assoggettò in poco tempo, strinse amicizia con Pietro, signore di Bisignano, invitandolo per un incontro amichevole ma catturò a tradimento e lo condusse prigioniero a San Marco chiedendo un grande riscatto per la sua libertà, da questo momento in poi i Normanni appellarono Roberto “Guiscardo”, cioè, l’astuto. Con il denaro del riscatto fece costruire un castello con una grande torre rendendo così San Marco la città più potente dell’intera vallata, ne fece la sua sede e da qui partì alla conquista di tutta la Calabria, nella città di Brahalla insediò sua sorella Mabilia quale reggente della Corona Normanna. Dopo la sua morte, avvenuta improvvisamente, mentre stava preparando una spedizione contro Costantinopoli,  San Marco era ormai il centro politico e militare della Calabria. Nel 1098 il suo successore Ruggero riunì a San Marco un grande esercito contro Riccardo, della casata di Altavilla, signore di Capua. Consolidato ormai il potere su tutta l’Italia meridionale, fu organizzata la conquista della Sicilia, che nel frattempo era finita in mano ai Musulmani, completata da Ruggero II che istituì la nuova capitale del regno a Palermo. Da questo momento in poi San Marco passa in secondo piano rispetto alla nuova capitale del Regno Normanno.

LA STAUROTECA



San Marco Argentano (CS), La Stauoteca

Con l’avvento degli Angioini in Calabria si afferma uno stile artistico occidentale che tuttavia conserva tipologie stilistiche e ideologiche bizantine, ne è un esempio la Stauroteca si San Marco: presenta un marcato stile artistico bizantino con elementi occidentali, come la scritta “IESVS NAZARENVS REX IUDEORV”. Il Cristo appare sulla croce trionfante con gli occhi aperti e i piedi disgiunti, di chiara derivazione monofisita siro-palestinese, ma realizzato da un artista evoluto che ricorda le opere del XIII secolo come il Crocefisso di Salerno. 

San Marco Argentano (CS), La Stauoteca (rovescio)
Sul Rovescio compaiono solo tre dei quattro evangelisti, rappresentati dai rispettivi simboli e l’Agnello, proibito nel III Concilio di Costantinopoli del 680-81. In base alla simbologia e allo stile artistico, la Stauroteca di San Marco può essere datata alla del XIII secolo. Una fonte antica data l’opera al 1308 e cita persino il nome del donatore: l’abate Tommaso dell’abbazia della Matina. Ciò nonostante questa datazione non è abbastanza esaustiva perché non si comprende se si riferisce alla data della donazione o alla sua realizzazione. Comunque, la Stauroteca di San Marco non è stata ancora sufficientemente studiata i tutti i suoi dettagli, un’attenta analisi mostra delle discordanze con la datazione di fine XIII secolo: i lobi della croce e l’epigrafe in caratteri gotici sembrano delle aggiunte successive alla sua realizzazione; i soggetti raffigurati sui bracci ostentano una somiglianza  con il soggetto centrale, mentre il Cristo è raffigurato secondo i canoni della liturgia orientale fortemente basata sui simboli. 

San Marco Argentano (CS), La Stauoteca (particolare)
La fisionomia del volto richiama quella di un leone, simbolo della Maestà divina e della resurrezione. Anche sul rovescio vi sono molti elementi discordanti sulla proposta di datazione alla fine del XIII secolo: sul braccio verticale della croce manca una placchetta, forse andata perduta, è stata aggiunta una piccola cornice con decorazione cesellata, manca Matteo, uno dei quattro evangelisti. Tutto ciò potrebbe indicare che la Stauroteca abbia subito dei rifacimenti che potrebbero risalire al XIII secolo, mentre l’oggetto originale potrebbe collocarsi all’età bizantina-normanna.